(English translation below)
E’ il 1938 quando Salvador Dalì arriva in Italia solleticato da un’informazione per lui irresistibile: non lontano da Roma, in un bosco di conifere e di alberi sempreverdi, si nascondono sculture gigantesche e mostruose che sembrano fuoriuscire dalla viscere della terra. Evidentemente chi gli accenna a questo luogo sa bene che un artista eccentrico e rivoluzionario come Salvador Dalì non sa resistere al fascino ammaliante di una rivelazione del genere. Così il pittore surrealista parte dall’America, dove a quel tempo soggiornava, per venire a scoprire questo luogo di grande mistero. E grazie alle dritte di alcuni suoi amici italiani, ne rintraccia tutta l’arcana bellezza. E’ quello che oggi conosciamo con il nome di Sacro Bosco, in provincia di Viterbo. Ma che al tempo di Salvador Dalì era un luogo abbandonato all’oblio.

Photo by Vera Risi

Voluto dal principe Vicino Orsini nel 1550, il Sacro Bosco è un progetto artistico, filosofico e scultoreo unico al mondo, che nasce in pieno manierismo, ma che disattende tutte le regole tipiche del Manierismo. Qui infatti non c’è più la geometria tipica dei giardini rinascimentali, non esiste simmetria, l’ordine non ha alcun senso, la prospettiva è cancellata, il rigore è beffeggiato. Qui la sola regola che conta è la regola dello stupore. Quello stupore offerto da gigantesche sculture scolpite nella roccia vulcanica nel luogo esatto dove la natura le ha depositate e nascoste sotto una vegetazione rigogliosa.

Photo by Vera Risi

Qui il sentiero non è mai dritto e regolare, ma curva, s’inarca, sale, scende, per condurre il visitatore lungo un viaggio di scoperta che diventa un viaggio iniziatico tra simbolismi da decifrare e messaggi da carpire. Inutile cercare un’interpretazione univoca e inequivocabile delle opere scolpite. Ciascuna può essere interpretata secondo molteplici significati, seguendo innumerevoli ragionamenti, ora spirituali, ora mitologici, ora teologico-filosofici, ora esoterici. Qualunque sia la vostra interpretazione delle sculture osservate, proprio quando vi sembrerà di avere individuato la chiave di lettura, troverete qualcosa che metterà in dubbio il vostro ragionamento e che farà vacillare il vostro pensiero. Forse perché il senso profondo di tutto questo progetto va ricercato proprio nella fragilità dell’essere umano e nel concetto di effimero come elemento caratterizzante di tutta la vita umana. La fugacità della vita sembra essere il filo conduttore di un progetto che vide l’impegno dei più grandi artisti di quel tempo, ma i cui nomi costituiscono ancora oggi motivo di aspri dibattici tra storici e studiosi. Perché il principe non ha lasciato una documentazione storica sul suo Sacro Bosco, se non qualche epistola e qualche appunto.
Passato di famiglia in famiglia dopo la morte del principe Orsini, prima alla famiglia Della Rovere poi ai Borghese, l’enigmatico giardino resterà tuttavia dimenticato e trascurato per lungo tempo, fino a divenire luogo di pastura.

Quando Salvador Dalì scopre questo curioso regno del fantastico, vi ci pascolano infatti solo le pecore, ed i pastori, analfabeti, davvero credono che quelle creature mostruose siano state vomitate dalla Madre Terra per spaventare gli umani. Il pittore resterà talmente impressionato da questo luogo di arcana bellezza, da lasciarsi ispirare per alcune sue opere pittoriche, tra le quali la più celebre si chiama La Tentazione di Sant’Antonio, oggi esposta al Museo Reale delle Belle Arti del Belgio, nella quale alcune sculture del giardino sono dipinte secondo il suo sguardo surrealista.

La cosa straordinaria, è che noi, oggi, possiamo rifare quell’esplorazione stupefacente insieme a lui. Per poco, per circa un minuto e ventotto secondi, ma si tratta di un minuto e ventotto secondi pieni di fascino perché, accompagnati dalla voce retrò di un giornalista di quel tempo, possiamo vedere il pittore spagnolo mentre curiosa tra quelle sculture. Esiste infatti un interessante filmato dell’archivio storico dell’Istituto Luce che documenta la presenza di Salvador Dalì tra le opere di questo bosco. Una testimonianza straordinaria in bianco e nero che risale al 1948 e che racconta, con il lento e cadenzato ritmo giornalistico dell’epoca, la sua visita al parco e l’emozione della sua scoperta. Un filmato che svela anche l’impreparazione del giornalista, che definisce come barocche quelle ignote sculture, non avendo all’epoca ancora alcuna certezza storica sul luogo. Ci vorrà molto tempo infatti, e molti studi, per arrivare alla consapevolezza che abbiamo oggi di questo Sacro Bosco, pur conservando tutte le ambiguità che lo ammantano ancora oggi di mistero.

