Questo Natale, lo sappiamo, sarà un Natale diverso, un Natale sottotono, privo di allegria, spogliato di quelle consuetudini che ne fanno da sempre, la festa delle feste.

In realtà però, proprio per questo, il Natale di quest’anno merita di essere celebrato con ancora più partecipazione, in accordo con il suo significato più profondo, da ricercare prima ancora che nella tradizione cristiana, nelle origini del culto pagano

Da oriente a occidente, la tradizione antica voleva infatti, che il 25 Dicembre (giorno in cui secondo il calendario giuliano cadeva il solstizio d’inverno) si festeggiasse il momento in cui il sole vince l’oscurità, ovvero quella fase dell’anno in cui, dopo essersi fermato (morto), il sole torna a nuova vita, ricominciando la sua salita. La ri-nascita di quel Sole invincibile, che si celebrava nel Dies Natalis Solis Invicti dei Saturnali (feste intitolate al dio Saturno) dell’antica Roma, quello stesso sole, che mai come adesso, desideriamo torni ad illuminare l’oscurità di questi ultimi tempi, riportandoci a nuova vita.

Nella tradizione erboristica, assai frequentemente le piante e le loro proprietà curative sono legate a culti, tradizioni e mitologia, dei quali, spesso, divengono simbolo. La relazione alle volte è così intima che è difficile distinguere se sia stato il mito a condurci alla scoperta delle proprietà curative della pianta, o se siano state quest’ultime a generare il mito!

Legate al culto della rinascita, al mito della vita oltre la morte, ritornando al Natale, troviamo due piante sempreverdi molto particolari, dalle importanti proprietà officinali, che attraversando i secoli e, animando miti e leggende, sono giunte a noi cariche ancora di fascino e magia: il vischio e l’agrifoglio.

Del vischio Virgilio parla nell’Eneide, come del ramo d’oro che permise ad Enea di discendere nell’Ade, (il mondo degli inferi), per incontrare lo spirito del padre Anchise, mentre l’agrifoglio, usato nei Saturnali, veniva posizionato all’ingresso delle abitazioni e appuntato sulle vesti in segno di protezione, in quanto si credeva che le sempreverdi foglie spinose, fossero in grado di allontanare eventi infausti e malefici.

Tra tutti i miti che li vedono protagonisti ce n’è uno che li unisce, proprio in riferimento alla forza vitale ed alla rinascita come segno di eterno vigore, quello del dio Baldr, mito della tradizione norenna, molto caro ai popoli germanici e scandinavi.

Nell’ Edda si narra di Baldr come del dio bianco, figlio di Odino e di sua moglie Frigg, re e regina degli Asi, gli dei maggiori del phanteon della tradizione nordeuropea. Egli viene rappresentato come un giovane che irradia luce, con i capelli candidi come la neve, dio del sole, dispensatore di bene, retto, sapiente, privo di malizia, dal cuore più puro di tutti gli dei. Ha un fratello Hodur, il suo opposto, dio della discordia e della guerra che, cieco dalla nascita, rappresenta l’oscurità e la stoltezza.

La leggenda vuole che Baldr fosse perseguitato da sogni premonitori circa la sua morte imminente. Odino, preoccupato, interrogò la dea degli inferi Hel, che confermò la veridicità del funesto presagio.
E così Frigg per proteggere il figlio prediletto, partì per un lungo viaggio in cui incontrò tutti gli esseri, senzienti e non, del creato, per far prestar loro solenne giuramento, di non attentare mai alla vita di suo figlio. L’unica creatura alla quale non fu chiesto, perché ritenuta innocua, fu la piccola pianta di vischio.

Baldr conquistata l’invulnerabilità, divenne il protagonista del passatempo preferito degli altri dei, che si divertivano a lanciare contro di lui ogni tipo di oggetto, al fine di testarne l’immortalità. Ma Loki, il dio dell’inganno e del caos, con il cuore stretto dalle spire dell’invidia, venuto a conoscenza, grazie ad uno stratagemma, del punto debole di Baldr, indusse suo fratello Hodur, a sferrargli contro un dardo fatto con un ramoscello appuntito di vischio, ferendolo fatalmente.

Si narra che in punto di morte, sorretto dalle braccia di suo padre Odino, Baldr venne adagiato su di un cespuglio di agrifoglio, offertoglisi come giaciglio. Come segno di riconoscenza Odino, tramutò l’arbusto, in un sempreverde, donando lui bacche rosse, in memoria del sangue di suo figlio. Si trovano diverse versioni del finale della storia, la maggior parte delle quali vedono la rinascita di Baldr.

Tra queste, quella che preferisco, vuole che le lacrime del pianto senza posa di sua madre Frigg, cadendo sul ramoscello di vischio che aveva ucciso l’amato figlio, si trasformino in magiche bacche bianche, capaci di riportarlo in vita.

Ed è proprio questo mito della vita oltre la morte, da intendersi come longevità ed eterno vigore, a caratterizzare l’uso di queste piante nella tradizione erboristica ed officinale.

Il vischio, Viscum album L., è così particolare, che non stupisce che sia protagonista di storie, leggende, miti e racconti fantastici: questo perché è una pianta epifita, aerea e con nessun contatto con il terreno; si sviluppa infatti sui rami degli alberi che lo ospitano (pioppi, querce, tigli, mele e conifere) e che lui parassita, nutrendosi della loro linfa, che riesce ad assorbire grazie agli austori, estroflessioni simili ad una radice che penetrano nel legno dell’albero.

