Conversazione con Colum McCann, uno dei più grandi scrittori contemporanei, ma anche attivista dei diritti umani e ispiratore di Narrative 4, l’organizzazione che attiva la comprensione reciproca fra le persone attraverso il racconto della propria storia.

Narrative 4 si basa su una scommessa: che ciò che accade ai lettori con i personaggi dei romanzi – cioè riuscire a vivere le loro vite e spesso trovare un pezzo di sé anche nel personaggio apparentemente più ripugnante – possa essere riprodotto allo stesso modo quando persone in carne e ossa svelano le trame della loro vita e la confrontano con quelle degli altri. Davvero il processo che si mette in moto funziona alla stessa maniera? O quanto o in che modo invece è differente?
Non la definirei tanto una “scommessa” quanto un’intuizione consapevole. Narrative 4 è partita 11 anni fa, quando abbiamo riunito un certo numero di scrittori tra le montagne del Colorado e abbiamo iniziato a esaminare la natura delle storie e della narrazione. Lisa Consiglio, mia co-fondatrice di N4, è stata la mente di questa iniziativa. Aveva già organizzato una serie di “scambi” tra giovani e voleva sfruttare il potere delle storie. Quando ci siamo riuniti e ci siamo scambiati le nostre idee, abbiamo capito che avevamo trovato un’arma di potenza atomica. 

Entrare l’uno nella storia dell’altro e raccontarla in prima persona squarcia le nostre anime, aprendole all’altro.
Da lì in poi si è trattato di capire come costruire questa cosa, come renderla globale e come usare la narrazione per aiutare a guarire un mondo sempre più diviso. Le storie sono la nostra grande democrazia. Le storie le abbiamo tutti. Delle storie ne abbiamo bisogno tutti. Le storie attraversano tutti i confini. Non ci sono restrizioni nel tempo o nello spazio.

E tu hai ragione a dire che è fondamentalmente un esercizio letterario calarsi nei panni di un altro carattere. Però questa è la vita reale e ci sono questioni reali in gioco. Ogni volta ci rendiamo conto che le persone vogliono che gli altri conoscano la loro storia. Riuniamo persone, che si trovano da una parte all’altra di un confine (sociale, politico, ecc.), che si raccontano una storia personale.

Improvvisamente queste persone realizzano di non essere così diverse come pensavano. 

La distanza tra due persone persone non è niente di più che una storia.
Noi vogliamo che le persone sentano il loro valore. Vogliamo che si percepiscano autentiche. Ogni percorso si conclude con un fatto evidente: che le storie ci fanno bene. Sono una forma di medicina narrativa. Noi stiamo creando una narrazione per il cambiamento sociale, basandoci sulla convinzione che dobbiamo vedere il mondo, e noi stessi, in modo diverso attraverso uno scambio di storie. Tu ti assumi la responsabilità della mia vita, io mi prendo cura della tua. 

Le storie sono il motore di ciò che siamo. Sono un’arma potente. Dobbiamo trattarle con rispetto.
Ci scambiamo le storie: dopo averla ascoltata, tu racconti la mia storia, io racconto la tua. Insieme riconosciamo la necessità di un cambiamento. Questo cambiamento porta all’azione.

I giovani confrontano le storie della loro vita

Oggi i giovani si raccontano continuamente sui social network, fanno della loro vita una narrazione egotica senza confronto, riflettendo un’immagine in cui l’altro rimbalza, senza che avvenga alcuna osmosi. Sicuramente anche i giovani che si avvicinano ai vostri programmi hanno questa esperienza di narrazione di sé sui social network: qual è il momento in cui diventano consapevoli del salto di conoscenza che permette loro una narrazione che prevede il confronto ravvicinato con l’altro? E anche del dolore che questo può comportare?
È difficile essere giovani al giorno d’oggi. C’è stata un’epidemia di solitudine e di isolamento che viene rafforzata dal fatto che tutti noi trascorriamo così tanto tempo in una scatola di vetro e silicio da cinque pollici che ci portiamo dietro ovunque. Tutto riguarda per lo più noi stessi, e tu hai ragione, c’è veramente poca osmosi. O almeno, qualsiasi osmosi avviene a un livello superficiale. Ma non credo che i giovani siano particolarmente egotici. Io credo che che si tratti più di una scatola da cui è difficile uscire. Non abbiamo usato la nostra tecnologia in modo da favorire questi giovani…. ma N4 sta cercando di combattere anche questo, sviluppando una piattaforma online. Una sorta di Facebook dal cuore generoso, se vuoi. Siamo ancora in una prima modalità pilota. L’importante è non biasimare i giovani. Biasimiamo noi stessi. 

