È un viaggio nella memoria, un universo poetico, quello della Compagnia Abbondanza-Bertoni: Un film ballato (2015), disponibile su Rai Play, nato come progetto per la televisione di ieri, innovativo e coraggioso allora, si rivela oggi, in tempo di Covid e teatri chiusi, più attuale e contemporaneo che mai. Accompagnati da un angelo e una bambina, esseri fuori dal tempo, attraversiamo un repertorio trentennale di alcuni dei brani coreografici dei Maestri del teatrodanza italiano, appositamente ripensati. Da Esecuzioni a Capricci, da Le fumatrici di pecore a Polis, da Scena madre a Duel e Try, ricordi, evocazioni e proiezioni fantastiche riempiono il Teatro Zandonai di Rovereto.
E con la loro danza scomoda, Michele Abbondanza e Antonella Bertoni, reinventano nuovi spazi, tra palchi e platea, foyer e palcoscenico, ripercorrendo il passato, immaginando – anche adesso, dopo una residenza a Rosignano Marittimo, per la prossima edizione del Festival Inequilibrio – presente e futuro possibili. 

2015, Teatro Zandonai di Rovereto. C’erano le telecamere, le luci, la regia di Felice Cappa. Soprattutto c’era la danza a fondersi con il cinema. È stata una storia da scrivere, da ballare. È stato (forse) troppo lungimirante. Perché? 
ANTONELLA BERTONI: “‘Forse’ sì, ‘troppo’ no. Felice Cappa voleva dedicare due ore alla nostra Compagnia e l’intenzione era riprendere ‘Romanzo d’infanzia‘. Ha proposto di mettere in scena due creazioni ma il tempo compositivo all’interno di uno spettacolo cambia radicalmente se non sei in presenza e non sarebbe stata una cosa molto producente, per noi. Per questo siamo un po’ lontani anche da questo teatro in rete: il video ti impone altri tempi e l’attenzione te la chiede un percorso che è più cinematografico che teatrale. Abbiamo deciso di fare qualcosa con la pretesa che fosse quasi un film, per questo lo abbiamo chiamato ‘Un film ballato’. Così abbiamo convertito la richiesta di due nostri spettacoli tout court ripresi sul palcoscenico per Rai Cultura, in questa trasformazione che per noi è stata necessaria nel momento in cui la danza compare in video”.
MICHELE ABBONDANZA: “L’attitudine all’arte poetica, come quella che cerchiamo di avere noi, prevale sempre. Ungaretti ha scritto “M’illumino d’immenso” anni e anni fa e ancora ci si nutre di questa poesia, come di tante altre scritte ancora prima. Quando pensi o scrivi una drammaturgia, inizi una ricerca personale e spesso anticipi i tempi.
È tipico degli artisti. Non è importante se quella cosa si avvera o no: il rapporto espressivo e non rappresentativo con il movimento, unito a ciò che racconti, contiene un margine di immaginazione che ha dentro anche un po’ di futuro. Poi alcune cose avvengono anche in maniera fortunata e basta. Noi in qualche modo abbiamo anticipato tutti questi film e questo streaming, anche se purtroppo ora, è a causa di un’emergenza sanitaria. Ma in fin dei conti, tutti i nostri lavori, compresi quelli citati in ‘Un film ballato’, contengono schegge di futuro”.

Qual è l’idea che, a distanza di anni, vi portate ancora dietro da ‘Un film ballato‘?
AB: “Quando Felice Cappa ci ha proposto di mettere in scena quello che poi è diventato ‘Un film ballato’, abbiamo pensato come raccontarci, come portare il nostro lavoro in televisione: proponendo un attraversamento poetico, aprendo delle piccole finestre su quelli che sono stati i lavori della Compagnia. Anche perché non ci riconosciamo in uno più che in un altro, ci piace la nostra diversità. Volevamo trovare un nodo che contenesse l’essenza e le varie sfaccettature della nostra danza, per poi promuoverla attraverso una nuova modalità: quella cinematografica (e televisiva). Questa è una delle cose che ci siamo portati dietro: nella Trilogia a seguire (il Progetto Poiesis, dal 2017 al 2019, con La morte e la fanciulla, Erectus, Pelleas e Melisande), il video, per esempio, è uno degli elementi che accomuna gli spettacoli, fino a quel momento non lo avevamo indagato più di tanto. Da un anno ormai è sempre questo il grande dilemma del teatro: streaming o non streaming? Il presupposto è diverso da quello con cui abbiamo creato il film, ma alla fine la resa è la stessa. Ti ritrovi a guardare una materia che è nata per la relazione viva e carnale attraverso uno schermo… 
MA: “in ‘Un film ballato’ viene fuori la ricerca Abbondanza-Bertoni. Come si dice: non è importante la meta ma il viaggiare… non voglio essere banale ma è così. È questo il nostro tragitto, tra i due simboli del Teatro – il pianto e il riso, le due maschere – che fondono due emozioni ambivalenti, in cui in una c’è sempre un po’ dell’altra. Tutto quello che raccontiamo è in queste due faccine. Con la tendenza a lavorare non tanto nel mezzo, come i moderati, ma andando verso le estremità: parlare della vita, della morte, dell’infanzia e della sua innocenza, della fragilità e della vecchiaia. Lo vediamo nel pezzo di Antonella con sua madre… anche in Terramara raccontiamo questo, con ironia, con leggerezza: del destino che ci fa paura, di cui non sappiamo nulla, non sappiamo quello che ci aspetta. Lo raccontiamo così come abbiamo imparato dai nostri Maestri, Carolyn Carlson o Peter Brook, dai libri, dal nostro maestro Zen e da tutti gli incontri che abbiamo avuto: l’artista dà e ruba. Come diceva Carmelo Bene: “certo che cito, non sono mica Adamo!”. E il gesto è il miglior portatore delle nostre esperienze e dei nostri racconti”.

