Il biglietto per andare a teatro si paga con il baratto: olio, vino, formaggio e prodotti dell’orto. Succede da 14 anni, ogni mese di agosto per dieci giorni, a Manciano, in Maremma. L’arte nutre il territorio e il territorio nutre l’arte in modo inedito. Ce ne parla la sua ideatrice e direttrice artistica, l’attrice e scrittrice Elena Guerrini.

“A veglia, teatro del baratto”, perché questo nome?
In omaggio alla tradizione delle veglie contadine toscane nelle case altrui, un passaggio di racconti davanti al fuoco dopo una giornata di lavoro. E a casa d’altri non si va a mani vuote. Questa economia sana di una volta, il ritorno allo scambio può, forse, ancora salvare il teatro; così si baratta il piacere di uno spettacolo con una bottiglia di vino buono, con una torta ben confezionata, con barattoli di conserva, con formaggi e salumi. Qualcuno provvede a mettere tutto su un tavolo e lo spettacolo può cominciare. Si è ospiti in qualche corte, nei poderi, nelle piazze.

Quali protagonisti vengono a trovarvi più volentieri?
Gli attori vengono a provare spettacoli nuovi  site specific o ripropongono  pezzi di repertorio ancora attuali, ma senza microfono e con il solo supporto tecnico di un filo di lampadine e di due amplificatori casalinghi. Gli artisti vengono pagati con un gettone presenza  in vil danaro pari a un giorno di paga più il costo del viaggio e con il dono del baratto, in natura. L’artista decide poi se tenere questo baratto per sé o donarlo a qualche ente benefico. Marco Paolini quando fu ospite al festival donò il suo enorme incasso in prodotti alla Caritas di Padova, Moni Ovadia a Don Gallo e alla sua comunità. Arrivare a Manciano non è difficile con il navigatore, ma è divertente trovare il luogo delle performance indicato nel programma: “A casa di Aldo Cavoli ”  “Alle muretta”

Ci racconti di un teatro senza… anche le sedie vengono da casa…
Sì, verso le 21 si vedono le persone che con la sedia in una mano e una bottiglia di vino nell’altra si dirigono verso il paese vecchio. In un comune che ha 150  agriturismi, il teatro più vicino a 70 chilometri e neanche una libreria, quando vedi muoversi gente dalle 20 in poi con una sedia in mano e una bottiglia, non puoi sbagliarti.

Questo sogno affonda la sua origine nelle tue radici, nell’infanzia? Quando ero piccola e  andavo a  trovare mio nonno, lo vedevo spesso che usciva di sera con una seggiolina e una bottiglia di olio e vino. E lui diceva “Vado a veglia”. Questo creare comunità mi piaceva. Quando poi ho fatto teatro l’ho imparata e fatta mia questa bella architettura umana; ho deciso di tornare qua a recuperare le mie radici, prima con Orti insorti, con lo slogan “Spegnete la tv e aprite le porte al teatro”, recuperando il senso del ritrovarsi. Ho fortemente inseguito il senso di comunità con  Orti Insorti e ho deciso di condividerlo in un Festival… Paolini è venuto a portare per la prima volta Dedicato a Jack London mai presentato in pubblico prima. Sembrava un presepe: eravamo a Podere di Montemerano e la gente dalle 19 veniva da tutta la Toscana con i prodotti in mano. In una situazione come quella attuale, con tagli alla cultura ti viene il pensiero: “Cosa fai adesso? Come puoi opporti?” E il mio atto rivoluzionario è stato questo: un teatro del baratto, i negozianti che vendono poi diventano sponsor monetari del festival che si sostiene con sponsor privati e con un finanziamento comunale. Molte persone mi hanno offerto spontaneamente le loro piazzette, corti, poderi, e una volta che avevamo gli spazi abbiamo creato il pubblico.

Le persone del luogo vi seguono?
Le persone che abitano qua spesso hanno visto teatro solo grazie al Festival; le persone anziane  che han seguito il festival in questi 14 anni han visto 150 spettacoli. Li porto gradualmente ad amare il teatro. Ora dal primo all’ultimo spettacolo in programma l’onda del pubblico si autoalimenta, con questa dinamica dell’andare con la propria sedia, che ora è una sicurezza in tempo emergenza Covid.  La gente disciplinata sarà seduta sulla propria sedia a un metro di distanza dalle altre sedie. Ogni anno da 14 anni c’è un tema, che  scelgo durante l’anno e poi propongo agli artisti che chiamo ad esibirsi, negli anni i temi sono stati: l’ambiente, il cibo, l‘amore,  il dialogo, i migranti. In questo 2020 il tema è: La dolcevita fantastica, un omaggio a Fellini e Rodari nel centenario della loro preziosa nascita.

Questo essere senza mezzi funziona?
Certamente il vincolo rimane quello di una trasportabilità e adattabilità degli spettacoli. Se hai un palco è facile, ma a me piace chiedere agli artisti di venire con il loro fare teatro in modo immediato e diretto, magari con una narrazione, ma niente luci speciali. La cosa importante è il rapporto tra attore e pubblico, come accadeva una volte con i cantastorie. E’ il teatro che si fa paese e viceversa. Un atto provocatorio. Molte realtà mi chiedono gemellaggi dall’Italia e anche dalla Francia; a fine festival creeremo una rete internazionale. Abbiamo chiuso con un simposio dove erano presenti Renzia D’Inca, Elina Pellegrini, Roberto Lazzaroni, Massimo Paganelli e Mimma Gallina parlando di riscrittura delle regole, per lo spettacolo dal vivo, della sua economia rinnovabile. Abbiamo impiantato le piccole isole del baratto e del donativo, come diceva Bianciardi “prima saremo piccole isole poi saremo in tanti”.

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