Dalla metà del secolo scorso, l’umanità ha sviluppato una crescente dipendenza dalla plastica, grazie alla sua versatilità, leggerezza e basso costo di produzione. Nonostante la maggior parte della plastica sia utilizzata e smaltita a terra, la quantità di microplastiche negli oceani è destinata a raddoppiare entro il 2030. La loro composizione, utilizzo e frammentazione in microplastiche e nanoplastiche, insieme alla dispersione attraverso acque reflue, usura dei pneumatici, lavaggio dei tessuti e disastri naturali, rappresentano una minaccia sempre più grave per l’ambiente e la salute umana.

Una volta disperse nelle acque, queste particelle subiscono processi di degradazione, aggregazione e affondamento, finendo nei sedimenti oceanici e negli organismi marini.

Il trasporto fluviale e atmosferico, le acque piovane e i disastri naturali facilitano ulteriormente la dispersione di queste particelle. Una volta nelle acque superficiali, le plastiche e le microplastiche subiscono degradazione, biofouling, aggregazione e affondamento, venendo ingerite dagli organismi e ridistribuite dalle correnti marine. I sedimenti oceanici rappresentano probabilmente la destinazione finale di queste particelle

Plastica, nelle cellule, rischi per la salute

Le microplastiche rilasciano additivi chimici, concentrano contaminanti e fungono da substrato per biofilm, inclusi batteri patogeni. Particelle inferiori a 20 μm possono penetrare nelle cellule, comportando rischi significativi per la salute. L’ingestione umana di microplastiche attraverso frutti di mare e acqua contaminata è fonte di preoccupazione, così come la presenza di microplastiche negli ambienti interni.

Le microplastiche sono onnipresenti nell’ambiente e nei nostri corpi.

©Giada Sponzilli Photographer

Particelle plastica, rischio maggiore
di infarto, ictus e morte

Un nuovo studio ha collegato l’accumulo di queste minuscole particelle di plastica nei vasi sanguigni a un rischio maggiore di infarto, ictus e morte.

L’aterosclerosi, una malattia in cui la placca si accumula nelle arterie, provoca un ispessimento delle pareti dei vasi sanguigni, riducendo il flusso di sangue e aumentando il rischio di ictus, angina e infarto. Le placche sono tipicamente una miscela di colesterolo, sostanze grasse, rifiuti cellulari, calcio e una proteina coagulante chiamata fibrina.

Lo studio osservazionale condotto da clinici e ricercatori dell’Università di Napoli i cui risultati sono stati pubblicati sul New England Journal of Medicine, ha evidenziato che minuscole particelle di plastica provenienti dall’ambiente si infiltrano nelle lesioni vascolari delle persone, preannunciando un potenziale aumento del rischio cardiovascolare nei pazienti sottoposti a endarterectomia carotidea.

La loro presenza inoltre è risultata associata anche a una maggiore infiammazione locale che rende tali placche da inquinamento più instabili e friabili.

Commenta Giuseppe Paolisso, coordinatore dello studio e Ordinario di Medicina Interna dell’Università degli Studi della Campania “Luigi Vanvitelli”:

“Coloro che avevano placche ‘inquinate’ dalle plastiche il rischio di infarti, ictus o di mortalità per tutte le cause era almeno raddoppiato  rispetto a chi non aveva placche aterosclerotiche contenenti micro- e nanoplastiche, indipendentemente da altri fattori di rischio cardio-cerebrovascolari come età, sesso,  fumo, indice dimassa corporea, valori di colesterolo, pressione e glicemia o precedenti eventi cardiovascolari”.

Il nuovo studio Plastic Debris Found in Carotid Plaque Linked to More Adverse CV Events ha esaminato circa 300 persone con aterosclerosi, alcune delle quali presentavano anche minuscole particelle di plastica – microplastiche e nanoplastiche – incastonate nelle placche delle loro arterie carotidi, un importante vaso sanguigno nel collo che fornisce sangue al cervello. Le persone con placche contenenti plastica avevano più di quattro volte più probabilità di subire un infarto, un ictus o di morire per qualsiasi causa nei tre anni successivi.

Da tempo si sapeva che le sostanze chimiche presenti nelle plastiche possono fuoriuscire e causare problemi di salute, come interferire con gli ormoni o altre parti del sistema endocrino.

“Ma questa è la prima volta che vediamo un effetto sulla salute umana attribuito alle particelle stesse”,

afferma Philip Landrigan, pediatra ed epidemiologo di salute pubblica al Boston College, non coinvolto nello studio, ma che ha trascorso gran parte della sua carriera studiando gli effetti delle sostanze chimiche tossiche sulla salute umana. Landrigan ha contribuito a promuovere la ricerca sul piombo che ha portato il governo degli Stati Uniti a rimuovere il piombo dalla benzina e dalla vernice.

“Fino ad ora, il mantra è sempre stato: ‘Beh, le particelle ci sono, ma non sappiamo cosa stiano facendo’. Questo studio cambia questa visione.”

Landrigan prevede che questo studio stimolerà ulteriori ricerche su quali altri organi potrebbero essere danneggiati dalla plastica, come il cervello, i reni e gli organi riproduttivi.

