Incontriamo oggi Giovanni Morassutti, regista già amato da Rewriters, che con “Memorabilia” ha realizzato un sentito tributo alla storia della sua famiglia.

La storia che narri parla di una compagnia teatrale nata in un contesto molto speciale: quale? 
Immaginiamo un’epoca in cui una grande azienda sosteneva i suoi dipendenti con un approccio paternalistico, ma in senso positivo, che ti faceva sentire al sicuro, apprezzato. Questa compagnia teatrale nacque in un contesto in cui, nonostante le gerarchie, i dipendenti si sentivano liberi e non avevano paura di sognare in grande. La direzione, con una visione lungimirante e insolita per l’epoca, accolse e sostenne pienamente la nascita di questa iniziativa dopolavoristica, trasformando un sogno in realtà. Questo ambiente di solidarietà fiorì negli anni del boom economico, un periodo caratterizzato da una forte spinta verso la libertà e l’autonomia. In quel clima di effervescenza, la storia di questa azienda diventa un simbolo universale di come sia possibile prosperare valorizzando le persone. Il giorno della Befana, ad esempio, uno dei componenti della mia famiglia consegnava un regalino a tutti i figli dei dipendenti, consolidando quel legame quasi familiare che andava ben oltre il semplice rapporto di lavoro.

Chi sono i testimoni più significativi della storia? 
Questa storia, così unica per me, trova i suoi testimoni più significativi non solo nello scorrere del tempo, ma soprattutto nella memoria viva, nel ricordo della giovinezza dei suoi protagonisti, e in un senso di malinconica dolcezza che mi lega a loro. Un ruolo chiave in questa narrazione lo gioca la “Memorabilia”, un tesoro di oggetti che gli ex dipendenti hanno custodito gelosamente, quasi fossero frammenti di un’anima collettiva. Tra questi, recensioni ingiallite, album fotografici, medaglie al merito e persino un vinile a 33 giri, prodotto dalla ditta Paolo Morassutti su etichetta Tokyo Records, contenente le voci dei membri della storica compagnia mentre recitano poesie dialettali dell’epoca. Tra le figure centrali, mi emoziona pensare a Paolo Ferrari, l’autore del testo “La Palma“, un omaggio così sentito alla mia famiglia, e al contributo dell’ex sindaco di Padova, Paolo Giaretta, che ha offerto uno sguardo lucido sul contesto culturale di quegli anni. Ma la parte più intima di questa narrazione, quella che mi sta più a cuore, è il “fil rouge” che intreccia le mie esperienze artistiche a New York con quelle della compagnia teatrale di famiglia, creando un ponte tra questi due mondi. Questo ha permesso di dare alla storia una dimensione profondamente personale, quasi onirica, unendo il mio percorso al loro.

Ci parli di valori rari, stile Olivetti: dove li ritrovi attivi oggi, se li ritrovi? 
Il paragone con l’approccio illuminato di Olivetti mi viene spontaneo quando penso alla costruzione di un asilo. Mio bisnonno Federico, infatti, eresse una scuola materna a San Vito al Tagliamento per i bambini del paese. È un gesto che mi tocca profondamente. Questa tradizione “paternalista”, intesa nel senso più nobile del termine – di filantropia e di un profondo senso di responsabilità sociale – continua a vivere oggi grazie a mio cugino Domenico che sostiene attivamente la compagnia teatrale Arlecchino Morassutti, mantenendo vivi quei valori rari che considero tra i pilastri della nostra famiglia.

Parli di un ponte di cultura: In che termini e che distribuzione avrà l’opera? 
Siamo in trattative con una casa di distribuzione di Roma per il mercato italiano. Per la distribuzione estera, contiamo sull’aiuto di un amico negli Stati Uniti che opera nel settore vendite e distribuzione. Abbiamo organizzato una prima proiezione per riconnettere la storia al suo contesto originale, alla quale hanno partecipato molti ex dipendenti. Mi ha commosso vederli riuniti insieme a ricordare la loro vita. Mi piacerebbe organizzare una proiezione anche per la mia famiglia, per condividere questa storia con le nuove generazioni.

La  tua vita tra NY e l’Italia che artista ti ha reso? 
Trasferirmi a New York da adolescente è stato un momento spartiacque, una rinascita. Era un periodo cruciale per me, di ricerca identitaria profonda, e lì ho avuto l’opportunità di esplorare a fondo me stesso: i miei valori, i miei obiettivi, persino la mia sessualità. È stato un percorso doloroso, sì, ma assolutamente fondamentale, un viaggio guidato dal mio mentore John Strasberg. A soli diciotto anni, frequentavo l’Actors Studio, dove ho imparato a gestire ed elaborare le mie emozioni. Questa esperienza, unita all’ambiente stimolante di New York, ha plasmato profondamente la mia visione artistica. La città mi ha infuso fiducia, autostima e una mentalità più aperta. Devo tanto anche a Ellen Stewart del Café La MaMa: grazie a lei mi sono sentito “visto”, riconosciuto, parte di una grande famiglia artistica. In Italia, invece, fin da piccolo, mi sono sempre sentito un “pesce fuor d’acqua”, anche nei confronti della mia famiglia. Ma ora sento di rappresentare un “continuum” e “Memorabilia – Una Storia di Famiglia” mi ha permesso di riavvicinarmi a loro in un’ottica di condivisione profonda e di un ritrovato, potente, senso di comunità.

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