Ne scrivevo proprio qui due anni e mezzo fa (Questa benedizione non s’ha da fare!) quando sembrava che le benedizioni per le coppie dello stesso sesso fossero state definitivamente archiviate dalla Congregazione per la Dottrina della Fede con la pubblicazione del Responsum della Congregazione per la Dottrina della Fede ad un dubium circa la benedizione delle unioni di persone dello stesso sesso.

Ma due anni e mezzo sono stati sufficienti per far maturare nella Chiesa Cattolica un nuovo senso pastorale e rivedere le sue posizioni.

Il documento del Vaticano sul senso pastorale della benedizione

Ed ecco che il 18 dicembre 2023, come regalo di Natale, viene pubblicata la Dichiarazione Fiducia supplicans sul senso pastorale delle benedizioni, a firma del Dicastero per la Dottrina della Fede, Il testo, in una complessa operazione di bilanciamento tra dottrina e innovazione, dà il via libera alle benedizioni per le coppie dello stesso sesso.

Grande merito lo ha avuto sicuramente il percorso di partecipazione allargata al Sinodo che, per la prima volta nella storia della Chiesa Cattolica, ha inaugurato Papa Francesco e che ha dato modo, tra neanche tanto velate opposizioni di alcuni vescovi e movimenti fondamentalisti cattolici, di mettere all’ordine del giorno del dibattito sinodale la questione dell’inclusione delle persone LGBT+.

Ma in questi due anni e mezzo un altro evento è stato determinante nel concorrere alla pubblicazione del Fiducia supplicans, la nomina a capo del Dicastero per la Fede del cardinale Víctor Manuel Fernandez, teologo argentino molto vicino a Papa Francesco che, sin dagli esordi del suo mandato si è pronunciato in maniera vocale su alcuni temi caldi come il ruolo delle donne nella Chiesa e, appunto, la questione LGBT+. Il dicastero guidato da Fernandez si era già pronunciato, favorevolmente anche se con distinguo, sul tema dei battesimi per i figli delle famiglie arcobaleno e per le persone transessuali come possibli madrine o padrini.

Il cardinale Víctor Manuel Fernandez.
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Il tema delle benedizioni non è nuovo

Da molti anni viene investigato soprattutto grazie al lavoro di teologi, e in alcuni casi vescovi e pastori, delle diocesi del nord europa: Belgio, Germania, ecc.. Da questo lavoro era emersa la praticabilità, anche dal punto di vista teologico e sacramentale, dell’inserimento delle benedizioni nella pratica liturgica delle comunità cattoliche. Ma sino ad oggi aveva sempre prevalso il niet a queste proposte perché prevalente la voce di chi, agganciandosi a quanto previsto dalla dottrina sul tema dell’omosessualità, invocava la illegittimità della richiesta di benedizioni.

Il recente documento apre una nuova capitolo nella strada dell’inclusione delle persone LGBT+ ma lo fa in maniera graduale, da alcuni giudicata troppo prudente perché distingue continuamente tra matrimonio tra coppie eterosessuali e il resto del mondo che nomina a volte coppie irregolari a volte coppie dello stesso sesso.

Il risultato è comunque epocale perché, con la logica del mettere nero su bianco le cose, fuga ogni dubbio per le future prassi.

Va detto che le benedizioni sono in realtà già praticate da molti anni e da molti pastori e non solo in Belgio o Germania ma anche nelle nostre terre italiche. I primi rituali furono avviati da uno che ha avuto sempre il dono della profezia, don Franco Barbero che proprio la Congregazione per la Dottrina della Fede, diretta allora da Joseph Ratzinger, aveva ridotto allo stato laicale il 25 gennaio 2003 per le sue teorie e pratiche percepite come eretiche. Franco Barbero, con la sua frequentazione delle comunità di base, negli anni aveva creato una prassi di accompagnamento delle coppie gay e lesbiche che aveva poi raccontato nel libro Benedizioni delle coppie omosessuali pubblicato nel 2013 per L’Harmattan Italia. Certo, le benedizioni sono avvenute sinora in maniera silente, senza dare visibilità o clamore, andando a cercare il prete alleato e il contesto giusto.

Il documento Fiducia supplicans ha il pregio di porre fine alle elucubrazioni e dare la possibilità alle coppie di chiedere e ai pastori di fare le benedizioni, senza timore di alcuna conseguenza. Si immagine che nei prossimi mesi le benedizioni diverranno pratica comune, riducendo ancora di più il pregiudizio delle comunità cattoliche nei confronti delle persone omosessuali.