Tra i moti dell’animo che muovono i vostri progetti, ci sono quelli per e con i bambini. Nel film sono una presenza costante, aprono e chiudono la pellicola. Come avete lavorato e che tipo di lavoro state facendo con loro oggi?
AB: “Il rapporto che abbiamo con i bambini è molto fisico, Michele li tira su, fa l’albero e loro si arrampicano sopra di lui… Li dirigiamo anche a distanza ma, essendo appunto un rapporto molto fisico, oggi il percorso è sospeso. Con loro come con un gruppo di adulti. Nello spazio che si può avere a disposizione a casa forse è meglio un corso di Yoga, della meditazione… io ho bisogno della presenza. Poi il rapporto continua, ci sentiamo, anche se con i bambini è un po’ più difficile perché vogliamo anche evitare di sovraccaricare le famiglie con altre ore davanti allo schermo. Il percorso che abbiamo iniziato sull’infanzia è stato molto veloce ma abbiamo tentato di tenerlo in piedi e ci sono ancora oggi dei semini che continuano a germogliare: due di queste bambine, oggi diciottenni, continuano con la danza e il teatro. È straordinario”.
MA: “se danzi, muovi l’anima: questa comprende tutto ciò che è incomprensibile e include i bambini, coinvolti nel mistero della vita da meno tempo di noi, che hanno ancora delle reminiscenze… camminano sulle punte dei piedi, saltellano, vogliono tornare a volare. Con l’età, invece, si smette di saltare. Abbiamo lavorato molto anche sull’immobilità. Insegnare loro a non muoversi, far capire l’inizio del movimento, è stato molto difficile. ‘Il ballo del qua‘, per esempio, inizia con una slow motion: vestita di bianco, Emily – sette anni – ci impiega dieci minuti ad attraversare la scena, alla faccia di chi ha fretta in teatro! Lavorare con i bambini e anche con gli anziani, per chi è vicino a questi due momenti (infanzia e vecchiaia) – torniamo ai due estremi, perché tutto si tiene, alle due maschere – è misterioso. Bisognerebbe ragionare di più su che cosa c’è sotto questo simbolo del Teatro. È bello divertirsi, intrattenersi, senza pensare ai problemi reali ma dovremmo chiedere qualcosa di più all’attenzione dello spettatore, rivolgendoci alla sua anima. Noi cerchiamo di farlo con i bambini, gli anziani o anche con i danzatori allenati alla verità scenica, che non è la vera verità: diceva Strehler non si può fingere due volte, non posso andare in scena e poi recitare. Devo andare in scena e sentire il legame con la mia verità, come una cartina di tornasole con il personaggio che interpreto”.

Il personaggio di Patrizia, invece? È molto commuovente…
AB: “nel film riproponiamo una scena tratta da ‘Le Fumatrici di pecore‘, che fa parte della Trilogia sul progetto biologico che comprende appunto ‘Le Fumatrici di pecore’ – io in scena con una ragazza diversamente abile; ‘Il ballo del qua’ con otto bambini in scena, la sera, nella stagione del Teatro Contemporaneo, per un pubblico adulto e il lavoro con mia mamma ottantenne. Patrizia, sì, è un personaggio molto particolare…
MA: Un personaggio borderline. L’abbiamo conosciuta in un seminario a Torino, Antonella si innamorò di lei e le propose di continuare questo rapporto artistico. Poi abbiamo fatto delle prove, intravedendo la possibilità di un duo atipico: quello della ballerina tradizionale (poi neanche tanto) – impersonata da Antonella – e un corpo ballante come quello di Patrizia, che quando si muove ha una sua potenza interna incredibile. Ci incuriosiva unire queste due bellezze diverse”.

