Se fossi un dittatore, (come ho sognato di essere per gran parte della mia infanzia), oltre a costringere la gente a bruciare alcuni libri, praticamente tutti quelli che escono a Natale e in estate, compresi i miei, la obbligherei non a leggerne altri ma ad iniettarsene alcuni direttamente in vena.  

Un libro che ficcherei nei vaccini è La Pazzia delle folle, scritto da Douglas Murray, giornalista, commentatore politico britannico, editore associato della rivista politica e culturale britannica The Spectator e soprattutto, gay.

Sottolineo il suo orientamento sessuale, primo, perché mi diverte ricordare quanto ormai la scelte erotiche di una persona debbano precederla e secondo, perché se questo libro ci venisse consegnato con la copertina nera e senza titolo, come si fa con le etichette dei vini in degustazione, giammai diremmo che a scriverlo sia stato un omosessuale.

Non è colpa nostra, ma come al solito di chi ci educa: abbiamo un limitatore preimpostato che ci impedisce di considerarci persone libere, a prescindere dal pensiero che sia più adeguato avere su questo o quell’argomento.

Il libro della mia vita

Devo ammettere che sono arrivata solo a pagina 60 di questo libro qui, eppure sento che sarà uno dei libri della mia vita: se si fa con l’amore perché non si può fare coi libri, che ti innamori di uno sconosciuto, già dalle prime righe?

La Pazzia delle folle è un testo in cui una persona di grande talento e cultura esibisce anche una mente di straordinaria apertura, come non se ne vedevano da anni e perciò me ne sono innamorata e me ne frego se non sarò corrisposta poiché io e l’autore abbiamo orientamenti diversi perché io, alla non corrispondenza sono allenata alla grandissima.

A pagina 19, ad esempio, Douglas del mio cuore racconta brevemente cosa sia la sindrome di San Giorgio in pensione: quella patologia per cui, una volta combattuto un drago alias impresa leggendaria, si diventa così dipendenti dalla sensazione provocata da battaglie gloriose, che si vaga alla ricerca di qualsiasi tipo di mostro purché ci si possa combattere!

Bestie di varie misure ed entità e, a volte persino immaginarie che ci consentano di sbracciarci, roteando la nostra spada nel vuoto, in nome di qualcosa che ci disseti.

Questa è un’operazione ridicola che prima o poi accade a tutti: un tempo ci succedeva da ubriachi mentre oggi purtroppo ci accade da lucidi.

Nel 2012 presi una pesante sbronza a Madrid e scoppiai a piangere in un piccolo bar a Lavapies gridando ai presenti che gli italiani non erano tutti come Berlusconi! A nessuno fregò un cazzo ma io ero talmente furente nella mia battaglia che tanto bastava a riempirmi e a convincermi che fosse davvero così, che in tanti italiani non riposasse davvero il seme del male berlusconiano; ed era vero: solo che rappresentavo una minoranza. Fu grazie all’indifferenza del prossimo che non mi scaldai ulteriormente e riuscìi a tornare a casa senza passare per il commissariato.

Questo sciocco aneddoto per dire che a volte l’indifferenza della gente ci salva il culo, soprattutto se serve a non ingigantire i nostri mostri sfigati.

Perché questa non è un’epoca di grandi battaglie contro il sistema ma di grandi risse contro i prodotti del sistema, e Douglas del mio cuore questo lo spiega assai bene nel suo libro.

Risse che mettano da parte una nostra probabile concreta azione politica, che ci fa venire solo una brutta gastrite, e che si limitino a masturbare il nostro desiderio di sentirci partecipativi in qualche buona causa, come l’eurino donato con un sms o il cappellino arcobaleno.

E allora giù con il fronte liberazione professionisti dal lunedì affinché si abolisca questo giorno così di merda che non permette una gradualità fra la bellezza spensierata della domenica e l’ansia micidiale del lunedì mattina.

Oppure potrei proporre la libertà di scelta alla sterilizzazione da parte degli animali da compagnia o l’obbligo di dire alle donne quanto stanno bene vestite così ma solo da parte delle donne sennò è violenza.

Proporrei di batterci per liberare i benzinai dalle divise: mi pare giusto doverseli andare a cercare tra la gente, negli autogrill senza poterli identificarli subito e per colpa di quei berretti con le visiere rosse e blu di merda! Non è giusta l’uniforme, a questo punto estendiamola a tutti.

Mi piace immaginare di farmi operare da un dottore con la tuta dell’Adidas.

Battiamoci insieme per il vino bianco servito mai più sopra gli otto gradi,  battiamoci per il diritto d’insulto al vigile urbano se insiste col fischietto che ci sveglia il bambino.

Lottiamo per liberare i talenti dai giudici: che ci vadano da soli alla tv che è già abbastanza penoso, non hanno bisogno anche dei vip.

Facciamo dei brainstorming e creiamo del shitstorming così potente da non riuscire più a vedere i problemi grossi che ci fanno venire le malattie e cambiano i connotati alle costituzioni; una tempesta di inutili feci così imponente da non riuscire più a vedere la strada, talmente il marrone ci accechi.

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