Guardiamoci allo specchio e vediamo cosa abbiamo sviluppato. Cerchiamo di capire che sono le storie degli altri che alimentano il mondo.
Quando questi giovani si riuniscono in un contesto di N4, si trasformano. Hanno la possibilità di passare del tempo faccia a faccia. Improvvisamente il mondo è più complicato di uno schermo piatto. Diventano consapevoli l’uno dell’altro. Non si tratta più tanto di confrontarsi, quanto di rivelarsi. E possono aiutarsi l’un l’altro proprio con il dolore.

Quanto sono capaci le persone di narrare se stesse? E nel momento in cui la loro vita si trasforma in una narrazione – cioè non è più quel pulsare urgente di sangue, respiro, sudore – quanto si discosta dalla sua verità, come accade a ognuno di noi nel narrare se stesso? E qual è il momento in cui scatta invece l’opposto, quando la trama narrata recupera quel pulsare di sangue, respiro, sudore, e riesce (forse proprio perché, a volte, deve passare attraverso il tessuto della finzione) a far luce sul lato in ombra della vita?
Tutti hanno una storia. Tutti. E tutti possono raccontarla in una forma o nell’altra. La narrazione non è un’Olimpiade. Ogni storia è importante. Non c’è oro, argento o bronzo. A volte i giovani vengono da me e dicono: “Non ho una storia”. Ma è ovvio che ce l’hanno. Le storie devono solo essere scoperte. Quando le trovano, si sentono convalidati in una maniera straordinaria. E poi, quando sentono quella loro stessa storia che viene raccontata da un altro, si sentono doppiamente convalidati.

Noi troviamo che raccontano storie “vere”. È davvero sorprendente. Credo che questo abbia a che fare con il fatto che stanno dando la loro storia a un’altra persona. È come un dono. Arriva avvolto nelle parole. E vogliono che sia reale. Quindi non si discostano molto dalla verità. E poi, quando scatta il momento opposto, come tu hai giustamente detto, succede qualcosa di straordinario. Si preoccupano della storia dell’altro, a volte più della propria.

Si sono calati nei panni di un’altra persona. E vogliono essere fedeli a quell’esperienza. 
Naturalmente, alcune persone possono inventare le cose. Ma questo è il mondo reale. Per molti versi, siamo tutti finzioni.

C’è poi una seconda scommessa su cui si basa N4: che l’empatia suscitata dall’incontro di vite, dopo aver trasformato le persone, riesca anche a trasformarsi in azione, e quindi nel cambiamento – a piccoli passi – della società. Al di là del cambiamento di opinione e di atteggiamento, quanti giovani, dopo aver sperimentato N4 diventano attivisti per una causa? N4 li segue semplicemente testimoniando questo percorso di attivismo o, ancora una volta, è anche supporto e parte attiva di questo?
Tu hai talmente ragione. Viene suscitata l’empatia. E l’empatia non è sufficiente. L’empatia ha bisogno di azione. Che porta poi al cambiamento. Si tratta di piccoli passi, sì. 

Che si tratti di ragazzini del Bronx che iniziano a lavorare con le vittime di armi da fuoco, o di giovani sudafricani che avviano un programma di raccolta differenziata, o di studenti in Irlanda che iniziano a fare delle camminate di 4 chilometri raccontandosi storie. 

Tutte queste piccole azioni portano a un senso più ampio di possibilità e cambiamento. Tutto ciò che è minuscolo alla fine diventa epico. Scopriamo che molti dei nostri giovani seguono effettivamente l’etica N4 per tutta la vita. È sorprendente. Non ho le statistiche (ma ti presenterò i miei colleghi che hanno una migliore comprensione di queste cifre). Vogliamo essere in grado di sostenere questi giovani come parte di una rete globale. La chiave della trasformazione risiede nella condivisione: quando ascolti la storia di un altro abbastanza profondamente da abitarla e ri-raccontarla come se l’avessi vissuta, tu diventi “l’altro” e vedi il mondo attraverso i suoi occhi.

Il potere è nell’atto attivo di ricevere e prendersi cura della storia di un altro. È empatia radicale. Questi scambi di storie costruiscono una fiducia reciproca che strappa via ogni cinismo e disperazione e crea spazio per la speranza. Si formano nuove comunità e si creano nuove narrazioni: una narrazione per l’immigrazione, una narrazione per l’ambiente, una narrazione per la religione, una narrazione per la pace…

Diffusione di Narrative 4 nel mondo

N4 presente in molte parti del mondo, avete fatto un tentativo di portarla in Italia? E se sì, quali difficoltà avete trovato?
Abbiamo… lascio a una tua prossima conversazione con Lee Keylock il compito di farvi conoscere un po’ di più quello che abbiamo fatto in Italia…

Il 23 agosto Colum Mc Cann sarà al Meeting di Rimini con i due protagonisti del suo romanzo Apeirogon, l’israeliano Rami Elhanan, padre di Smadar, uccisa in un attentato suicida e il palestinese Bassan Aramin, padre di Abir, uccisa da un soldato israeliano mentre andava a scuola.

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