La tradizione nordica vuole che la raccolta di questa pianta, ritenuta sacra, avvenisse esclusivamente per mano di sacerdoti celtici, i Druidi, secondo un rituale magico, che prevedeva che i giovani ramoscelli del sempreverde, venissero recisi con l’ausilio di un falcetto d’oro e raccolti in candidi teli bianchi. 

Sempre nella tradizione celtica, è la pianta dedicata al’Imbloc, letteralmente in grembo, festa che tradizionalmente celebra il culmine dell’inverno, e che cadendo il 1º febbraio, nel punto mediano tra il solstizio d’inverno e l’equinozio di primavera, simboleggiava la rinascita dopo la morte.

In epoca romana Plinio il Vecchio scrive: “i Galli, credono che il vischio, curi tutti i mali, sia antidoto di molti veleni e doni fertilità, che guarisca epilessia, favorisca il concepimento nelle donne che lo indossano e che le foglie, in impacco, guariscano le ulcere.”

Venne tradizionalmente impiegato, dai popoli nordici fino ai giorni nostri come diuretico, antipertensivo ed antiarteriosclerotico.

Il vischio, Viscum album, come pianta officinale, possiede notevoli proprietà curative. Contiene glicosidi, glicoproteine, polisaccaridi. I principi attivi più importanti sono lectine e viscotossine (macromolecole proteiche) dalle proprietà immunostimolanti ed antitumorali.

Come integratore, il ministero ne consente l’utilizzo delle sole foglie, mentre le bacche sono escluse, perché ritenute altamente tossiche. La cosa singolare è che gli uccelli sono immuni alla tossicità delle bacche, ed è proprio grazie ai loro escrementi rilasciati tra i rami degli alberi, contenenti i semi digeriti, che la pianta si assicura la riproduzione. 

Il vischio è un regolatore della pressione arteriosa con associata azione diureticapreviene la formazione di placche arteriosclerotiche, ed ha un’azione emostatica ed antinfiammatoria.

Inoltre è ipotensivantebradicardizzante e sedativo.

È interessante sapere che il vischio nella medicina antroposofica è considerato l’antitumorale d’elezione e viene utilizzato per la cura del cancro, così come nella medicina ufficiale, in oncologia integrata, lo si impiega come coadiuvante del trattamento chemioterapico, questo soprattutto per la presenza di lectina, una proteina con il ruolo di induttore di citochine, quali interleuchina 1 ( IL-1), interleuchina 6 (IL-6) e fattori necrotici tumorali.

Oltre alla lectina, il vischio è ricco di glicoproteine e polipeptidi e tra questi in particolare le viscotossine che esercitano un’azione immunostimolante oltre ad inibire la proliferazione di cellule tumorali, delle quali promuovono l’apoptosi. 

Il Viscum album è reperibile sotto forma di tintura madre, tisana e gemmoderivato.

L’agrifoglio, Ilex aquifolium L., appartiene alla famiglia delle aquifoliaceae e non è da meno in termini di proprietà curative. Comunemente conosciuto anche con il nome di pungitopo maggiore o alloro spinoso è un arbusto spontaneo, con foglie generalmente di color verde scuro ma anche, bianche, color crema, striate. I suoi frutti sono delle bacche di color rosso vivo, i fiori, invece, sono molto piccoli riuniti in mazzetti di colore bianco o rosa chiaro.

Se il vischio è la pianta sacra, l’agrifoglio è quella magica, caratteristica che lo ha reso protagonista di un variegato folclore internazionale, identificandolo come pianta di buon auspicio ed amuleto vegetale.

Arbusto che spicca con il verde delle sue foglie ed il rosso intenso delle bacche tra la vegetazione spoglia e desolata del pieno inverno, è simbolo della vitalità e della persistenza della vita vegetaleche resiste al gelo ed al buio dell’inverno. Le foglie tradizionalmente venivano usate in decotto come febbrifugo nelle febbri intermittenti, al pari della china, in continuità con la convinzione diffusa nell’antichità, che avesse il potere di proteggere l’uomo, dai disagi causati dalle fredde notti d’inverno.

Le bacche anch’esse velenose come quelle del vischio, lo sono al punto che in esigua quantità possono risultare fatali per l’uomo.

Contiene numerosi principi attivi  tra cui licina e tannini nella corteccia, colesterolo nei fiori, e ilicina nelle foglie, principio amaro al quale si devono proprietà febbrifughe, toniche, tossifughe, espettoranti ed antireumatiche. Tuttavia c’è da dire che recentemente, il ministero della salute italiano, ha eliminato l’Ilex aquifolium, dalla lista delle piante officinali ammesse all’impiego di preparati erboristici ed integratori, pertanto non lo troviamo più sotto forma di estratto ne di gemmoderivato.

Negli altri paesi europei che ne consentono l’uso, il gemmoderivato trova largo impiego per le sue proprietà, ipotensiveantispastiche regolatrici di squilibri neurovegetativi, oltre che nella cura di epilessia, congiuntiviti, tosse cronica, gotta, reumatismi, acufeni e mastopatia fibrocistica.

Troviamo infine l’impiego dei fiori di agrifoglio, in floriterapia di Bach, dove con il nome Holly, si identifica uno dei 38 rimedi formulati da Edward Bach secondo il suo metodo. Proprio in questo caso, troviamo quella stretta relazione, di cui si parlava all’inizio, tra simbolismo e funzione terapeutica, visto che Holly nella floriterapia è considerato il fiore dell’amore nella sua accezione più alta, che con la sua azione aiuta a trasformare e a tenere lontani da noi quei sentimenti funesti e fonte di sciagura come la collera, l’invidia ed il risentimento. Come aspecifico il rimedio ha proprietà sedative.

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