Il 15 marzo 2021 la Congregazione per la Dottrina della Fede, l’organismo della Curia Romana incaricato di vigilare sulla purezza della dottrina della Chiesa cattolica, mi ha consentito per un giorno di sentirmi più giovane di 35 anni, facendomi fare un agile balzo al 1986, anno in cui: ero all’Università, mi innamoravo di Dario, crollava tutta l’impalcatura che mi ero costruito da cattolico che rinnegava la sua omosessualità, la nazionale di calcio italiana usciva male dai Mondiali in Messico, esplodeva nel mio immaginario di innamorato la musica travolgente di The Smiths.

Il 1986, infatti, fu l’anno in cui fu emanata la “Lettera ai vescovi della Chiesa Cattolica sulla cura pastorale delle persone omosessuali”, il celebre documento che introduceva il concetto di disordine collegato alle relazioni omosessuali, e che invitava, di conseguenza, uomini e donne omosessuali all’autorinnegamento.

Ecco, dopo 35 anni, qualcosa è cambiato: siamo in pandemia, viviamo connessi almeno 17 ore al giorno a un device tecnologico, The Smiths si sono sciolti e Morrissey è diventato un rissoso rocker sessantenne, l’Italia nel calcio mondiale non se la passa bene, ho definitivamente riconciliato la mia fede e la mia omosessualità. Due cose, però, sono rimaste immutate: sto ancora con Dario, che nel frattempo è diventato mio marito, e quello che sostiene la Congregazione per la Dottrina della Fede sull’omosessualità.

Bello sentirsi giovani per un giorno, vero?
Infatti, il 15 marzo 2021, la Congregazione per la Dottrina della Fede pubblica un nuovo documento sull’omosessualità. Stavolta si tratta di un documento tecnico: tecnicamente si chiama Responsum , un parere, appunto, in risposta a un dubium circa la benedizione delle unioni di persone dello stesso sesso.

Non viene specificato chi abbia formulato il dubium. In apertura si menzionano progetti e proposte di benedizioni per unioni di persone dello stesso sesso che si starebbero diffondendo in ambito ecclesiastico. Un’ipotesi concreta, in realtà, c’è: il fermento che in alcune diocesi tedesche si sta generando da diversi anni sul tema benedizioni per le coppie omosessuali a partire dall’attività di ricerca di molti teologi, laici e religiosi, che, al termine della loro investigazione, hanno iniziato a sollecitare i loro vescovi di riferimento.

Il documento, chiamato a rispondere, se la nostra ipotesi si rivelasse giusta, a anni di ricerca incessante su teologia e morale per trovare una via d’uscita a quella che è la questione omosessuale all’interno della dottrina cattolica, è in realtà inaspettatamente breve: in meno di 70 righe si dice NO alle benedizioni per le coppie omosessuali e le ragioni sono le stesse del documento del 1986:

Per tale motivo, non è lecito impartire una benedizione a relazioni, o a partenariati anche stabili, che implicano una prassi sessuale fuori dal matrimonio (vale a dire, fuori dell’unione indissolubile di un uomo e una donna aperta di per sé alla trasmissione della vita), come è il caso delle unioni fra persone dello stesso sesso. La presenza in tali relazioni di elementi positivi, che in sé sono pur da apprezzare e valorizzare, non è comunque in grado di coonestarle e renderle quindi legittimamente oggetto di una benedizione ecclesiale, poiché tali elementi si trovano al servizio di una unione non ordinata al disegno del Creatore.
Inoltre, poiché le benedizioni sulle persone sono in relazione con i sacramenti, la benedizione delle unioni omosessuali non può essere considerata lecita, in quanto costituirebbe in certo qual modo una imitazione o un rimando di analogia con la benedizione nuziale, invocata sull’uomo e la donna che si uniscono nel sacramento del Matrimonio, dato che non esiste fondamento alcuno per assimilare o stabilire analogie, neppur remote, tra le unioni omosessuali e il disegno di Dio sul matrimonio e la famiglia”.

Quindi: 1) non si può benedire nessuna relazione che non sia quella basata sul matrimonio eterosessuale; 2) le unioni omosessuali non sono ordinate; 3) non rappresentano il disegno divino su matrimonio e famiglia.

