Ci sono stati Elvis, i Beatles, Dylan, gli Stones, il punk, l’elettronica, il country e la psichedelia, il grunge e la new wave, e il rock è cambiato, è morto e rinato innumerevoli volte.

Ma dal 1966 a oggi l’unico personaggio che ha seguito gli alti e i bassi della storia del rock, che ha cantato e vissuto i mutamenti della cultura giovanile, che ha cercato disperatamente e con intelligenza di dare un senso alla parola del rock, al suono del rock, è stato il rocker canadese Neil Young.

Cantore della disperazione e della gioia, avventuroso e solitario, Neil Young ha saputo scavare nelle profondità di un linguaggio musicale come pochi altri, è riuscito a essere cantautore e musicista, sperimentatore e tradizionalista, a mettere insieme il meglio e il peggio di una cultura giovanile passata per clamorose sconfitte ed esaltanti conquiste.

Furono i suoi amici a inventarsi  il nomignolo Shakey. Volevano prenderlo in giro per la mano ferma con cui aveva girato i suoi filmini casalinghi, bambini, mogli, le solite cose che si riprendono in famiglia.

Ma quella mano è ancora quella che, meglio di ogni altra  al mondo, riesce a ricavare da una chitarra elettrica suoni in grado di squarciare l’anima. Perché la musica del rocker canadese, fatta essenzialmente di passione, di forza, di sentimenti, richiede un ascolto altrettanto appassionato. Chi è in cerca di musica patinata, di suoni eleganti, di canzoni adatte alla programmazione delle radio di oggi non troverà certo soddisfazione nelle canzoni di Young e ancor meno nel suo stile chitarristico.

Eppure chi volesse trovare ancora un senso al rock, alla musica, chi cerca un buon motivo per comprare un disco, dovrebbe provare ad ascoltare questo vecchio signore canadese, irrimediabilmente fuori moda.

Dovrebbe lasciarsi trasportare dal suono della sua chitarra e accettare come definitive le note appassionatamente imperfette dei suoi assoli. Assoli lunghi, interminabili, profondamente espressivi, lontani da qualsiasi forma di spettacolarità, di tecnicismo, di velocità di esecuzione. Assoli che colpiscono dritto al cuore, che sono elettrici e vibranti, che spingono la chitarra al di là delle sue ovvie soluzioni sonore e tecniche.

Il tutto con un rack di effetti che Neil Young ha soprannominato the Whizzer, una scatola di effetti che è davanti ai suoi piedi, ricca di mille marchingegni che possono essere utilizzati in combinazione senza degradare il suono della chitarra.

E non basta: Young controlla il volume dell’amplificatore dalla chitarra stessa e usa un pacchetto di amplificazione che è composto da un Magnatone, un grande Baldwin Exterminator a transistor, un Fender Reverb Unit e, cuore di tutto, un amplificatore Fender Deluxe del 1959, il suo preferito (“È irrinunciabile, non potrei suonare senza di lui”).

Al punto che ne possiede ben 156, tutti identici, ma nessuno suona come quello. Se per le chitarre acustiche predilige quelle semplici, a basso costo, con le quali, per sua stessa ammissione, scrive  la maggior parte dei brani, per le chitarre elettriche quella che ama e usa di più è la Old Black, una Les Paul Gold Top del 1953 che qualcuno, in passato, ha dipinto di nero.

Questa strumentazione serve a Neil Young per essere il chitarrista più rumoroso, selvaggio, imprevedibile, dell’intera storia del rock.

Un musicista che, come Jekyll e Hyde, vive due vite parallele: quella del musicista acustico, il balladeer, il cantautore, melodico, romantico, conservatore, e quella del rocker, autentico cavaliere solitario senza macchia né paura, in grado di suonare la sua chitarra elettrica come nessun altro, unico vero erede della scuola hendrixiana.

La sua avventura con i Buffalo Springfield, quella con Crosby, Stills e Nash, ma soprattutto la sua lunga carriera solista, lo hanno visto passare attraverso molte fasi diverse, ma sempre tornare, prima o poi, alla sua chitarra elettrica, ai suoi assoli interminabili, a quelle lancinanti esplosioni di energia che solo la sua chitarra riesce a dare.

Non è un caso, dunque, se le generazioni più giovani, se i rocker delle ultime leve considerano Neil Young come l’unico, il solo, vecchio dinosauro degli anni ’60 ad aver diritto di cittadinanza nel mondo musicale odierno.

E hanno ragione, perché per Neil Young il rock è legato a doppio filo alla vita, ai sentimenti, e nel suono della sua chitarra, straordinario e lancinante, è raccolto il segreto di quarant’anni di storia della musica giovanile. E forse anche quello della musica di domani.

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