In ‘Un film ballato’, le immagini della danza vengono accompagnate da didascalie poetiche, dolci e lapidarie…
AB: “a distanza di anni non ho più la verginità di visione che mi permette di avere una ricostruzione drammaturgia pulita del film. L’ha avuta sicuramente Felice che, da regista, ci ha suggerito, a livello televisivo, come sarebbe stato meglio costruire il tutto. Gli estratti poetici fanno parte di ‘Polis‘, uno spettacolo in cui Michele sposta gli altri danzatori-burattini-marionette e lui li muove con il suono di un campanello, accompagnandoli con questi testi. La maggior parte sono di Carlo Michelstaedter
MA: Sì, un ragazzo che dopo aver discusso la sua tesi sulla persuasione e la retorica, dalla quale abbiamo tratto queste frasi, si suicidò, a soli 23 anni. È vero, se ne percepisce la dolcezza ma anche la pesantezza, accompagnano i gesti ma in ‘Polis’  – uno spettacolo di tanti anni fa, parlarne ora mi fa molta tenerezza! – hanno un’intenzione diversa, rispetto al film…

Come nasce la vostra vocazione artistica?
AB: “ho cominciato con la ginnastica artistica, poi la ritmica, ero brava e vincevo le gare… Poi sono andata in tilt. Durante l’università ho cercato corsi di danza contemporanea e ho iniziato a lavorare nelle compagnie romane. Dopo un paio d’anni di studio a Roma sono andata a Parigi – avevo solo il biglietto di andata ma sarei dovuta tornare dopo tre mesi. Lì ho avuto la possibilità di partecipare a un seminario di Carolyn Carlson, nonostante i posti esauriti. In quell’occasione, sono stata mossa da qualcosa che solitamente non mi appartiene: l’ho aspettata all’ingresso e appena è entrata mi sono presentata: “sono una ragazza italiana, sono a Parigi per poco e vorrei studiare con lei”. E lei, tra ottanta allievi, prima di chiudere la porta mi disse: “Italiana, vieni dentro”. Poi durante la lezione ha fermato tutti e mi ha detto ancora: “Tu, Italiana, fai vedere, ché lo fai molto bene!”. La settimana successiva, sempre a Parigi, avrebbe cominciato le prove con la Compagnia, già formata. Mi chiese comunque un recapito, proponendomi intanto di partecipare alle classi con loro, la mattina. Così feci e lì conobbi Michele, che teneva queste classi. Poi Bernadette, una danzatrice francese, si ritirò… e Carolyn mi disse di restare. Non sono più tornata a casa! “.
MA: “io ero a Parigi già da un po’, ero l’assistente di Carolyn. Antonella era una giovinetta arrivata dall’Italia ma già talentuosa… ho sempre avuto il desiderio di ballare, sin da quando ero al liceo scientifico. Sono originario di Nago, un piccolo comune trentino, e nei dintorni le uniche scuole di danza erano quelle di liscio: pur di muovermi mi iscrissi a una di quelle! La mia prima passione è stata anche il jazz, il balletto televisivo, poi sono andato a Roma, ho incontrato Bob Curtis – Maestro che ha conosciuto anche Antonella – e poi la Maestra che mi ha insegnato che i movimenti devono essere i propri, oltre a quelli che si prendono dagli altri, bisogna sempre filtrarli. Anche un grande ballerino classico fa propri i movimenti. È questo che distingue i grandi dai tecnici, dai meri esecutori. Credo che un artista del corpo a un certo punto senta il desiderio di e-vocare – a questo mi fa pensare la ‘vocazione’ – di essere altro da sé: è la voglia di ballare. Per trasformare in realtà questi desideri ci sono prima di tutto i Maestri: senza modelli non si va da nessuna parte. Bisogna mantenere la freschezza iniziale, l’originalità, la voglia di rischiare, la voglia di esprimersi poeticamente. E questo è molto difficile, perché per la poesia ci vogliono interlocutori altrettanto poetici. Il prete vede Dio in tutto ciò che fa, a me succede di vedere il palcoscenico ovunque! Fa parte dell’essere Artista. Guarda David Bowie! Ha messo in gioco prima di tutto se stesso, sul palco, attraverso l’alienazione. E tutta la sua vita è stata un ribadire questo”.

UN FILM BALLATO (2015)
Con: Michele Abbondanza, Antonella Bertoni
Regia: Felice Cappa 
Produzione: Rai Cultura

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