Però, giustamente, una benedizione non si nega alle case, agli animali, a una macchina nuova, in campagna a un trattore, in mare a una nave. Però a una coppia gay no. Per la loro unione la benedizione “non s’ha da fare”.

Ora, l’unica spiegazione che riesco a darmi per un documento così sbrigativo e obsoleto sia la voglia di interrompere tempestivamente l’attività di speculazione dei teologi tedeschi, oppure che l’estensore sia impaurito dall’avanzata inarrestabile del gender. Peccato che noi persone omosessuali in coppia ci siamo visti recapitare questa missiva per niente gradevole, e senza neanche dolcificante. Siamo stati travolti dall’approccio normativo di un documento che, per tono, concisione e meticolosità di citazione delle fonti, potrebbe essere un parere di un CTU in una perizia legale.

La domanda che mi sono posto è: ma quanto è distante questo documento dal luogo dove, credo, Papa Bergoglio sta tentando di portare la Chiesa?

Direi moltissimo; di una distanza siderale, quella che ci separa dalla luce di una supernova. Da un lato Francesco parla di persona, di mettere in risalto le storie individuali, la specificità che rende ciascuno di noi unico. Dall’altra, tutti gli omosessuali appartengono a un’unica categoria, quella del loro orientamento sessuale e pertanto devono accontentarsi di una taglia unica per la pastorale che li riguarda, senza nessuna personalizzazione che faccia riferimento alla loro esistenza individuale.

Ci saremmo potuti aspettare che si fosse approfittato del “dubium” sollevato dai teologhi tedeschi per aprire un’inedita fase di approfondimento, riflessione, conoscenza, ascolto, fase che magari sarebbe durata anni, ma che avrebbe comunque rappresentato un’opportunità di crescita comunitaria. Invece non si è colta l’occasione.

E’ mia opinione personalissima che coloro che hanno vergato il documento vivano in una bolla, distantissimi dalla realtà, da un mondo in cui non solo esistono le persone omosessuali, non solo esistono le coppie omosessuali ma, guardate un po’, le coppie omosessuali stesse sono diversissime l’una dall’altra, portatrici di bisogni, desideri e speranze diversi. E, ironia della sorte, ci sono anche coppie omosessuali che si sono già benedette da tempo, da sole, e senza neanche attendere il permesso di qualcuno. Perché, questo chi è cattolico lo sa, il matrimonio è un sacramento i cui ministri sono gli sposi, non il prete. Chi ha scelto di vivere la vita insieme, di donarsi reciprocamente per un progetto comune e a beneficio non solo dei due attori della storia, ma della comunità in cui sono inseriti, sa bene quando sentirsi benedetto.

Per questo sono anche convinto che si arriverà comunque a un cambiamento sulla morale relativamente all’omosessualità. Semplicemente perché non si potrà continuare a fingere di non vedere la realtà e di riconoscere il valore che emerge da qualunque relazione positiva, etero o gay che sia e che questo valore, ce lo insegna la pandemia che ci costringe a una castità relazionale, è il fondamento del vivere insieme.

Ma perché è così rilevante il tema delle benedizioni omosessuali? Perché la benedizione (o chiamiamola come volete, basta che ci chiariamo sul concetto) è un momento di festa, un saluto, un’accoglienza di una nuova unione che nasce e che entra a far parte del patrimonio della comunità. Questo rende la comunità consapevole dell’unione e la coppia confidente del sostegno della comunità stessa. Senza questo passaggio si rimane nell’ambiguità del riconoscimento.

L’obiettivo che tutti dovremmo condividere dovrebbe essere quello di creare ambienti sociali talmente larghi da far sentire ciascuno a casa propria, da favorire la contaminazione, la crescita reciproca a partire dall’incontro con la diversità, non tanti microcosmi dove ci rinchiudiamo, con la falsa promessa di rispetto della specificità, limitandoci al confronto solo tra simili.

La nostra ricchezza è fatta dalla nostra diversità: l’altro ci è prezioso nella misura in cui ci è diverso.
Albert Jacquard

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