Questo blog si chiama cli-fi e se parlo anch’io di Fedez non è per seguire la corrente, ma perché credo che quel che è successo tra il Concertone e il due maggio sia interessante per chi ogni giorno si chiede quali narrazioni possono essere oggi effettive per veicolare un messaggio politico. Nel titolo di questo articolo ci sono Greta “e” Fedez, e quella “e” non significa porre Thunberg e Federico Lucia sullo stesso piano: sono chiaramente due figure distinte, dalla storia completamente diversa – per dire, credo che Greta Thunberg non patrocinerebbe mai un evento che ha come super-sponsor l’ENI. Ma infatti non sono Greta e Federico in quanto persone che mi interessano.

La cli-fi è un genere impegnato, che nasce proprio dal chiedersi come passare a più persone possibile un messaggio importante, come penetrare in un immaginario tramite narrazioni che poi si traducono in letteratura. In Italia, prima che la testimonial Thunberg balzasse alle cronache, la crisi climatica era una cosa per addetti ai lavori, per attivisti già sensibili al problema. C’è un prima e un post Greta e, per quanto ancora manchi molto una vera educazione ecologica, la testimonial-simbolo ha agito sull’immaginario collettivo e smosso il dibattito. Greta quindi – il simbolo – è diventata una sorta di Lyra Belacqua, reale ma tratteggiata nella maniera interessante e narrativa con cui si raccontano le eroine dei libri young adults. O di una serie young adults, la cui immagine della protagonista salta di medium in medium.

Scrivo tutto questo con il massimo rispetto, consapevole che ciò che differenzia il mero spot dall’azione politica – pur sugli stessi mezzi e con gli stessi meccanismi – è l’accuratezza e la consapevolezza. Per accuratezza intendo dire che i discorsi di Greta hanno fondamento scientifico.

Fedez pure costruisce ogni giorno, assieme alla sua compagna e ai figli, il suo personaggio. Questo è il lavoro di un influencer. E noi di Fedez percepiamo più questo aspetto che, che so, il suo passato nelle battle di freestyle o il suo repertorio musicale. Con tutte le contraddizioni del caso, il personaggio Fedez smuove il dibattito: un personaggio che sa che ha comunque la rete e i suoi followers su cui contare e che gestisce, a partire da se stesso e dall’azienda di famiglia, buona parte della propria narrazione tramite i social. Guardate, non è poco. Negli anni Sessanta un cantante censurato e difficile come Luigi Tenco per arrivare al grande pubblico aveva come filtro mediatico solo la RAI e i dischi. A causa di Cara Maestra non mise piede in RAI per due anni. Il suo personaggio (piuttosto differente dalla realtà, dicono gli amici) è stato costruito da altri – post mortem.

Tutto questo per dire che cosa? Intanto che dai tempi di Tenco i media si sono moltiplicati, i veicoli per le narrazioni mediatiche sono tanti e, anche se in contesto italiano la televisione la fa sempre da padrone, un personaggio pubblico può avere un controllo sulla propria immagine e un riscontro frutto di un rimpallarsi da medium a medium impensabile un tempo. Del resto, la faccenda Fedez è la storia di una rimediazione fra il potere comunicativo dei social e il potere della televisione. Non è neanche la prima volta che Federico dichiara pubblicamente che il “re è nudo” a proposito di una delle grandi istituzioni mediatiche italiane: prima che sorgesse in sua difesa, Soundreef come alternativa a SIAE, era visto piuttosto con sospetto.

Come superare la learned helplessness

In secondo luogo credo che la faccenda Fedez dovrebbe aprire un dibattito sul come parlare alla gente, come ampliare i confini di un discorso politico. Vedo molte persone affette da quella che Cecilia Ghidotti, nel suo consigliatissimo libro Il Pieno di Felicità, definisce learned helplessness: l’impotenza di chi, pur avendo possibilità di agire sulla realtà circostante, rinuncia persuadendosi che ciò sia inutile, soprattutto in Italia, o che alla cosiddetta gente quel messaggio così importante non interessi. Tutti lobotomizzati o peggio tutti fascisti.

Bene, la questione del Primo Maggio ha dimostrato una cosa che credo da tempo: in questa società perennemente bombardata da stimoli percettivi non è quello che dici ma è come lo dici che fa la differenza. Credere che tutti siano disinteressati a tutto e che nulla in fondo sia possibile fuori dalla propria bolla (social ma anche reale, anche gruppi e collettivi) è un ragionamento di pancia che porta, chi lo fa, a rinunciare piano piano alla capacità che la democrazia offre di incidere sulla politica e quindi a contribuire all’immobilismo.

Dopo Fedez, il DDL Zan è balzato a trend topic e ne parlano tutti, con consenso. Non scordiamoci che, aldilà di alcuni aspetti aperti a discussione che spero vivamente verranno affrontati con meno dogmatismo e vero confronto rispetto ad altrove, il DDL Zan è una tutela legale contro situazioni di omotransfobia purtroppo frequenti – quindi ce n’è assai bisogno. Nella questione DDL Zan, che è localmente limitata rispetto alla grande questione del cambiamento climatico, che piaccia o no, c’è un prima e un dopo Fedez. Non solo: dopo il Primo Maggio addirittura un noto quotidiano nazionale ha rispolverato la faccenda della riforma dei contributi e della gestione dei lavori dello spettacolo. Prima di Fedez a Roma ci sono state enormi manifestazioni eppure c’è voluto l’influencer perché la politica si spiegasse in termini pratici con l’opinione pubblica.

E allora? Diventiamo tutti influencer? Non voglio dire questo. Però, scrollandosi di dosso il cinismo o la stupida mancanza di speranza (perché la speranza non cala dal cielo ma si costruisce), sarebbe interessante sulla scia di questi due esempi chiedersi come fare per ottenere un risultato simile o anche migliore, senza tralasciare nessun mezzo, con più coerenza possibile e contribuendo ad ampliare l’interesse e la consapevolezza per le tematiche che stanno a cuore. I diritti LGBT+ hanno subito negli anni resistenze culturali che hanno rallentato il loro affermarsi ed è stato brutto e ingiusto. Ecco, la questione climatica questi ritardi non se li può proprio permettere.

E, data la compresenza nel neonato PNRR di punti attesi da decenni dagli italiani come la riforma della Pubblica Amministrazione o della Giustizia, con punti che per l’educazione media – poco ecologica – possono risultare astrusi (“Perché una riduzione dei capi di allevamento è così importante e perché senza questa il ricorso al biometano non sposta molto nel mitigare gli impatti ambientali?”, “Perché non è adguato a una transizione verde reale puntare solo sull’agricoltura di precisione con investimenti insufficienti per l’agricoltura biologica e l’agroecologia?”) occorre saper comunicare sempre meglio, battere ogni strada e controllare le proprie narrazioni senza né rimanere nel proprio gruppo di già sensibilizzati né farsi assimilare nel flusso. Tutto ciò per favorire l’incontro e il dialogo fra generazioni e fra problematiche, per cogliere l’attenzione di chi non ha modo, tempo o voglia di andare a fondo in certi argomenti, venirgli incontro e colmare ciò che ignora. “Combattendo l’ignoranza”, diceva sempre il buon Tenco in un dibattito al Beat 72 del novembre 1966, “si fa già qualcosa di molto utile. Solo bisogna trovare la strada, la maniera adatta per arrivarci”.

Aldilà del fatto che lo si giudichi simpatico o antipatico, interessato o idealista, coerente o incoerente, Fedez serva da lezione.

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