La gran parte dell’Europa, custode delle conquiste liberali patrimonio della civiltà occidentale, guarda con timore alle mosse dell’America di Donald Trump. L’elenco è lungo: abbandono degli accordi di Parigi per il contenimento del cambiamento climatico; uscita dall’Organizzazione mondiale della Sanità; mire espansionistiche sulla Groenlandia e sul canale di Panama; dazi pesanti sulle importazioni da Canada e Messico ed altri promessi alla Ue; perdono giudiziario agli assaltatori che invasero il Campidoglio quattro anni fa; epurazioni di massa tra i funzionari dell’amministrazione Usa ritenuti non allineati e quindi non fedeli alla nuova linea; abolizione dello jus soli.

Trump promette una nuova età dell’oro

Il neo presidente promette una nuova età dell’oro, ma le prime mosse sembrano più ispirate ad un desiderio di vendetta per la mancata riconferma alle precedenti elezioni del 2020 che non ad una strategia per rafforzare gli Stati Uniti.

Ed ha destato grande allarme, tra molti osservatori, la saldatura acritica tra il neopresidente e l’estabilishment tecnologico e finanziario americano, una solida falange che sembra muoversi inarrestabile verso i propri obiettivi, senza alcun muro di contenimento.

Da un lato c’è Donald Trump che vuole consolidare il suo potere politico e trasformarlo in un totale plebiscito, una sorta di monarchia elettorale, grazie all’enorme capacità di penetrazione sociale dei mezzi di comunicazione dei suoi sponsor, grandi artefici del suo successo. Li ha a volte minacciati, in qualche caso blanditi, in altri abbracciati una volta verificata la totale consonanza di vedute. E infine riuniti tutti alla sua corte.

Dall’altro le Big Tech, che tra deboli resistenze iniziali, paura di ritorsione oppure sincero o opportunistico allineamento alla visione della nuova amministrazione, si sono messe a disposizione. Intendiamoci, non è un caso che politica e industria camminino insieme, sostenendosi a vicenda.

E l’Europa? Cosa farà?

La Francia ha una lunga tradizione di difesa dei campioni nazionali, che hanno trovato sotto l’ombrello dell’Eliseo e di Matignon, chiunque ne fosse l’occupante, aiuto e protezione. Il Regno Unito ha una storia altrettanto lunga, a partire dalla nascita della Compagnia delle Indie, di totale allineamento tra gli interessi dell’Impero e quelli del commercio e della produzione. Persino nella timida Italia l’interesse del Paese e quello della sua principale azienda, la Fiat, hanno vissuto ognuna al riparo dell’altra:

“Quello che va bene alla Fiat va bene per l’Italia”,

sentenziò anni fa l’avvocato Agnelli, santificando la convergenza di interessi tra politica governante e industria nazionale. La frase, oggetto di critiche, fu poi rettificata con un

“Quel che va male per Torino va male per l’Italia”;

che poi però voleva dire la stessa cosa. Ed in passato, sotto il fascismo, le imprese italiane accompagnarono, divise tra convinzione e convenienza, il cammino del ventennio fascista; ventennio che alcune di loro avevano contribuito a radicare nel Paese.

In pericolo la strada della democrazia

Questa volta negli Usa la saldatura è più forte, e quindi più preoccupante. Perchè sembra tracciare un percorso che non prevede guardrail che separino le corsie di marcia regolare dalla scarpata, e che cancella le leggi che li imponevano per evitare di uscire dalla strada della democrazia.

C’è un presidente che usa il potere sostituendo l’idea di comando a quella di governo, ci sono aziende che hanno come obiettivo soprattutto il profitto, anche solo personale, e che sfruttano a questo scopo il rapporto preferenziale con il potere. Aziende che hanno il monopolio assoluto nel mondo social: possiedono Facebook, Instagram, Whatsapp, Threads, X, Gmail, Google Search, Google Docs, Android, Iphone, Ipads, Mac, iMessage, Starlink, Blue Origin, ChatGpt, Tik Tok.

Tanto che viene da chiedersi: ma in realtà, chi comanda? In passato nel mondo i due schieramenti, politica da un lato e industria e finanza dall’altro, erano attenti a non farsi reciprocamente sopraffare, il che garantiva un equilibrio imperfetto ma funzionale. Soprattutto quando tra gli imprenditori era ben vivo il concetto che fare impresa non è solo accumulare utili, ma contribuire al benessere collettivo. Oggi questa divisione negli Usa non c’è. E l’unicità di pensiero e di intenti può portare ad effetti molto rischiosi. Nella Germania di Hitler, ad esempio, la saldatura tra potere politico e l’industria dominante, acciaio e cannoni, fu totale. I risultati li abbiamo visti: la seconda guerra mondiale, milioni di morti e un’azienda, la Krupp, sul banco degli imputati al processo di Norimberga.

Bisogna reagire

Dalla vicenda americana si possono però anche trarre spunti diversi dalla prevalente sensazione di pericolo che gran parte dell’Europa avverte. La presidenza Trump ha suonato la sveglia all’Europa sonnolenta che guarda poco al futuro e che non investe nelle sue strutture politiche, finanziarie e industriali per crescere, come ha chiesto recentemente Mario Draghi.

Bisogna reagire. Ha fatto emergere la stanchezza dei ceti medi e popolari per politiche di sinistra autoreferenziali che rispondono in modo stancamente prevedibile e antiquato alle nuove emergenze, come la sicurezza delle città e l’immigrazione irregolare. Bisogna cambiare. Ha acceso un faro sugli eccessi della cultura woke e di un ambientalismo ideologico, il cui rifiuto comincia a crescere adesso anche nel vecchio continente. Bisogna liberarsene.

L’America che si presenta ora è un paese che vuole la semplicità, con i rischi e gli eccessi che questa scelta comporta, come l’assecondare il complottismo o la sfiducia nella scienza dei vaccini. O bianco o nero, o sei dalla mia parte o sei contro. E la semplicità porta a prendere decisioni elementari, ma forti. Come quella, appena annunciata, di raggruppare aziende tech capaci di investire fino a 500 miliardi di dollari per sviluppare l’Intelligenza Artificiale, e rafforzare il primato tecnologico che gli Usa ancora hanno nei confronti della Cina, ormai vicinissima sull’innovazione militare e industriale. Sarà l’Intelligenza Artificiale la chiave per la supremazia mondiale, e poco importa che subito siano state cancellate le regole che ne stabilivano i confini etici.

L’America ha fretta di vincere e sale sul ring con il progetto Stargate, per mettere all’angolo il suo antagonista cinese, come fece Ronald Reagan con l’Unione Sovietica, dissanguata nella perduta corsa agli armamenti. E’ semplice, c’è chi vince e c’è chi perde. L’America della semplicità di pensiero, con la sua nuova classe dirigente, si è messa in marcia in quella direzione. L’Europa guarda, paurosa e soprattutto ancora distratta. E la sua opinione pubblica non ha ancora capito che il mondo sta cambiando e non stimola la sua classe dirigente a intervenire: forse è troppo impegnata a guardare Masterchef in tivù.

Condividi: