Il cuore era considerato nell’antica medicina come sede dell’affettività altrettanto come la pancia sede delle emozioni. Nel linguaggio comune il cuore indica il luogo dei sentimenti e dell’affetto, nella concezione biblica designava addirittura tutto l’essere umano, la sua volontà e coscienza, la sua capacità di scegliere e di decidere tra il bene e il male.

Nella medicina del secolo scorso il cuore veniva considerato una pompa che permetteva la circolazione sanguigna fino a quando la scoperta di un ormone l’ANE (fattore atriale natriuretico)  nel 1981 inserì anche il cuore nel sistema PNEI (psico-neuro-endocrino-immunitario) quindi in connessione con tutto il sistema ormonale, psichico ed immunitario.

Si è poi visto che il cuore manda informazioni al cervello tali da influenzare percezioni e comportamenti, e si sono anche scoperti meccanismi attraverso i quali degli input cuore/cervello possono inibire o facilitare l’attività cerebrale. 

In questa ottica non ci meraviglia che i giapponesi descrivessero negli anni ’90 una sindrome cardiaca prettamente femminile, e quindi ascrivibile alla medicina di genere, oggi conosciuta come sindrome del cuore infranto o sindrome del crepacuore.

Stiamo parlando di una cardiomiopatia da stress che simula un infarto dovuta a una delusione affettiva o comunque a un grosso trauma non elaborato, una rottura, una ferita dell’anima che interrompe la continuità psichica del soggetto minacciando di frammentare la sua coesione mentale in quanto difficilmente integrabile nel proprio sistema psichico. La donna affetta da questa sindrome presenta i segni di un vero e proprio infarto cardiaco, ma senza occlusioni coronariche, ischemia o interruzioni di flusso di sangue al cuore. 

Cosa accade: il cuore assume la forma di un palloncino per una modificazione transitoria dell’apice ventricolare sinistro, dovuta a stimoli di origine nervosa. Questa deformazione, visibile con le tecniche di imaging come l’ecocardiografia o la risonanza magnetica, fa assumere al ventricolo sinistro la forma di un cestello come quello usato dai pescatori giapponesi per la pesca (tsubo) del polpo (tako), di qui il nome di sindrome di tako-tsubo. L’apice del cuore si blocca mentre la parte inferiore si contrae in maniera eccessiva, in questo modo il sangue fa più fatica ad essere espulso dal ventricolo sinistro. Questo infarto atipico si presenta nella donna in post-menopausa, quindi quando è ormai priva della protezione ormonale estrogenica.

La sopravvivenza a un attacco di sindrome tako-tsubo è solitamente alta (96% dei pazienti) anche se alcuni studi sottolineano la pericolosità di questa patologia per  le complicanze quali arresto cardiaco, insufficienza cardiaca, aritmia ventricolare e rottura di cuore.

Lo stress acuto responsabile della sindrome è riportabile a trauma da perdita sia esso affettivo (morti improvvise, delusioni ecc.) o materiale (terremoti) che porta a una disfunzione del microcircolo mediata dalle catecolamine con iperattività del sistema simpatico che contribuisce a una disfunzione microvascolare predisponente a una minore riserva di sangue da mettere in circolo. Il motivo per cui la disfunzione miocardica si localizza all’apice del ventricolo sinistro potrebbe spiegarsi con la maggior presenza di recettori adrenergici in questa zona rispetto alla base. 

In un prossimo post vedremo come superare gli stress acuti attraverso una tecnica di avanguardia per la gestione dei traumi validata nell’agosto del 2013 dall’OMS come trattamento efficace per la cura del trauma e dei disturbi ad esso correlati: l’EMDR (Eye Movement Desensitization and Reprocessing)

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