“Quello che possiamo dire è che i nostri dati potrebbero suonare come un avvertimento nella nostra vita quotidiana, suggerendo di ridurre l’uso della plastica e di preferire il vetro,” afferma Paolisso.

Microplastica e nanoplastica praticamente ovunque nel corpo

Un’ampia quantità di ricerche ha già dimostrato che le particelle di microplastica e nanoplastica sono praticamente ovunque nel corpo, dice Kenneth Spaeth, medico di medicina occupazionale al Northwell Health di New York, non coinvolto nello studio.

“Dato da cosa sono composte queste particelle, è stato a lungo sospettato che giocassero un ruolo nel compromettere la nostra salute.”

Pertanto, i risultati non sono necessariamente troppo sorprendenti, ma sono importanti, aggiunge.

La maggior parte dei dati attuali sugli effetti delle microplastiche e nanoplastiche nel corpo proviene da studi sugli animali, afferma Aaron Aday, cardiologo e specialista in medicina vascolare alla Vanderbilt University.

“Sapevamo che queste microplastiche e nanoplastiche potevano entrare nel flusso sanguigno e in alcuni organi, ma questa ricerca rappresenta un grande passo avanti in termini di trovarle nelle placche di individui con malattie significative,” dice. “Questo è certamente uno studio fondamentale nel collegarle alle malattie umane.”

Uno studio recente ha trovato micro e nanoplastiche incastonate nelle placche arteriose di persone con aterosclerosi, collegandole a un aumento del rischio di infarto, ictus e morte. Le placche, composte da colesterolo, sostanze grasse e cellule immunitarie, si ispessiscono e riducono il flusso sanguigno. Tra 304 pazienti sottoposti a endoarteriectomia carotidea, il 58% presentava polietilene e il 12% PVC nelle placche. Queste particelle causano infiammazione, facilitando il distacco di frammenti di placca e aumentando il rischio di complicazioni cardiovascolari. Non è ancora chiaro se il danno sia dovuto più alle particelle fisiche o alle sostanze chimiche in esse contenute.

Quando i ricercatori hanno osservato le minuscole particelle di plastica al microscopio elettronico, hanno trovato particelle estranee con bordi frastagliati all’interno dei macrofagi nelle placche. I macrofagi sono globuli bianchi che circondano e uccidono i microrganismi e altri corpi estranei consumandoli.

I ricercatori hanno poi seguito 257 dei pazienti per un periodo di due o tre anni per vedere quanti avevano subito infarti, ictus o erano morti per qualsiasi causa. I pazienti con microplastiche e nanoplastiche nelle loro placche avevano circa 4,5 volte più probabilità di avere un infarto, un ictus o di morire nei successivi anni.

Le plastiche monouso

Le plastiche monouso rappresentano una grande parte del problema, costituendo circa il 40% della plastica prodotta annualmente. Per ridurre l’esposizione, si raccomanda di utilizzare bottiglie d’acciaio, evitare di riscaldare cibi in contenitori di plastica e ridurre l’uso di sacchetti di plastica. Tuttavia, il cambiamento significativo richiederà interventi politici. Le Nazioni Unite stanno negoziando un trattato globale sulla plastica, e studi come quello del New England Journal of Medicine dovrebbero accelerare questi negoziati.

Le plastiche rilasciano additivi chimici, concentrano contaminanti ambientali e fungono da substrati per biofilm, inclusi quelli di specie esotiche e patogene. L’abbondanza di microplastiche aumenta man mano che la dimensione dei frammenti diminuisce, così come aumenta la proporzione di organismi capaci di ingerirle. Particelle inferiori a 20 μm possono penetrare nelle membrane cellulari, aggravando i rischi per la salute. L’esposizione a queste particelle può compromettere l’alimentazione, i processi metabolici, la riproduzione e il comportamento degli organismi, sebbene siano necessarie ulteriori ricerche per trarre conclusioni definitive.

L’ingestione umana di frutti di mare e acqua contaminati desta preoccupazione. Anche le microplastiche presenti negli ambienti interni rappresentano rischi non ancora completamente caratterizzati, amplificati dal tempo che trascorriamo all’interno (oltre il 90%) e dalla presenza abbondante di prodotti polimerici.

Le sfide scientifiche comprendono il miglioramento delle tecniche di campionamento e caratterizzazione delle microplastiche, la comprensione del loro comportamento a lungo termine, della biodisponibilità degli additivi e dei rischi per la salute degli organismi e degli ecosistemi. Le soluzioni proposte includono il miglioramento della prevenzione dell’inquinamento su scala globale, lo sviluppo di polimeri e additivi degradabili e la riduzione del consumo e l’ampliamento del riutilizzo delle materie plastiche. 

Sebbene i risultati siano allarmanti, c’è ottimismo che la crescente evidenza scientifica porterà a cambiamenti politici simili a quelli avvenuti per l’inquinamento atmosferico e l’amianto. La storia della salute pubblica dimostra che, con il tempo, la consapevolezza dei danni porta a politiche più severe e a miglioramenti misurabili per la salute pubblica.

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