Yemek’wak’wami chilota è una parola che in amarico vuol dire resilienza
Resistente, come la Fenice, uccello di fuoco che nella mitologia si trasforma, risorge, rinasce dalle proprie ceneri. A pensarci bene la storia di milioni di vite umane. La scelta della lingua ufficialmente parlata in Etiopia non è casuale né fortuita, ma fortemente voluta per ricordare a pochi giorni dal suo 43esimo compleanno, Aguitu Idea Gudeta. Donna emancipata, colta, nera, forte, imprenditrice e simbolo di resilienza ancor prima che d’integrazione.

Di lei è stato raccontato tanto, tutto. Ma  andare oltre il tutto, qui, è d’obbligo. Oltre il suo paese d’origine, la fuga da un mandato di cattura che l’avrebbe portata a morte certa. Il viaggio, pochi euro in tasca, un certificato di laurea conseguito a Trento con una borsa di studio e una vita intera da ricostruire ripartendo da zero. Una storia come tante, quella di Aguito. Forse la stessa del suo assassino arrivato dal Ghana. L’anno che ci stiamo per lasciare alle spalle chiude i conti con  28.950 arrivi via mare e una cifra sottostimata di 258 fra morti e dispersi in mare“E’ una storia da dimenticare. E’ una storia da non raccontare. E’ una storia un po’ complicata. E’ una storia sbagliata”

Yemek’wak’wami chilota. Sudan, Bangladesh, Somalia, Eritrea, Costa D’Avorio, Marocco, Mali. Le storie di vita ad un certo punto si ritrovano tutte in un punto preciso… in un imbuto o una tela di ragno. In Mali per dire resilienza si usa la parola Barikamà.

Per chi vive vicino a Roma questa parola indica molto di più. Un gruppo di ragazzi che come Aguitu dall’Etiopia, sono fuggiti dal Mali, dalla Guinea, dalla Costa D’Avorio finendo nell’inferno agricolo di Rosarno12 ore di lavoro al giorno per pochi euro a fine giornata. Baracche di plastica e lamiera. Vecchie fabbriche abbandonate e nessun diritto in uno Stato d’accoglienza che proprio del diritto fa la sua bandiera democratica. La pastorizia e l’agricoltura. Due mestieri vecchi come il mondo. Capre felici sulla montagna del Trentino e agrumi sporchi di schiavismo nella Piana di Gioia Tauro. Sono proprio i diritti umani e la battaglia contro il razzismo ad unire queste storie di resilienza geograficamente distanti. Da Nord a Sud dell’Italia. Dall’Est all’Ovest dell’Africa. Aguitu che in Etiopia lotta per il diritto alla terra dei contadini contro le multinazionali che espropriano, sfruttano e schiavizzano. Suleman, Aboubakar, Cheik, Sidiki, Modibo, Seydou, Ismael. I ragazzi di Barikamà, alcuni dei quali nel 2010 in un posto dominato dalla N’drangheta, trovano il coraggio di alzare la testa e marciare in strada per i diritti dei lavoratori agricoli, in quella che passerà alla storia come la rivolta di Rosarno.

Mentre Aguitu in Trentino lavora senza sosta come cameriera per realizzare il suo sogno e diventare imprenditrice di se stessa recuperando una tradizione tutta italiana, un allevamento di capre Mochena e un caseificio, Suleman e gli altri giunti a Roma danno vita alla cooperativa sociale Barikamà grazie ad un progetto di micro credito. E’ una storia che potremmo scrivere con il latte, questa. Il latte della Valle dei Mocheni in Trentino che riscatta Aguitu e il latte di Amatrice che diventa yogurt e riscatto sociale per Barikamà. Due storie di resilienza che assumono un valore assoluto in questo Paese schiacciato sempre più nella morsa dell’odio, del razzismo, della chiusura all’altro. Due storie esemplari che insegnano molto su quanto può arricchire il dare qualcosa di sé e prendere qualcosa dagli altri per costruire insieme qualcosa di nuovo e diverso. La chiamano integrazione reale. Nei formaggi di Aguitu c’è l’Etiopia, il latte della Capra Mochena, l’erba dei pascoli del Trentino e la tecnica francese. Nello yogurt di Barikamà c’è l’Africa, il latte di Amatrice prodotto da Casale Nibbi e la tecnica del caseificio del Casale di Martignano.  Di storie così ne è piena l’Italia.  

Le storie di vita ad un certo punto si ritrovano tutte in un punto preciso… in un imbuto o una tela di ragno.  A spezzare i progetti di Aguitu la notte del 30 Dicembre è la mano violenta di un uomo venuto dal Ghana. Anche per lui potremmo parlare di integrazione. Perfettamente ambientatosi in un paese, l’Italia, in cui il femminicidio uccide una donna ogni tre giorni.

In un paese misogino in cui nascere donna costa ancora troppa fatica e ogni piccolo traguardo sociale e professionale viene pagato a caro prezzo. Ancor più caro se sei una donna, di colore e immigrata. Eppure per uno strano scherzo del destino la notte che Aguitu Idea Gudeta moriva, lasciando orfane le sue capre felici in Trentino, il Senato argentino approvava il diritto all’aborto dall’altro capo del mondo. Per Lorentz sarebbe il risultato dell’effetto farfalla.

Per chi lotta ogni giorno per i diritti umani e civili, uno dei tanti traguardi di un lungo, interminabile percorso fatto di resilienza: firma con Amnesty!

Yemek’wak’wami chilota.  

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