Diagonali irregolari dentro le regole del gioco spaziale, ma sopra la terra, anzi sullo schermo: Google Maps. Peschi un omino arancione che si chiama Pegman, è nato nel 2007 ed è alto 13 pixel (qui potete visitare il suo profilo, che non si vede perché sta sempre dritto, ma potete leggere la sua biografia). Pegman più che una guida è un vero e proprio salvatore dalla perdizione di Google Maps, un Virgilio che non tiri per la veste, ma per il braccio. 

Lo fai cascare su una strada di un qualsiasi posto nel mondo, tra i leoni o i grattacieli newyorkesi. Dopo averlo strattonato da un emisfero all’altro per il divertimento di girare il mondo su un dito e far girare a lui la testa, ti ricordi che sa darti la street view della tua erboristeria preferita, che non ricordi bene perché hai la memoria fotografica e solo lui può rinfrescartela, anche perché sei una testa calda. 

Il braccio di Pegman, però, gli inizia a cedere, non gli regge più e lo scuba diving da farti fare nell’oceano se lo risparmia volentieri, se lo trascini nel mare non ci va perchè annega.

Google Maps, l’azienda dove lui lavora e che lo schiavizza, ti offre diversi tipi di mappa a seconda dei gusti. Il primo è predefinito con i disegni delle strade colorate secondo la legenda, ma anche la leggenda e le vedrete. Il secondo è satellite, che fotografa il mondo dall’alto così sembra più basso vicino agli altri. Infine il terzo, rilievo, mostra tutta la sua natura in 3D.

Tutti sommati creano una mappa profonda, e sensibile… al tatto.

Esagoni storti sono del predefinito giallo intorno al cuore delle città. Il cuore della città è al centro un po’ a sinistra circondato dall’anello arterioso che, con la circolazione coronarica, sposta sulle strade le piastrine di passeggeri sopra gli autobus appiccicati come carne sulla piastra quando sprigiona il sudore, il grasso che friccica sul fuoco e sul cemento. 

Le linee colorate convergono tutte nel raccordo anulare di Roma, ma non si accordano bene per il traffico preso in giro dai semafori goliardici che si divertono a fare un due tre stella!, dimenticando che le stelle non ci sono perchè non siamo nell’universo, ma sulla terra dove si acchiappano altri fari. I tre moschettieri della strada si scambiano velocemente di posto come al gioco delle tre carte, quando sei al verde e non hai più un centesimo ti ferma anche l’omino che vende i fazzoletti per piangere, mentre il tergicristalli tenta di tergiversare perché non vuole pulirsi il muso, ferma e immobile tranne le lacrime che scendono perché ora scatta di nuovo il rosso, sei furiosa perché avevi chiesto a google maps la strada alternativa senza traffico, ma non ha saputo rispettare la sua parola, la sua voce meccanica. Il cliente ha sempre ragione, certo fa sempre di testa sua, non ne ha altre con cui confrontarsi. S’è fatta notte: occhi abbaglianti sono i fari della Panda e della Jaguar, animali domotici che sanno vedere di notte. 

Se si mettono in fila hanno una lunga coda che quando dà il colpo di frusta tutti giù per terra e all’ospedale saltando la coda, perché alla fine sono buoni e a volte si perdono in uno scatto felino di troppo. 

L’incidente di percorso capita a tutti, il percorso con incidenti mai, se hai google maps che ti fa sviare. Roma, invece, mentre la terra gira sull’asse, si annoia e poiché non può girarsi i pollici, gira sul raccordo anulare, il suo unico dito, che è talmente grosso e ampio che è diventato collo, il collo dell’imbottigliamento. Il cavatappi non è facile da trovare perché il carroattrezzi, l’unico che ce l’ha, è imbottigliato anche lui. 

Infatti a breve soffoca e per di più ubriaco. 

L’anulare ce lo portano le storie (ma anche le mani) degli antichi romani, i quali mettevano la fede nuziale proprio nell’anulare perché si pensava che una vena collegasse direttamente l’anulare al cuore. Da qui è nato, successivamente con successo, il Grande Raccordo, un contratto con l’autostrada tangenziale, per via dei movimenti delle tangenti, motivo per cui Roma si chiama la Capitale con l’articolo femminile, la sua dote in matrimonio, che svia e confonde dal Capitale, al maschile, che trasporta.

Ma chi ha messo l’anello all’anulare della città è la periferia. Si dice l’avesse fatto per interesse, non d’amore, ma del(la) capitale, dato che alla nobile Roma non mancava affatto la ricchezza. Così si è sugellato il suo matrimonio d’interessi che diventa patrimonio quando è tirchio e pensa solo ai possedimenti e meno all’amore della patria, ma poi si è resa conto dello sbaglio grosso per essersi sposata ogni giorno con il traffico. Per fortuna a mettere le toppe al cuore spezzato, la tecnologia ha fatto grandi pass e al posto del bypass c’è il telepass dei veicoli-ventricoli che fungono da pompa di benzina, stavolta verde, per far circolare più velocemente. E poi c’è l’app Waze, più furba e un po’ criminale, che ti indica le strade che deviano i posti di blocco quando sei ubriaco.

