Si chiamavano Guerrilla Girls. Un nome che dice già tutto. Era il 1985 e avevano voglia di combattere, di lottare, di urlare e far cessare quel silenzio imbarazzante. L’anno precedente c’era stata al Metropolitan Museum di New York la mostra International Survey of Recent Painting and Sculpture: una panoramica del mondo dell’arte attraverso 195 opere per 169 artisti. Le Guerrilla Girls, che ancora non si chiamavano così, ma che questo diventano dopo la conta, si accorgono che meno del 10 per cento di quella Survey era composta da donne: soltanto 13, su 17 Paesi. Dopo poco se ne escono con un manifesto che ritrae una Venere con la faccia da gorilla, sdraiata di schiena su un divano e la scritta “Do women have to be naked to get into the Met. Museum? Less than 5% of the artists in the Modern Art Section are women, but 85% of the nudes are female”. (Ma le donne devono essere nude per entrare al Metropolitan Museum? Meno del 5% degli artisti della sezione di arte moderna sono donne, mentre l’85% dei nudi sono di femmine).

È proprio questo l’argomento dell’intervento di Rory Cappelli, tra le fondatrici della nostra galleria, la Crumb Gallery di Firenze, il primo centro espositivo europeo ad esporre soltanto artiste donne, alla tavola rotonda del ReWriters Fest. dal titolo La riscrittura attraverso la cultura delle donne, i nuovi femminismi, il pensiero divergente, che si terrà dalle 10 alle 12 di sabato 16 ottobre (per prenotare qui).

La situazione, nonostante siano passati 37 anni dal 1984, non è molto cambiata. Mano a mano che si sale nella piramide per arrivare all’imbuto intasato e inestricabile di collezioni, aste, musei pubblici, financo delle Fiere, o manifestazioni come la Biennale di Venezia, le donne si fanno più rarefatte, neanche si salisse sull’Everest dove a tratti è quasi impossibile respirare. Per non parlare dei guadagni degli artisti e delle artiste che raggiungono differenze che hanno dell’incredibile.

Uno studio pubblicato nel 2017 dal titolo Is Gender in the Eye of the Beholder? Identifying Cultural Attitudes with Art Auction Prices in questo senso ha fatto un lavoro enorme: ha analizzato un milione e mezzo di transazioni in 45 Paesi, documentando un gap di quasi il 50 per cento  (47, 6%) tra i prezzi d’asta dei dipinti realizzati da uomini e quelli realizzati da donne. Con un’importante, importantissima segnalazione: guardando un dipinto nessuno è in grado di capire se è stato fatto da una donna o da un uomo. È dunque proprio sapere che quel dipinto è realizzato da una donna che ne fa scegliere un altro, o abbassare il prezzo, non la sua qualità intrinseca. Non stupisce quindi che dei 95 oggetti, da dipinti a gioielli, più cari battuti nelle aste, secondo i dati di Barnebys che ha analizzato quasi 75 milioni di aste, non ce ne sia neanche uno a firma di una donna. Mentre, proprio come sottolineavano le Guerrilla Girls, i nudi feminili si sprecano, come il secondo oggetto più caro, Donne di Algeri di Picasso, e il terzo, Nudo disteso di Amedeo Modigliani. Per arrivare a una donna bisogna scendere al 96esimo posto: si tratta di un’opera di Georgia O’Keefee, Jimson Weed/White Flower No.1, battuto all’asta da Sotheby’s nel 2014 per 44,4 milioni di dollari. L’altra è Louise Bourgeois, al 271 esimo posto con Spider, la monumentale scultura venduta per 28,2 milioni da Christie’s nel 2015.

Georgia O’Keefee, Jimson Weed/White Flower No.1

Nel Global Gender Gap Report del 2021 l’Italia è salita al 63esimo posto: nel 2017 era all’82esimo, subito dopo il Messico. Ma è ancora un disastro: per chiudere il gap che c’è tra uomini e donne nel mondo del lavoro, se continueremo così, saranno necessari 267,6 anni. Figurarsi nel mondo dell’arte. Altroché Guerrilla Girls.

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