Il disegno complessivo del pontificato di Bergoglio sulla questione LGBT+ mi semba chiaro: si punta proprio a riaccendere la frequentazione delle persone LGBT+ con le loro comunità di appartenenza da cui si erano (o erano state) allontanate. Da questo potrebbe scaturire una nuova relazione e l’abbattimento, come detto, del pregiudizio, per aprire poila strada a una possibile modifica della dottrina.

Certo, una coppia omosessuale sa bene che desiderare, progettare e realizzare una vita insieme scorre sugli stessi binari dei sentimenti e delle emozioni che guidano una coppia eterosessuale al matrimonio. Quindi, naturale che leggere ancora coppie irregolari non risuoni propriamente un traguardo, ma un buon avanzamento sicuramente sì. Probabilmente i fondamenti sacramentali che portano due coniugi eterosessuali a amministrarsi reciprocamente il sacramento del matrimonio sono gli stessi per una coppia omosessuale.

Fiducia suppllicans, quindi, possiamo vederlo come un passaggio intermedio necessario, avvenuto in tempi che per la Chiesa Cattolica possono essere definiti rapidissimi e che costituisce una tappa del lungo percorso di inclusione delle persone LGBT+.

Intervista al teologo sacramentale Andrea Grillo

Ne ho parlato con uno dei maggiori esperti della questione, il teologo sacramentale Andrea Grillo che, proprio su questo tema, ha pubblicato nel 2021, insieme a padre Cosimo Scordato, il libro Può una madre non benedire i propri figli? Unioni omoaffettive e fede cattolica edito da Cittadella Editrice.

La copertina del libro “Può una madre non benedire i propri figli? Unioni omoaffettive e fede cattolica”
pubblicato da Cittadella Editrice

Buongiorno Andrea, iniziamo da un commento a caldo su “Fiducia Supplicans”. La reputi un primo passo soddisfacente?
Per capirne il valore occorre partire dal documento di due anni fa: mentre il Responsum negava la possibilità di benedire le “unioni irregolari”, questa Dichiarazione identifica uno spazio, significativo anche se non troppo esteso, nel quale è possibile che la Chiesa dica una parola di benedizione su ogni “coppia” o “famiglia” che vive il bene della relazione e della fedeltà. Non è poco.

Tu hai approfondito, da teologo sacramentale, il tema delle benedizioni per le coppie omosessuali. Ritieni che il pronunciamento della Congregazione della Dottrina della Fede vada nella direzione della tua ricerca teologica?
Molti teologi, in diverse nazioni, da decenni segnalavano al magistero ecclesiale la differenza tra la benedizione come “difesa della identità” e la benedizione come “riconoscimento del bene”. Questa distinzione mi sembra ora acquisita dal magistero e utilizzata per restituire autonomia alla profezia ecclesiale. Una Chiesa che si lascia chiudere nell’ufficialità, vive anche la benedizione con troppo stress. Come dice la frase finale della Dichiarazione, il documento è un “esercizio di mitezza” e insegna come essere miti. 

Nel documento si parla ancora di “coppie irregolari” ma anche correttamente di “coppie dello stesso sesso”. Secondo te cosa ci vuole comunicare il documento mantenendo questa duplice dizione?
La duplice dizione dipende dal duplice livello con cui si possono sempre considerare le “domande” rivolte alla Chiesa: ne hai diritto o no? Di per sé può capitare di pensare che abbia “diritto” alla benedizione solo chi è “regolare”. Ma siccome la benedizione è proprio lo strumento più duttile della tradizione liturgica ecclesiale, alla benedizione si può e si deve ricorrere per riconoscere il bene di tutte quelle esperienza di relazione, di fedeltà e di fedondità che appaiono “irregolari” per i registri parrocchiali. Ma il parroco non è solo un pubblico ufficiale, ma è anche un profeta. Per questo, con le dovute attenzioni, può stare a suo agio anche con chi appare fuori norma.

