‘Licorice Pizza’: la gioia primordiale della giovinezza nella pellicola di Anderson
Paul Thomas Anderson firma un lungometraggio luminoso, il più solare di tutta la sua filmografia, facendoci innamorare senza ricorrere alla commozione.
Paul Thomas Anderson firma un lungometraggio luminoso, il più solare di tutta la sua filmografia, facendoci innamorare senza ricorrere alla commozione.
Tra i cineasti americani delle nuova generazione nessuno come Paul Thomas Anderson è riuscito a inventare un cinema cosi coeso, fresco e romantico.
Il regista di Los Angeles ha orchestrato una serie di personaggi da antologia, muovendosi con notevole intelligenza tra postmoderno e un romanticismo manifesto.
La pellicola giunge nelle sale italiane con tre nomination agli Oscar 2022 e diversi premi vinti, tra gli altri il Bafta per la miglior sceneggiatura originale e il Critics’ Choice Awards come miglior commedia.
In certo qual modo questo lungometraggio è il più luminoso, il più solare di tutta la sua filmografia, coglie gli umori e gli stati d’animo dei primi anni settanta: l’amore, l’esaltazione vitale dell’essere giovani che vede dipanarsi il rapporto d’amore tra il quindicenne Gary (Cooper Hoffman) e la venticinquenne Alana (Alana Haim).
Anderson in una recente intervista a Repubblica ricorda il perché dell’ambientazione nella San Fernando Valley e della sua importanza:
“La vicinanza con Hollywood e il mondo del cinema. Non è un posto elegante e sofisticato come Beverly Hills o Bel Air, anzi è proprio l’opposto. Un sobborgo pieno di smog, caldissimo, umido, dove abita la classe operaia, e dove camminando non vai da nessuna parte […] era esattamente l’ambiente dov’ero cresciuto, il rumore dei tubi di scappamento, il costante salire e scendere dalle automobili sempre in movimento, le avventure con gli amici, la ricerca di qualcosa che ti dia l’impressione di diventare adulto, soprattutto la speranza di poterti innamorare per la prima volta. Ed è esattamente il feeling che ho voluto dare a questo film”.
La gioia della fanciullezza risplende nella pellicola, quella voglia di vivere che ognuno di noi ricorda: è il momento in cui per la prima volta abbiamo conosciuto l’amore e abbiamo provato particolari sentimenti.
La macchina da presa si muove con agilità e segue i personaggi con curiosità già dalla prima inquadratura: un lungo piano sequenza che delinea l’incontro tra i protagonisti.
Nel film cogliamo anche il divertimento, l’incoerenza, Anderson filma in sequenza avventure da slapstick comedy, come la le scena in cui scappano con il camion e rimangono senza benzina. Da alcuni punti di vista, un po’ come C’era una volta a… Hollywood di Tarantino, si coglie l’amore per i personaggi che si evidenzia in maniera accentuata, molto più rispetto ad altre pellicole.
Tutti noi in questo film scoveremo quel luogo in gioventù in cui l’amore, la spensieratezza, le amicizie ci hanno esaltato. La brama di vivere si esprime attraverso la corsa dei protagonisti verso un’avventura continua. Piccoli momenti di puro cinema sono gli interventi di Tom Waits, Sean Penn e Bradley Cooper.
Se i riferimenti a John Cassavetes e al cinema degli anni ’60 americano sono palesi, cogliamo anche alcuni relazioni alla Nouvelle Vague, tra tutte la corsa forsennata di Antoine Doinel, nella pellicola I quattrocento colpi di François Truffaut, l’arrivo sulla spiaggia e l’emozione per aver visto per la prima volta il mare.
Anderson sa farci innamorare di questo lungometraggio senza ricorrere a facili strategie come la commozione: il regista sembra suggerirci di voler coltivare anche da adulti quel lato onnivoro, intrigante, quella gioia di vivere che forse con gli anni è rimasta sepolta e non sappiamo più riscoprire.