Tiberio Ferracane esprime quel romanticismo decadente molto presente, per fortuna, nel cantautorato della nostra tradizione musicale. Quella voce un po’ roca, quell’illanguidimento struggente da poeta maledetto, quell’allure ibrida frutto di un felice puzzle tra Bruno Lauzi, Vinicio Capossela, Sergio Endrigo, Charles Aznavour e Paolo Conte, gli conferiscono un’eleganza trasandata, ossimoro che ben si presta a descrivere quel paradossale connubio di opposti, quell’armonia che nasce dai contrasti.

E come lui sono le canzoni del suo nuovo album, Magaria, che nascono da un meltin’ pot linguistico, musicale e culturale frutto delle sue esperienze di vita, fluttuanti tra l’Italia e la Tunisia, tra Torino e Parigi, tra il siciliano e l’arabo tunisino.

In Il mio amore di rosso vestita si viene nostalgicamente trascinati nelle sofferenze di un uomo innamorato e non corrisposto. Ma è un testo pieno di autoironia, in cui il sofferto la la la… del refrain è ironicamente temperato da un testo crudo che non lascia speranze: “e invece è andata via, parlava con un tizio, me l’ha portata via”.

Ma è Magaria il brano che dà il titolo all’intero lavoro. Una ballata capace di mescolare con grande fluidità francese, italiano e siciliano su un ritmo incalzante che ci entra nei pori della pelle.

Si percepiscono ricordi familiari molto forti in Dall’altra parte della notte, il cui testo è così intenso che si riesce a visualizzare con efficacia cinematografica il momento così magistralmente cantato: “si sente l’Africa nell’aria, te ne verso un bicchiere”. Una canzone che risveglia le atmosfere intime di una famiglia di profughi. Del resto Tiberio Ferracane è figlio d’Africa come lui stesso racconta.

Sono figlio d’Africa, da genitori Siciliani nati a Tunisi e io nato a Torino. La mia cultura si divide equamente fra una mamma che mi parlava in francese, un padre che rispondeva in siciliano e una lingua parlata in casa, mix di francese, italiano e siciliano. Il piatto della domenica era il Cous Cous e per l’aperitivo (rigorosamente in piedi) non poteva mancare il Pastis e il polpo bollito con l’Harissa”. 

La malinconia struggente di Sciavuru di mari comunica tutta la nostra impotenza davanti al tempo che passa via in modo troppo fugace. In Carlo il sound ci trascina verso ritmi gitani, con un tessuto narrativo che ci lascia incollati fino all’ultima parola.

Con U pisci spada Tiberio Ferracane sceglie di rischiare, cantando a cappella una struggente reinterpretazione del celebre e drammatico brano di Domenico Modugno. Sperimentarsi su brani di grandi artisti del passato è sempre un terreno scivoloso: ma qui Tiberio appare teatralmente padrone della scena, con una rivisitazione intensa e commuovente.

E non è l’unico esperimento. L’artista sceglie spesso di confrontarsi con altri grandi artisti del passato, quelli che più ha amato nella sua carriera musicale, riscrivendo in chiave contemporanea i loro più grandi successi.

E l’album contiene infatti altre cover, sette in totale, tutte riuscite: L’italien è la versione più contemporanea del celebre brano di Serge Reggiani, e qui Tiberio naviga a occhi chiusi nel mondo degli chansonnier francesi dai quali ha ereditato una profonda sensibilità artistica.

Capodanno è una splendida sorpresa: con questo brano la sfida si fa davvero ardua con un colosso come Franco Califano. Una sfida superata brillantemente in un romanesco convincente grazie ad una fluidità vocale e strumentale che fa emergere una voce calda e profonda che nulla ha da invidiare al tenebroso Califano.

Un’ora sola ti vorrei si distingue nella sua trasposizione più intima e recondita, grazie al solo pianoforte che riesce a costruire un’atmosfera confidenziale e calda.

Storia d’amore è una personalissima rilettura del celebre brano di Adriano Celentano, con sonorità gipsy che vanno via via crescendo con uno swing trascinante.

Solo in Era de maggio di Roberto Murolo, se proprio vogliamo essere severi, si percepisce un’incertezza nel napoletano, un’insicurezza compensata tuttavia da una dolcezza interpretativa che riesce comunque a persuadere.

Il disco è nato dall’incontro con il musicista francese Philippe Troisi, scomparso a pochi giorni dall’inizio delle riprese in studio, artista che Tiberio Ferracane definisce il motore del suo progetto, ed al quale si devono forse queste sonorità gitane, frutto del suo grande amore per la chitarra gitana e per il flamenco. E’ a lui che Tiberio dedica l’album.

Avevamo un progetto insieme. Era quello di raccontare la storia della folta comunità italiana a Marsiglia attraverso le canzoni, gli artisti e la cultura che si era venuta a sviluppare in Francia. D’altronde lui era figlio di immigrati e io di profughi italiani, un connubio perfetto”.

Magaria si rivela un album completo, che mescola sapientemente sonorità manouche con echi di tango argentino e contaminazioni mediterranee e fonde in un unico percorso narrativo tutte le lingue che appartengono al vissuto di Tiberio Ferracane, costruendo così un lavoro che incanta e seduce.

Del resto magaria è un termine siciliano che significa incantesimo, malia. E Tiberio Ferracane con questo lavoro riesce ad ammaliarci, semplicemente ricongiungendo tutti i suoni e le parole del suo percorso di vita.

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