Mi sarebbe tanto piaciuto essere una persona fortunata ma non capita che in sporadiche occasioni, tipo quando devo trovare parcheggio in centro città, situazione in cui ho un vero culo esasperato oppure quando lascio l’acqua a bollire sul fornello ed esco, ma qualche angelo di Dio mi fa sempre tornare prima dell’incendio.

A parte queste sciocchezze, sono un individuo sfortunato e tutto il bello ottenuto lo devo alla perseveranza piuttosto che alla buona sorte.

A conferma del mio essere poco fortunata, oggi mi ritrovo a fare contemporaneamente gli unici due mestieri che il mio paese sembra voler cancellare: intrattenimento dal vivo e, peggio mi sento, satira.

E se il teatro ha smesso di entusiasmare la massa da almeno cinquant’anni e quindi, forse la mia generazione, almeno sotto questo aspetto, non è del tutto colpevole, mi domando invece perché la satira sia stata letteralmente bannata dalle possibilità d’intrattenimento; eppure qualsiasi paese ha bisogno del teatro e qualsiasi paese in difficoltà ha bisogno di satira.

L’unica risposta sensata me la offre Fisher che, nel suo saggio The Weird and the Eerie  sostiene che la risata provocata dalla satira non emani buon senso mainstream ma un altrove psicotico, un’eruzione psicotropologica di associazioni mentali e rancori, il cui vero oggetto non sia certo il venir meno dell’onestà ma l’illusione che la dignità umana sia ancora possibile. 
Alla luce di questa rivelazione, la satira può offrire paradossalmente un riscatto purificatore e denso di speranza a chi abbia voglia di accoglierla.

Così, ad intuito si capisce perché la satira sia venuta meno, proprio in questo preciso momento storico, proprio in questo paese.
Letteralmente sbranata da un nuovo, febbrile e stomachevole perbenismo collettivo che mastica il senso critico individuale a favore di un codice comportamentale omologato come non mai, diluito, meccanicizzato e di serie, la satira non è più capita ed analizzata ma disprezzata e tacciata di essere tutto ciò che rappresenterebbe il suo opposto, in un contesto intellettuale sano.

Poca roba mi fa imbestialire come l’incomprensione coatta, quel maleficio per cui se uso sagacia, il mio interlocutore capisce il contrario di ciò che intendo dire; m’imbestialisco ma non per questo rinuncio alla sagacia perché, ve l’ho detto, sono perseverante.

Ormai sappiamo come doverci comportare e quali siano i limiti che stabiliscono su cosa si possa scherzare e su cosa non ci sia proprio niente da ridere ed è questa l’eresia poiché tali limiti uccidono la satira.

Esempi sciocchi ma didattici: si può scherzare sull’ecatombe del Covid? E sulla possibilità che qualcosa non torni, a riguardo? Si può far satira sui vaccini o sulle donne picchiate? Possibile ridere della comunità LGBT, in generale? Chi ha ancora voglia di far satira politica? Ma poi su chi, farne?!

Non è satira la comicità regolamentata dalla restrizione su certi temi delicati.

I soggetti su cui pare sia meglio non ridere sono proprio quelli che la satira ricerca con più forza perché attuali e degni di essere analizzati dall’umorismo che concorre a sostenere l’umanità, grazie al balsamo che porta con sé: il distacco.

L’etimologia di scherzare non trova radici nel disprezzo o nel ripudio ma nel saltellare allegramente e, se non bastasse ciò a far sorridere, l’etimo è pure tedesco!
Scherzen è termine crucco:  se un popolo come quello è riuscito a produrre una simile, spensierata parola, che brutta gente siamo divenuti noi per limitarla ed attenuarne l’allegrezza?

Criticando i costumi, questi si comprendono meglio ed è possibile analizzarne tutte le angolature e proprio per questo motivo, quello satirico è uno strumento civico.
Dunque, il punto critico potrebbe trovarsi lì, nel luogo dove risposa il nostro interesse ad essere cittadini con strumenti attivi fra le mani, anche quando questi strumenti sono puntati contro di noi.

La decadenza del giornalismo nostrano ed il neo-bigottismo contemporaneo sono fra le conseguenze della caduta in disuso della satira come del nostro attivismo civico.
La risata può salvare solo se viene innescata da chi abbia desiderio di voler salvare piuttosto che emarginare.

Sia Kant che Schopenhauer collegano la risata ad una momentanea defamiliarizzazione, all’incongruenza o meglio, allo scontro di aspetti incongrui: cosa c’è di più incongruo dell’attualità?
Ecco allora il principale scopo della satira: rendere gli individui capaci di riconoscere l’incongruo, specialmente quando tutti i processi politici e sociali si sforzano di renderlo congruo.

Quando tutti gridano all’unisono qualcosa, qualsiasi cosa, c’è sempre da spaventarsi.
Ma quando tutti gridano all’unisono “Bisogna pensare così, è normale pensare così”, ecco che la satira deve intervenire per gridare “Normale, un cazzo!”.

Bisogna però tirarsi fuori dall’unisono, per riuscirne a sentire il grido.

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