Insegnare e punire, più che una parafrasi del celebre saggio del filosofo francese Michel Foucault, a me sembra la presentazione del nuovo pacchetto legislativo che è contenuto nel Ddl approvato in questi giorni in via definitiva alla Camera e riguardante le nuove norme sulla condotta a scuola.

Sono previste consistenti pene pecuniarie per chi aggredisce il personale scolastico, novità nelle sospensioni degli studenti, disposizioni più dure verso gli atti di insubordinazione e più in generale un inasprimento delle sanzioni in chiave indennitaria e per la tutela degli insegnanti, di fronte alla crescita degli episodi di violenza nelle nostre aule.

Condotta, il problema non è a valle
ma a monte

Al di là dei contenuti di questo pacchetto, sui quali si può discutere, c’è tuttavia un aspetto che considero ben poco appagante: se l’istruzione è arrivata al punto di intervenire con tali misure restrittive, il problema non è “a valle” ma a “a monte”.

La punizione, a mio giudizio, attesta sempre il fallimento del sistema educativo, da qualunque parte la si voglia guardare.

Forse la vera strategia da mettere in atto per una riforma della scuola è da ripensare facendo un passo indietro, tramite interventi in grado di intercettare le forme di malessere prima che queste si possano tramutare in episodi di violenza, specialmente quando si tratta di soggetti nella fascia d’età dei nostri ragazzi.

È necessario dunque ripensare all’approccio di chiunque operi nella scuola a partire proprio dalla filosofia di chi entra in classe: non ci sono soluzioni facili ma ci sono grandi pensatori che, seppur nel passato, hanno dato un contributo determinante in questa direzione.

Tra questi spicca, per fare un esempio, la riflessione del pedagogista brasiliano Paulo Freire che nella metà del secolo scorso riuscì a problematizzare le grandi diseguaglianze del sistema educativo ponendo al centro del suo pensiero la liberazione del popolo attraverso l’alfabetizzazione e la presa di coscienza dello studente: quella che è conosciuta come pedagogia degli oppressi.

Solo partendo dalla comprensione del desiderio di riscatto di questi ultimi, allorché il riscatto sia inteso come piena affermazione della democratizzazione della scuola oltre le disparità sociali di ogni individuo, si può tracciare una strada all’educazione popolare.

Non solo però il grande pedagogista brasiliano. A Paulo Freire possiamo affiancare John Dewey, Maria Montessori, Célestin Freinet e tanti altri maestri dai piedi scalzi, tormentati più dalla ricerca dell’emancipazione che dalla punizione educativa.

“Abolite la cattedra […] e rimboccatevi le maniche per lavorare con i vostri bambini”

Célestin Freinet, I detti di Matteo. Una moderna pedagogia del buon senso, 1959.

Scuola come “eterno cantiere”

Freinet sosteneva che dovesse essere formate delle nuove generazioni di costruttori che frugassero il sole e che scrutassero l’universo sempre geloso dei suoi misteri. La metafora dell’officina in cui operano allievi artefici del proprio destino si affianca allo spirito di ricerca emancipatrice del popolo, presente nelle osservazioni di Freire.

“Non importa se la vostra scuola dovrà restare un eterno cantiere, poiché niente è più esaltante di un cantiere”

Célestin Freinet, I detti di Matteo. Una moderna pedagogia del buon senso, 1959.

Le idee del pedagogista francese sono oggi portate avanti dal Movimento di Cooperazione Educativa (MCE), nato come associazione nel 1951 e sempre impegnato nelle attività di aggiornamento di dirigenti e docenti, all’insegna del principio di una scuola che consideri sempre irrinunciabili la cura degli ambienti educativi, la relazione, l’integrazione sociale e la didattica attiva incentrata sulla cultura dei soggetti in formazione.

Alla fine, l’assioma è sempre stato lo stesso per tutti questi pensatori: cioè che con lo studio e la collaborazione si possono ottenere gli strumenti per raggiungere l’emancipazione.

Con la punizione, francamente non credo.

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