Le linee delle strade sulla mappa sono vene che si dipanano nel gomitolo autostradale dell’intera nazione, da sud fino in cima alle montagne dove vive il gatto delle nevi, il quale non trova il gomitolo di strade che non si snodano perché oltre ad essere lui presbite, per cui non riesce a vedere bene le strade da sciogliere sulle mappe, sebbene sia un gatto, i fili di lana che cerca, li hanno usati i cittadini polentoni per cucirsi maglioni pesanti e così ripararsi dal freddo.

I montanari passano le giornate davanti al camino sulla sedia a dondolo a tessere questi meravigliosi maglioni dai colori più disparati senza, però, farsi male per ammazzare il tempo, che tra l’altro non muore mai. Hanno creato talmente tanti maglioni che li appendono su tutti gli Appennini e ora non c’è più spazio per gli altri che si chiamano i terroni, ma la terra non è di tutti? Forse ci sono anche gli abitanti del cielo, i cieloni e quelli del mare, i maroni? Popolazione solo di uomini, un po’ scurrili..

Ora, quella sfilza di tessuti colorati fatta dei fili delle strade colorate di google maps forma un tondeggiante arcobaleno sorto in un battibaleno nel mare, in un battito di ciglia innumerevoli degli abitanti che lo guardano stupefatte.

Questo è il motivo della leggenda (con quante g vogliate) dei colori della mappa di Google maps, un ambiente alquanto LGBTQ (Linee Guida per Bar Tabacchi e quant’altro): il giallo della fede nuziale intorno al cuore delle città si distingue dal blu dei fiumi e dei negozi, dal verde parco, dal viola parcheggio, dall’arancione ristorante, dal turchese dei musei e monumenti, dal rosso, che è il punto in cui ti trovi anche se è nel computer. Ti guardi per vedere se davvero tu sei il puntino rosso e ti accorgi che anche il tuo pigiama è rosso, e di lana. Sei coordinata alle coordinate.

Chiedi indicazioni con il dito e non con la voce, sennò si chiamerebbero vocazioni, non indicazioni: click. Per il percorso a piedi sono 15 minuti e tanti pallini blu, invece se clicchi sulla macchina c’è una linea piena dritta, solo 5 minuti.

Perché chi va a piedi ha una strada di pallini? E’ pollicino che ha seminato le briciole per non perdersi. Conti i pallini e sembrano più di 15, il tuo pollice si è perso, l’anulare sta sempre lì.

Con i mezzi invece la strada non (si) conta, è una linea dritta colorata interamente, senza pallini e, quando c’è traffico, diventa rossa di rabbia.  

Quello che conta alla fine è il mezzo che giustifica il fine e il fine può tornare a casa, preso dai genitori a scuola, in macchina, perché non c’erano mezzi. Guarda gli altri che aspettano l’autobus ancora fermo al capolinea, linea e a capo, fine. 

Questa è una breve leggenda inventata, a cui mi ha fatto pensare google maps, un insieme di colori, la segnaletica delle nostre esperienze sensoriali e visive che si incrociano. La scoperta e il viaggio diventano operazioni estremamente banali, a un tocco di polpastrello. Si dimentica la magia, l’imprevisto, la stanchezza o il nervosismo del disorientamento. La mappa cartacea, che una volta era spiegazzata nei sedili posteriori dell’Alfa Romeo, lasciava al suo giallino vintage sbiadito dal tempo, con le rughe della matita che cerchiava le città da raggiungere, il piacere dell’ignoto, quando ancora si abbassava il finestrino per chiedere ai passanti indicazioni.

Da quanto tempo non sfidi
il tuo senso dell’orientamento? 

Da quando puoi entrare dentro la mappa di un tesoro ben più esteso.
Che sia un tesoro dipende dai punti di vista, ma tanto ormai ci siamo dentro fino al collo, anche senza accorgercene. 

Google maps, non solo è in grado di farti vedere un’istantanea del mondo, ma è in grado di registrare anche la tua Timeline, proprio così, la linea del tempo che non si intravede più leggendo la mano. Nel caso tu voglia abilitarla, questa funzione è in grado di indicarti i paesi, le città, le attrazioni che hai visitato e di cui neanche ricordavi l’esistenza, le foto che hai fatto, addirittura ti dice quanto hai camminato e quanto ci hai messo. Memorizza tutto nella tua location history, un bagaglio culturale da viaggio che, tenetelo forte, riesce a risalire addirittura alla data e al nome del film che sei andata/o a vedere al cinema anni fa. Come fa? 

In base ad un calcolo tempistico che incrocia la programmazione del cinema nel luogo in cui eri, e la durata della tua permanenza lì dentro, ecco il titolo del film!

Folle, assurdo, ma non più surreale, Google maps racconta la storia, non solo delle strade e della terra su cui cammini, ma letteralmente della tua esistenza.

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