C’è un’aria rancorosa in giro verso chi ha la colpa di aver successo (tipo i Måneskin), e adesso tocca a Zerocalcare con il suo Strappare lungo i bordi su Netflix, primo grande progetto animato dopo Rebibbia Quarantine, la miniserie sul lockdown per Propaganda Live.

 Ecco una semplice lista di critiche che si sentono:

  • Fa tanto quello di sinistra e si è venduto a Netflix (postulato: gli artisti di sinistra devono morire di fame/Netflix fa soldi quindi è agente del Male insieme a Facebook Amazon e BigPharma)
  • Abbasta co Zerocalcare non se capisce fuori da Rebbibbia anzi fori dar raccordo anulare. Critica misteriosamente molto di moda fra i romani. Ci siamo guardati tutti con entusiasmo una serie in coreano coi sottotitoli, eh. In fondo a questo pezzo vi metto qualche citazione da siti anglosassoni a cui Strappare lungo i bordi è piaciuta. Insomma: se parlare romanesco vi pare un modo di essere snob al contrario, soprattutto se l’autore è uno che ha fatto il liceo francese Chateubriand a Roma (non smetteranno mai di rinfacciarglielo), suggerisco di guardare la serie con il doppiaggio inglese o francese, molto ben fatti (così sarete ancora più snob: e sì, funziona a meraviglia).

(Ma sul serio gli italiani non capiscono “s’nnamo a pijà er gelato?”)

(Michele Rech, penso lo sappiano tutti, ha fatto il liceo francese perché sua madre è francese, e parla francese comme un vrai)

  • Abbasta fissarsi l’ombellico Calcare. L’amica Sara glielo ripete più volte lungo la storia: “non sei al centro del mondo, non se l’unico filo d’erba”. Lui pare avere grossi problemi a capirlo, per carattere suo e forse perché come ogni artista è fondamentalmente egocentrico (che non vuol dire egoista). Ma il suo ombelico è anche il nostro, perché come ogni artista trascende i suoi guai che diventano quelli di tutti.
  • Abbasta co ste crisi adolescenziali a Calcà, ciai 37 anni eddaje. Questa critica, confesso, è l’unica che potrei condividere. Ma sono più vecchia di lui e comincio a pensare che nessuno esca mai del tutto dall’adolescenza.

Dunque Michele Rech – che sostiene di aver capito che il suo vero mestiere è fare il fumettista solo all’epoca di Kobane calling, quando già da un po’ si manteneva disegnando – rivela molto di sé e tutte le sue insicurezze, i suoi pensieri ossessivi e distruttivi (che diventano quelli di una generazione o forse di un mondo). Come in tutte le sue strip: ma una delle cose che più mi hanno colpito di Strappare lungo i bordi è che sembra episodica – una serie di sketch – e che invece si dimostra meravigliosamente coerente: si rivela alla fine in tutta la sua pienezza, e si può andare avanti e indietro a ritrovare i fili.

Tanto che alla fine ci si chiede come si potrà tornare a guardare le semplici strisce; in forma animata Zerocalcare funziona così bene. Molto è stato scritto del team che ha aiutato Rech ad animare i disegni; bravissimi professionisti certo (Movimenti Production e BAO Publishing, oltre duecento persone), ma c’è anche la creatività sfrenata dell’autore – accreditato di sceneggiatura e regia. Si può andare avanti e indietro e mettere in pausa lo schermo a cogliere con minuzia i dettagli dei disegni (come la meravigliosa schermata home di Netflix riveduta e corretta con i titoli delle serie secondo Zerocalcare).

E sì, come sempre, si ride; tanto, per la capacità di vedere gli aspetti surreali della realtà; per lo spirito sardonico; per l’autoironia, esplosiva nell’armadillo-coscienza con la voce di Valerio Mastandrea, il geniale super-io, unico doppiatore perché tutte le altre voci le fa lo stesso Michele Rech, in una soggettiva perpetua. (A proposito, il vostro super-io che aspetto ha? Il mio è una gatta sprezzante; poco originale, ma tant’è).

