Prendete una fabbrica di prodotti per la salute e la bellezza che dalle vetrate intravvede le prime avvisaglie delle Dolomiti. Immaginate il posto di lavoro all’interno di una architettura moderna e luminosa. All’esterno guardate un giardino officinale e campi da green volley. Poi partecipate a corsi di formazione di cucina. E infine considerate i percorsi di crescita professionali che hanno fatto in modo che un quarto dei quadri aziendali abbia meno di 40 anni.

Voglia di andare a lavorare all’estero?
“Si, è vero, i giovani cercano di andare fuori perché lì vedono un futuro migliore – dice Luigi Rampino, direttore delle risorse umane di Unifarco – e allora abbiamo capito che quella voglia di benessere e crescita le imprese la debbono offrire. E lo facciamo qui. In Italia”.

“Qui” è Unifarco. Nasce nel 1982 a Santa Giustina, a pochi chilometri da Belluno, dall’intuizione di Ernesto Riva, farmacista e Presidente in carica, e Massimo Slaviero, figlio d’arte e attuale CEO ai quali si uniscono poi la professionalità dei farmacisti Luigi Corvi, attuale Sales & Marketing Vice President, e Gianni Baratto Science & Research Vice President, che decidono di mettersi assieme per creare un’impresa che offra a tutti prodotti cosmetici, dermatologici, nutraceutici, dispositivi medici, make up e alimenti funzionali efficaci, sicuri e accessibili, sfruttando inizialmente la rete di alcune farmacie italiane.

Partita con quattro soci, ora Unifarco è un gruppo con 577 dipendenti in Italia, 800 in Europa. Le farmacie associate sono circa 6400 in 6 paesi europei, che attingono ai 61mila prodotti confezionati ogni giorno, protetti da 21 brevetti. E un payoff che dice: “we care for care”, abbiamo cura del benessere

Rampino, cosa è il benessere per voi?
Per noi sono i prodotti che facciamo, ma prima ancora è cultura del benessere, diffusa attraverso le farmacie. Ma perché questo sia credibile fuori, bisogna che lo sia anche dentro. Perché il benessere è anche un dovere dell’azienda nei confronti delle persone. Qui abbiamo la responsabilità di riportarle a casa sane, preservare la salute, la sicurezza, l’integrità, la dignità. Il benessere è bello e utile: perché crea un ambiente piacevole, una reciprocità tra azienda e dipendenti, che a sua volta crea ricchezza. Noi abbiamo deciso che lo storytelling della nostra impresa doveva tradursi in uno storyliving, nel fare in casa le cose che raccontiamo fuori. E quindi ci siamo occupati di 4 filoni di benessere anche in azienda.

E quali sono?
Eccoli: nutrizione, sport, cura di se e benessere psicologico.

Sembra quasi lo slogan di una clinica…
Noi vogliamo che le persone lavorino bene. E insisto sul concetto di reciprocità. Cosa ci aspettiamo da te e cosa tu ti aspetti da noi sono concetti che debbono trovare un punto di incontro. Il primo è il posto di lavoro: chi viene qui si accorge del clima già passando per i corridoi, con gente che sorride e si saluta. E questo genera benessere psicologico. Per la nutrizione abbiamo organizzato dei corsi di formazione sulla cucina a vapore: preserva i sapori e i sali minerali. Per l’attività fisica e cura di se abbiamo costruito campi da green volley per una sorta di settimana dello sport. Poi c’è il giardino officinale, per gli estratti naturali, con due dipendenti che hanno anche la mansione di apicoltori, qui nel nostro apiario e in provincia, dove installano i cosiddetti bughotel, dei ricoveri di legno per gli insetti impollinatori. Facciamo bene a noi stessi facendo bene alla natura.

Chi lavora cerca però anche riconoscimenti più materiali. Stipendio, carriera, prospettive di crescita
Certamente. Noi cerchiamo di attivarci su base di gruppi omogenei o per singoli individui, in base al loro talento, spingendo su questo percorso: apprendimento, crescita delle competenze, assunzione di responsabilità, riconoscimento economico. E sempre con totale reciprocità, tra dipendenti, azienda ed il suo team. Abbiamo anche qui lo smart working, ovviamente. Ma lo facciamo in modo diverso: il principio guida è rispettare la qualità del lavoro, il che significa che non può esserci uno smart working imposto col calendario e uguale per tutti. Essere rigidi non serve. Ci vuole flessibilità e qualità del lavoro: se hai bisogno di concentrarti e fai meglio a casa per un paio di giorni non c’è problema.

Reciprocità è anche il concetto che guida le trattative con i sindacati. Il nostro contratto integrativo non è fatto di commissioni o comitati, ma è fatto con gruppi di lavoro misti e paritetici sindacati-azienda. Grazie ai sindacati abbiamo avviato progetti per il contrasto alla violenza sulle donne, e sono partite campagne di sensibilizzazione sulla parità di genere. Stiamo aumentando la presenza femminile nei ruolo di vertice, puntiamo all’obiettivo del 40% di capi donna, ora siamo intorno al 33%. E in base all’accordo con i farmacisti soci (hanno il 10% del capitale, ndr), c’è un loro rappresentante come consigliere nel cda: da diverso tempo è una donna.

Come distinguete tra bellezza, che è il core business di molti vostri prodotti, e salute?
Noi sviluppiamo sempre più la collaborazione con dermatologi e da poco anche con i gastroenterologi, per la cura della disbiosi. Ci muoviamo anche per sviluppare cultura medica, non solo estetica. E qui a Belluno abbiamo un’iniziativa importante anche per il territorio. Tramite la nostra fondazione abbiamo messo a disposizione un appartamento ad uso dei medici in servizio alla Azienda Sanitaria: serve come alloggio per gli specializzandi che vengono qui a fare tirocinio. Consentiamo così ai medici di trovare un servizio, e al territorio magari di attrarre talenti che si innamorano della montagna e poi restano qui.

E’ un modo di restituire al territorio la ricchezza che realizzate. Un territorio, tutto quello del Nord-Est, che è a forte rischio di esodo da parte dei giovani
Certo, ma la ricchezza si restituisce anche continuando a fare investimenti e a crescere, per rimanere competitivi e continuare ad aumentare l’occupazione. Ora stiamo investendo sull’automazione della logistica.

Che consigli darebbe ai suoi colleghi e agli imprenditori per frenare la fuga dei giovani?
Di spogliarsi della visione tradizionale, ascoltare i dipendenti, inserire meccanismi che assicurino un contatto costante tra le persone. La gerarchia rimane in ogni azienda, è ovvio, ma bisogna essere estremamente aperti all’ascolto e ai bisogni delle persone. E progettare per loro un percorso di crescita strutturale, con riconoscimento economico adeguato. Allora vedrà che ci sarà meno voglia di andare all’estero.

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