E’ da un po’ che la condizione delle donne in Iran non è più sulle pagine dei giornali. Per questo mi va di scriverne.

“Finchè c’è una sola donna al mondo, discriminata o oppressa in quanto donna, nessuna di noi può sentirsi libera”. Questa non è una dichiarazione ovvia e leggera, da condividere senza starci troppo a pensare. E’ una condanna al dolore condiviso, alla condivisione della rabbia, della stanchezza, della paura.

Se crediamo fino in fondo a questa frase, le 106 donne impiccate sotto la presidenza di Rohuani, le studentesse imprigionate e torturate dal suo successore, le decine di persone condannate a morte da quando l’uccisione di Mahsa Amini ha innescato la protesta per la libertà, sono un lutto personale per ciascuna di noi, un lutto: come per la perdita di una figlia, di una sorella, di una madre.

Non possiamo scansarci, non possiamo minimizzare, come hanno fatto le quattro nazioni che, segretamente, hanno votato perchè un rappresentante del governo iraniano sedesse, avesse un suo legittimo seggio, nella Commissione delle Nazioni Unite sullo status delle donne.

L’inciviltà alberga in Iran

Sì, lo so, adesso l’hanno cacciato, ma prima c’era. C’erano anche Afghanistan, Pakistan, Mauritania e Nigeria? Altri lupi misogeni a sedere dove si discute della condizione di vita degli agnelli?

E’ intollerabile che il mondo civile non reagisca ad una violazione così grave e costante dei diritti fondamentali degli esseri umani. Chiediamoci allora qual’è il mondo civile? Il mondo civile è quello che riserva alle donne le stesse opportunità, lo stesso rispetto, gli stessi diritti che riserva agli uomini.

“Il grado di civiltà di un Paese si misura dalla condizione delle donne”, così Charles Fourier, nato nel 1772 e morto nel 1837. Un utopista, che ci parla ancora.
E parla chiaro.

Dunque l’Iran è il più incivile dei Paesi. Perchè quei grandi esportatori di democrazia che sono i nordamericani non se ne occupano? Perchè le anime belle che inondano l’Ucraina di mezzi di distruzione non fanno una piega di fronte ai criminali attacchi alle libertà personali e alla vita stessa delle cittadine iraniane?

Un Paese dove le donne non possono vestirsi come vogliono, sposarsi con chi vogliono, ereditare beni, andare in bicicletta, andare allo stadio, cantare, ballare e studiare quello che hanno scelto di studiare, che grado di inciviltà ha raggiunto?

Che cosa aspetta, il mondo civile, a bloccare i traffici commerciali con l’Iran, ad applicare sanzioni devastanti, a congelare i beni delle elites accatastati nei nostri laici Paesi, a inondare di visti tutte le ragazze e donne che vogliono scappare dal controllo della feroce dittatura religiosa?

L’Occidente può farlo e deve farlo. Dobbiamo farlo, dobbiamo accogliere le ragazze coraggiose perchè restino ragazze coraggiose e non diventino martiri della ribellione.
Le vorremmo qui, vorremmo andare a prenderle una per una. Eppure, egoisticamente, preferiamo, che rimangano lì a manifestare la loro ribellione.
In piazza. Per le strade di Theran e non solo.

L’orco e le bambine

Preferiamo guardarle lottare. Perchè stanno facendo quello che bisogna fare. E lo stanno facendo con una determinazione che commuove noi e spaventa il regime di Ibraim Raisi.
Perchè questo sta succedendo, si sta realizzando questa fiaba: l’orco ha paura delle bambine.
Il potere ha paura delle ragazze. Perchè le ragazze sono coraggiose e forti. E il loro obbiettivo è la libertà. Un obiettivo gigantesco. Che ha trascinato in piazza anche gli uomini.

Gli uomini: che possono cantare e andare in bicicletta e non devono nascondere i capelli e possono coprire qualsiasi carica pubblica ma non possono vivere. Perchè non puoi vivere accanto alle vittime di un genocidio di genere, senza reagire.

Senza provare vergogna d’appartenere al genere maschile, senza provare a sostenere e a proteggere dall’onda d’urto dell’intransigenza religiosa le tue figlie, le tue sorelle.

Quando le donne si sono strappate per la prima volta dalla testa quel simbolo di sottomissione, quell’impudente pezzo di stoffa che impone loro di vivere il proprio corpo come una tentazione del demonio da nascondere all’occhio libidinoso dell’uomo, e non come parte della propria individualità, ha incominciato a tremare un mondo, un linguaggio, una ideologia. Il mondo ottuso e sorpassato della supremazia maschile.

Le donne si sono scoperte i capelli e scoprendoli hanno innescato una rivoluzione.
E questa rivoluzione non smette di divampare. Da quando le donne, e gli uomini di buona volontà, sono scese in piazza, è cambiata l’aria in quel Paese.
Si respira. Si trema, anche, ma si respira.

Da leggere vi consiglio un romanzo (no, non è un romanzo), un memoir, di una giovane (no, non è giovane, ha 43 anni): Fuani Marino. Si intitola Vecchiaccia e cerca, senza troppa fortuna, di far divampare l’odio dei giovani (cioè i quarantenni che se la tirano) verso gli odiosi boomer, che sono vecchi decrepiti e non si decidono a morire o almeno a farsi da parte. E incominciare ad annoiarsi.
Come film vi consiglio un classico della mia generazione, quando eravamo dei trentenni. Il Grande Freddo di Lawrence Kasdan,1983.

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