Un passo del documento recita “è essenziale cogliere la preoccupazione del Papa, affinché queste benedizioni non ritualizzate non cessino di essere un semplice gesto che fornisce un mezzo efficace per accrescere la fiducia in Dio da parte delle persone che la chiedono, evitando che diventino un atto liturgico o semi-liturgico, simile a un sacramento.”. Pensi sia ancora lontano il momento del riconoscimento sacramentale?Qui, come è evidente, sta una questione ulteriore. Direi così: mentre nel Responsum del 2021 si identificava benedizione e sacramento, ora si distingue e si evita di schiacciare una sull’altro. E la distinzione apre spazi di profezia ecclesiale, che non deve più ricorrere alla logica delle catacombe per legittimarsi. Diversa è la questione di un riconoscimento sacramentale, che implica un passaggio teologico più complesso, che non riguarda anzitutto la omosessualità, ma ogni irregolarità. La teologia cattolica della identificazione di contratto e sacramento, di cui siamo figli da molti secoli, ha creato una aspettativa giuridica troppo alta, che schiaccia ogni distinzione tra “forme della unione” e “forme del sacramento”. In questo documento la rilettura della benedizione è diversa rispetto ad una rilettura della relazione tra sacramento e unione legittima, che resta al di qua del testo. In futuro sarà inevitabile affrontare anche questo nodo, che è ancora più profondo.

Ti lancio uno spunto: ma se i ministri del matrimonio sono gli sposi che, quindi, sanno il momento in cui decidono di sentirsi sposi e amministrarsi il sacramento, perché questo ancora non è ritenuto adeguato ad una coppia dello stesso sesso?
Questa provocazione non tiene conto che, nella teoria della ministerialità dei coniugi, il ruolo della “forma canonica”, dal 1563, è del tutto decisivo. Questo di fatto introduce una competenza ecclesiale che diventa “responsabile” di ogni matrimonio. Anche Renzo e Lucia avrebbero potuto godere di questa protezione, se Don Abbondio avesse fatto il parroco e non il pesce in barile. Ma questa logica implica un “controllo ecclesiale” del contratto matrimoniale, che è entrato in crisi con lo stato liberale. Amoris Laetitia, per uscirne, deve citare S. Tommaso, ossia deve scavalcare l’irrigidimento moderno, che confonde teologia e diritto! Oggi si dovrebbe riscoprire la possibilità, per la Chiesa, di non dover garantire la istituzione matrimoniale soltanto con il proprio diritto canonico, ma riconoscendo anche il diritto di altri ordinamenti.

Un altro passo dà però indicazioni liturgiche: “Nella breve preghiera che può precedere questa benedizione spontanea, il ministro ordinato potrebbe chiedere per costoro la pace, la salute, uno spirito di pazienza, dialogo ed aiuto vicendevole, ma anche la luce e la forza di Dio per poter compiere pienamente la sua volontà.” In pratica la speranza di vita insieme  che potrebbe accompagnare qualsiasi coppia che intende avviare un percorso di matrimonio. E’ la premessa di qualcosa che verrà?
Credo che sia la espressione di una antica sapienza ecclesiale, che si è come paralizzata nel ruolo di “pubblico ufficiale” che prima il Concilio di Trento e poi il Codice (1917 e 1983) le ha affidato. E’ un ruolo troppo gravoso e poco “mite”. Una Chiesa che alimenti la mitezza può farlo riscoprendo la forza profonda della parola che riconosce il bene. Una Chiesa che sappia essere, anzitutto di fronte alle storia di amore, non solo regale e sacerdotale, ma profetica, torna ad usare il linguaggio più libero e più potente, quello della benedizione. Ci sembra una cosa nuova solo perché abbiamo memoria solo per gli ultimi secoli.

Ritieni che questo passo sia parte della strategia di papa Francesco di “inclusione graduale” partita con il cambiamento radicale nel linguaggio per arrivare al ritorno della frequentazione tra comunità e persone LGBT+ che sta ora consentendo anche questo passo per molti versi innovativo?
La “inclusione graduale” passa sicuramente anzitutto per una “terapia linguistica”: se si inizia ad usare il termine “benedizione” e il verbo “benedire” in una accezione più antica e più profonda, nella quale non significa anzitutto “legalizzare formalmente”, ma “riconoscere sostanzialmente”,  questo cambia la figura di Chiesa e la forma della relazione con le diverse modalità con cui oggi uomini e donne vivono la loro esperienza d’amore. La Chiesa sceglie la mitezza, senza rinunciare all’ideale, ma liberandosi di quelle forme di idealizzazione che sono sempre accompagnate da un eccesso di rigidità e di violenza. Una Chiesa mite non può evitare di passare attraverso questo cambio di paradigma linguistico, che investe tanto la teoria quanto la prassi.

Andrea Grillo
Per gentile concessione di Andrea Grillo dal suo archivio personale

Andrea Grillo è nato a Savona nel 1961, insegna dal 1994 a Roma S. Anselmo e a Padova S. Giustina. Ha pubblicato di recente Eucaristia, Brescia, 2019, Cattolicesimo e Omosessualità, Brescia 2022 e Se il sesso femminile impedisca la ordinazione, Assisi 2023.

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