I Mammock sono una band greca che confina a nord con i Don Caballero, a sud con i Black Midi, a est con i NoMeansNo e a ovest con i Melvins. Analizziamo questi confini con una rapida lezione di geografia. Dai primi hanno ereditato la propensione ad un math rock pirotecnico, dai secondi hanno estirpato l’essenza evolutiva in ambito sperimentale, dai terzi l’essere intelligentemente anticonformisti ed, infine, dagli ultimi la follia compositiva che li ha contraddistinti da sempre.

Itch rappresenta il loro disco d’esordio, solido e all’apparenza opera di un gruppo più scafato. Caterpillar è una traccia che fa fede al suo nome: una spietata forza motrice che passa sopra qualsiasi ostacolo. L’articolatissima Theme For Pets è giocata tutta sull’incastro basso e batteria, che con la voce urticante di Andreas K. crea uno tsunami devastante. Sprazzi di free jazz sono presenti in Inconstant State, Hot Summer, mentre Dirty Shoes è purissimo sollazzo Punk-Hardcore. Man mano che si prosegue con l’ascolto ci si rende conto di quanto sia sconfinato il background del quartetto proveniente da Atene.

Shark Attack con il suo incedere violento e dissonante regala l’ennesima linfa sonora, esaurendosi autonomamente come una pila scarica, dopo aver fatto danni considerevoli. I dieci minuti di This Letter condensano al loro interno canzoni dentro altre canzoni, come una matriosca barcollante: dapprima il lungo intro arpeggiato viene spezzato da un cantato che giunge da lontano, disperato e disilluso. Il tempo non resta mai lo stesso per lunghi tratti, dando tanto filo da torcere a una sezione ritmica instancabile, costretta ancora una volta agli straordinari. C’è gloria anche per la chitarra protagonista di un assolo spaziale, che è una vera goduria per le orecchie e per la mente.

Dalla summa dei loro confini geografici possiamo dedurre che Itch è un lavoro tecnico, sperimentale, cerebrale e folle al punto giusto. Europeans do it better!

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