E’ stato solo dopo il viaggio di Salvador Dalì che il giardino ha ritrovato oggi la sua magnificenza, grazie al restauro effettuato negli anni ’50 dalla famiglia Bettini che ne è l’attuale proprietaria. Un viaggio che l’artista ha compiuto dunque non solo per placare la sua morbosa sete di conoscenza e per trovare nuova ispirazione per le sue opere, ma anche per restituire a noi tutti qualcosa che ci apparteneva, e che la negligenza, l’ignoranza o l’insensibilità ci avevano occultato per secoli. Un viaggio di inestimabile valore, custodito nel prezioso archivio storico dell’Istituto Luce Cinecittà.

ENGLISH VERSION

Salvador Dalì’s journey in the Sacred Wood of Bomarzo in a historical document of the Istituto Luce Cinecittà

It was 1938 when Salvador Dalì arrived in Italy, tickled by information that was irresistible to him: not far from Rome, in a forest of conifers and evergreen trees, gigantic and monstrous sculptures are hidden that seem to emerge from the bowels of the earth. Obviously, those who mention this place to him know well that an eccentric and revolutionary artist like Dalì cannot resist the bewitching charm of such a revelation. Thus the surrealist painter Salvador Dalì leaves from America, where he was staying at that time, to come and discover this place of great mystery. And thanks to the tips of some of his Italian friends, he traces all the mysterious beauty. It is what we know today as the Sacred Wood, in the province of Viterbo. But that at the time of Salvador Dalì was a place abandoned to oblivion.

Wanted by Prince Vicino Orsini in 1550, the Sacred Wood is an artistic, philosophical, and sculptural project unique in the world, which was born in full mannerism, but which disregards all the typical rules of Mannerism. Here, in fact, there is no longer the geometry typical of Renaissance gardens, there is no symmetry, the order has no meaning, the perspective is canceled, the rigor is mocked. Here the only rule that matters is the rule of amazement. That amazement offered by gigantic sculptures carved into the volcanic rock in the exact place where nature has deposited them and hidden under lush vegetation.

Here the path is never straight and regular, but curves, arches, rises, falls, to lead the visitor along a journey of discovery that becomes an initiatory journey between symbolisms to be deciphered and messages to be grasped. It is useless to look for an unambiguous interpretation of the sculpted works. Each can be interpreted according to multiple meanings, following innumerable reasonings, now spiritual, now mythological, now theological-philosophical, now esoteric. Whatever your interpretation of the observed sculptures, just when you seem to have identified the key, you will find something that will question your reasoning and that will make your thinking waver. Perhaps because the deep meaning of this whole project is to be found precisely in the fragility of the human being and in the concept of the ephemeral as a characterizing element of all human life. The transience of life seems to be the leitmotif of a project that saw the commitment of the greatest artists of that time, but whose names still constitute a reason for bitter debates between historians and scholars. Because the prince has left no historical documentation on his sacred grove, if not a few epistles and a few notes.
Passed from family to family after the death of Prince Orsini, first to the Della Rovere family and then to the Borghese, the enigmatic garden will nevertheless remain forgotten and neglected for a long time until it became a pasturing place.

When Salvador Dalì discovers this curious realm of the fantastic, only sheep graze there, and the shepherds, illiterate, really believe that those monstrous creatures were vomited by Mother Earth to scare humans. The painter will be so impressed by this place of arcane beauty that he will be inspired by some of his paintings, among which the most famous is called The Temptation of St. Anthony, work now exhibited at the Royal Museum of Fine Arts of Belgium, in which some sculptures of the garden are painted according to his surrealist gaze.

The extraordinary thing is that today we can redo that amazing exploration with him. For a while, for about a minute and twenty-eight seconds. But it is a minute and twenty-eight seconds full of charm because accompanied by the retro voice of a journalist of that time, we can see the Spanish painter while curious among those sculptures. In fact, there is an interesting video from the historical archive of the Istituto Luce which documents the presence of Salvador Dalì among the works of this wood. An extraordinary testimony in black and white that dates back to 1948 and which tells, with the slow and rhythmic journalistic rhythm of the time, his visit to the park and the emotion of discovering it.
A film that also reveals the journalist’s unpreparedness, who defines those unknown sculptures as baroque, not having any historical certainty about the place at the time. In fact, it will take a long time, and many studies, to arrive at the awareness that we have today of this Sacred Wood, while retaining all the ambiguities that still cloak it today in mystery.

It was only after Salvador Dalì’s trip that the garden has regained its magnificence today, thanks to the restoration carried out in the 1950s by the Bettini family who is the current owner. A journey that the artist has therefore made not only to quench his morbid thirst for knowledge and to find new inspiration for his works, but also to give back to all of us something that belonged to us, and that had been hidden for centuries by negligence, ignorance or insensitivity. A journey of inestimable value kept in the precious historical archive of the Istituto Luce Cinecittà.

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