Si ride anche amaro

Ed è possibile che certi riferimenti culturali non siano comprensibili all’estero, sì (beh, anche Squid Game è pieno di riferimenti coreani a noi incomprensibili) mentre il grosso è universale. Come l’educazione sentimentale secondo Rebibbia, icasticamente riassunta in uno slogan sul muro che schiaccia il piccolo Calcare con la mascolinità tossica: “amare le femmine è da froci” (due piccioni con una fava) – ma aggiungiamo anche le citazioni politiche, letterarie e televisive da Mao a Una mamma per amica.

Ci si commuove anche (no, niente spoiler). Il successo della serie però è altrove. Al di là della storia, della sapienza tenica, al di là della tensione fra dramma adolescenziale e aspra realtà dell’essere adulti, qui c’è anche il ritratto di una generazione di italiani slabbrati, i nati dal 1975 al 1985 diciamo, che infatti ci si ritrovano in massa e inneggiano sui social. Pareva che bastasse strappare lungo i bordi dove prescritto e tutto sarebbe andato come doveva, dice Calcare. E invece cor cavolo.

Una disillusione, vi assicuro, in cui si ritrovano anche i più anziani (anche per noi nati negli anni Sessanta trovare lavoro e una direzione nella vita pareva un miraggio), e ancor più i ragazzi sempre spaesati. Incertezza, difficoltà di avviare una vita, lavori e lavoracci, dal poker online con cui si mantiene l’amico Secco, alle lauree accumulate dall’amica che voleva fare l’insegnante e fa la segretaria. Un’Italia senza offerte chiare, senza punti di riferimento, l’Italia che parla di meritocrazia come se fosse una cosa seria, e prende a ceffoni chi ci crede.

Cosa differenzia Zero dagli amici? Solo un po’ di fortuna, sembra pensare lui stesso; e il talento, che è una dote naturale, dunque non un merito. È così stretta la via fra successo e anonimato.

Ma non è vero. Ci vuole anche la fatica, le migliaia di ore passate a disegnare e ridisegnare, e il coraggio di saltare nel vuoto dal divano su cui Zero si asserraglia contro le battaglie della vita.

Per finire, ecco un po’ di recensioni tradotte dall’inglese, enjoy!

Da Thereviewgeek

Tear Along the Dotted Line è un’opera divertente e scritta con intelligenza che guarda al mondo con gli occhi di un uomo che combatte con la depressione, l’ansia sociale e la ricerca del suo posto nella vita. Basato sui fumetti di Zerocalcare best seller in Italia, i sei episodi sono brevi, ficcanti e ironicamente sul pezzo…. Nessuno spoiler ma l’ultimo capitolo si collega abilmente al primo, offrendo una prospettiva diversa sugli eventi che abbiamo visto svolgersi.

Da IndieWire (Steve Green)

Questo adattamento dei romanzi grafici di Zerocalcare su un fumettista ansioso è incredibilmente pieno di energia. Riesce a infilare nei suoi primi 15 minuti più di qualunque altra storia animata. E’ uno degli esempi più chiari di come può funzionare un filo diretto con il cervello di un autore. I sei episodi sono tutti narrati da Zero, illustratore pieno di ansie praticamente su tutto. Trovare un lavoro, mantenere le sue amicizie, dare impressioni sbagliate, ossessionarsi sui ricordi d’infanzia, trovare un senso alla vita. Non aiuta che queste ansie si manifestino sotto forma di un armadillo gigante… Non c’è dettaglio troppo piccolo perché non rilasci una cascata di ipotesi… Man mano che il ritmo frenetico dell’inizio diventa più cupo, emerge un’idea più ampia di quello che tiene insieme la narrativa.

Da Decider

Guardarlo o saltarlo…? Questa è la storia leggera, a volte surreale e spesso divertente di un tizio che vive con tanta attenzione da essere in stagnazione da quando è adolescente. Nonostante la barriera linguistica e un po’ di affollamento nell’animazione, ci siamo trovati a ridere molto. Vale la pena di sorbirsi tutti e sei gli episodi per arrivare alla conclusione che tiene insieme tutto? Noi pensiamo di sì – soprattutto per i molti momenti divertenti.

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