Paolo Gallo, che di Italgas è amministratore delegato dal 2016, ne è fermamente convinto: per permettere al Paese di crescere ed affrontare la necessaria transizione energetica bisogna rafforzare l’impegno per la trasformazione digitale delle infrastrutture. E per farlo, va modificato l’approccio all’evoluzione del lavoro, va fatta una rivoluzione copernicana del mindset, vincendo la resistenza umana al cambiamento.

Paolo Gallo Ad Italgas

Una regola che vale per tutt*, e che è in fin dei conti semplice per un’entità appena nata, tipo una startup. Ma per Italgas, che per decenni è stata percepita come l’azienda dell’omino del gas, quella che mandava l’operaio a casa per fare l’allaccio del contatore alla rete e permettere di cuocere la pasta, è più complicato, davvero una rivoluzione copernicana, fuori e dentro l’azienda.

Peter Durante è una delle persone che in Italgas la rivoluzione ha dovuto organizzarla e continua a farla. Gallo l’ha scelto come capo delle risorse umane, e usando termini anglofoni si occupa di Innovation and Transformation.

“L’amministratore delegato ci chiedeva di dare un cambio di passo – dice – e riscrivere il nostro brand, che era poco attrattivo. Dovevamo passare da “gasisti” classici a una “network company” per attrarre le figure professionali che ci servivano. E una delle prime mie idee è stata quella di riscrivere la “mission vision” aziendale”.

Durante, Italgas è un classico caso di come le aziende debbono cambiare l’approccio per intercettare la domanda di lavoro e creare una nuova spina dorsale di competenze e talenti. Cosa avete fatto, allora?
Intanto ci siamo resi conto che la prima cosa su cui lavorare per attrarre le persone è il purpose, lo scopo dell’azienda. E fin lì è facile. Più complicato è stato spiegarlo e portare a bordo chi per 30 anni aveva già fatto l’operaio, appunto l’omino che veniva a portare il contatore a casa. Lui era Gas ancor prima che Ital. Cioè per lui la vita era legata alla vita del gas. Cambiare? Uno shock. Allora abbiamo fatto una bellissima opera di ingaggio di tutta la nostra popolazione, spiegando, anche a cena, che nel nostro corpo non c’è solo la parola gas: noi vendiamo decarbonizzazione, impatto zero. Sono saliti a bordo tutt*, anche i vecchietti in azienda da 30 anni e con l’elmetto blu portato con orgoglio”.

Gli anziani a bordo. E cosa chiedono invece i giovani e cosa offrite? E come sta cambiando il mondo del lavoro?
Il mondo del lavoro è cambiato più che con la pandemia e il lavoro in remoto con la globalizzazione e la comunicazione sui social. I giovani che cercano lavoro sono una community che si parla e si scambia informazioni. Quindi ora succede che siamo noi all’inseguimento per le figure che servono. Nell’ultimo anno per colloqui finiti con candidat* sotto i 30 anni abbiamo avuto un 60% di rifiuti entro i 3 giorni successivi. La metà probabilmente si era fatta avanti per ottenere un rilancio dall’azienda di provenienza, gli altri no.

E come lo spiega?
I giovani si stanno riappropriando della propria vita lavorativa. Cercano fino in fondo nell’azienda dei valori in cui credono. Dichiarano nei colloqui che cercano una posizione che sperano duri tre anni, perché poi vogliono fare dell’altro. Impatto è la parola che in questo momento storico contraddistingue questa generazione: più che lo stipendio cercano una visibilità per l’impatto che si lascia.

Entro il 2030 quasi tutte le aziende italiane dovranno preparare un bilancio di sostenibilità sociale. Non solo ambiente, ma anche impatto sociale e governance. Siete pronti?
“Da un punto di vista sociale stiamo facendo tantissime attività, e abbiamo inserito il capitolo Esg nel nostro piano strategico. Oggi abbiamo minimo una persona su tre di sesso femminile in posizioni di responsabilità: 5 anni fa era meno del 10%. Sul gender pay gap ci siamo impegnati a ridurlo entro un margine del 3% entro il 2030, e già oggi siamo più avanti di altri perché il gap è circa il 9% . Non credete alla media del pollo di cui narra la stampa, che parla di un gap del 27-30%: bisogna guardare ai livelli. E se guardi a quelli la verità è che non diamo la possibilità alle donne di salire nella gerarchia aziendale, ce ne sono tantissime a livello impiegatizio e di quadro e poche in posizioni dirigenziali. Non va bene.

Poi c’è il tema della diversità…
Ci abbiamo messo pochissimo a capire che siamo tutt* divers*. Quindi togliamo la parola diversità. Concentriamoci un po’ sulla parola inclusione, nel senso che ormai, ora che sappiamo che tutt* siamo divers*, dobbiamo essere disponibili a lavorare tutt* assieme. E come lo facciamo? Attenzione, perchè l’ inclusione non è solo di genere, un termine ormai abusato. La principale difficoltà che abbiamo in Italia è l’inclusione intergenerazionale. Curioso, no?

Ci spieghi.
Noi facciamo “reverse mentoring” L’accordo non scritto è che i giovani danno un po’ della parte digital ai vecchietti e i vecchietti ti danno cultura, contenuto, prodotto ai giovani. Beh, posso dire che sono più generosi e inclusivi i vecchietti dei giovanotti. E questo deve dar da pensare, perchè questa nuova generazione, che tanto ama pensarsi tanto inclusiva, lo è poco.

Paolo Gallo Ad Italgas

Poco inclusivi, e poi se ne vanno all’estero. Cosa li attrae così tanto?
Io, che posso essere considerato un cervello di rientro, ho una visione particolare. Ho fatto 9 anni all’estero avevo voglia di rientrare perché abbiamo qui il privilegio di vivere in uno dei posti più belli al mondo. Quello che li allontana dall’Italia è la mancanza di facilità nel fare le cose. Qui tutto è farraginoso, dettato dalla burocrazia. A vincere invece è la semplicità. in Italgas abbiamo dato più peso all’iniziativa singola e alla digitalizzazione. Abbiamo montato la tecnologia Picarro sulle jeep per monitorare le reti, e le stiamo esportando all’estero. E il fatturato è raddoppiato. I nostri dipendenti non perdono tempo per arrivare in azienda e sapere cosa fare sul territorio, lo sanno guardando l’Ipad. E risparmiano 30 minuti di traffico…

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