Sono tempi difficili questi, in cui tutti noi siamo sottoposti a performance e pressioni sociali enormi. Se prima a esercitarle erano solo amici, parenti, persone che si frequentavano e rappresentavano il nostro piccolo mondo, oggi il mondo di tutti noi si è allargato e, con l’esperienza dei social network, ci sentiamo tutti in dovere di essere protagonisti di questa società, il che vuol dire essere continuamente in connessione, continuamente presenti, continuamente pronti a dire la nostra, a esporci, a raccontarci, a fare storytelling di noi stessi, ma a che prezzo?

I social media, la performance

Negli ultimi anni si sono moltiplicate le ricerche che fotografano una società in preda all’isterismo dell’autorappresentazione, che trova il suo veicolo principale nei social media: così accessibili, così semplici da usare, così diretti. Parlando nel minuscolo schermo di uno smartphone ci illudiamo che i nostri minuscoli discorsi siano di interesse per chi è dall’altra parte, che magari scrolla alla velocità della luce senza nemmeno avere il tempo di realizzare quale profilo sta guardando e di cosa sta parlando.

Dall’altra parte del profilo però, chi immette contenuti si sente in dovere di continuare a farlo, per essere sempre presente, per non perdere terreno, e la paura di perdersi qualcosa ha ormai un nome clinico: si chiama FOMO, ed è una nevrosi. FOMO è l’acronimo di Fear of Missing Out, letteralmente, la paura di rimanere esclusi. Ed è una paura che sfocia in ansia e in altre forme di malessere e di disagio. La FOMO si configura in due atteggiamenti in particolare: l’ansia di essere esclusi da esperienze piacevoli che si osservano online senza esserne coinvolti, con la sensazione che gli altri abbiano tutti vite migliori e più appaganti, e poi il costante desiderio di essere in contatto con gli altri tramite social, che ci spinge continuamente a postare e a scrollare compulsivamente le nostre bacheche in cerca dell’ultima notifica e a sentire impellente la necessità di essere sempre più presenti, postare, commentare, intervenire sempre di più.

Atteggiamenti che riflettono online un cambiamento che ha imperniato profondamente la società negli ultimi anni, e di cui l’ossessione da esposizione tramite social è solo un tassello, perché l’ampiezza del fenomeno è molto maggiore e riguarda la società intera.

La “società dello spettacolo”

Una società che, spiegano Maura Gancitano e Andrea Colamedici nel loro interessante libro La Società della Performance, all’inizio ci voleva produttori, dunque lavoratori, poi ci ha voluto consumatori e oggi, in un’ulteriore salto antropologico ci vuole tutti performer. E’ l’evoluzione della “società dello spettacolo” ed è un’ossessione che ha cambiato letteralmente la grammatica dei nostri pensieri sostituendo all’espressione di sé l’esibizione di sé, alla narrazione lo storytelling, alla ricerca del senso della vita la ricerca di un livello sempre maggiore di benessere e visibilità. 

Una società che richiede costantemente opinioni, condivisioni ed esibizioni è una società che ha paura del silenzio, dello spazio, della costruzione, e dunque di un’autentica narrazione, della possibilità di una riflessione ponderata e profonda, nemica del like in tempo reale. Ma come si esce da questo incastro? Gli autori individuano nella ribellione e nella creatività la strada per riappropriarsi della propria capacità di espressione del sé. Una strada che, ovviamente è in salita, e che passa per abbandonare la grande gabbia del consenso sociale alla ricerca della propria autenticità. Una riflessione illuminante e fondamentale di questi tempi.

Condividi: