Ogni persona ha una storia da raccontare, e devi accogliere la sua storia senza sovrapporti ad essa, senza pregiudizio, senza griglie mentali o culturali o emotive: è questa la filosofia di Narrative 4, co-fondata dieci anni fa dal grande scrittore Colum McCann, basata sull’ascolto altrui e lo sviluppo dell’empatia: e il suo ultimo libro, Una madre, è la esemplificazione del metodo.

James Foley e “Jihadi John”, foto del momento dell’esecuzione diffusa dall’ISIS nel web

Un cadavere a testa in giù con la testa mozzata sulla schiena

La madre è quella di James Wright Foley, giornalista freelance rapito dall’ISIS nel 2012 in Siria, mentre seguiva la guerra civile in corso, e decapitato dopo quasi due anni di prigionia e torture, fisiche e mentali. La sua esecuzione fu filmata e diffusa su internet: il video iniziava con Foley che leggeva le parole dei suoi carcerieri, continuava con l’immagine del coltello puntato sulla sua gola, terminava con il suo cadavere a pancia un giù con la testa mozzata posata sulla schiena. Fu il primo statunitense giustiziato dall’ISIS. Il suo boia era detto “Jihadi John“, perché era nato in Kuwait ma cresciuto a Londra: di fatto un britannico.

L’autore si sente chiamato in causa da una fotografia che lo riguarda

L’incontro di Colum McCann con la storia di Foley comincia quando, due giorni dopo la diffusione di quel video, vede una foto di Foley risalente a qualche anno prima, in cui lui, accovacciato in terra col giubbotto antiproiettile, in un bunker forse in Afghanistan, è immerso nella lettura di uno dei suoi romanzi più conosciuti, Let the great world spin (in Italia il titolo è Questo bacio vada al mondo intero). Si sente in qualche modo chiamato in causa e contatta la madre, dicendosi disposto ad aiutarla a scrivere la sua storia.

L’autore, che è un grande autore, dalla scrittura a volte anche sperimentale, in questo libro non cede mai alla tentazione di fare suo Foley. Nè Foley né la madre. Non consente che la storia sia filtrata dai suoi occhi, o cuore, o mente, cultura. Accoglie e rispetta il punto di vista di chi la racconta. Per riuscire così a incarnare con ruvida interezza lo svolgimento di quella vita e il formarsi di quei sentimenti.

Un metodo per incarnare con ruvida interezza lo svolgimento di quelle vite

Perciò la figura di Foley, raccontata in prima persona dalla madre, rimane quella vista da lei. Così come, della madre, viene riconsegnata al lettore la persona che lei sente di essere. Della stessa esplorazione della figura di uno dei jihadisti coinvolti, detenuto anni dopo in USA, è riportata solo la faticosa ricerca condotta dalla madre, nonostante McCann sia stato presente, accanto a lei, durante i colloqui che i due hanno avuto nel corso di un procedimento voluto dalla famiglia per evitargli la pena di morte.

Anche grazie a questo metodo, a questa filosofia dell’ “accogliere e rispettare”, dalle pagine di “Una madre” prende vita una moltitudine di sé, con attitudini e sentimenti anche contraddittori: alla fine, la sostanza umana di cui siamo fatti tutti e che rimane il più delle volte a noi stessi impenetrabile.

Da parte dello scrittore, un grande atto di umiltà e di rispetto verso questa madre, di totale empatia e adesione ai suoi sentimenti e ai suoi circuiti mentali. 

È il metodo di Narrative 4, in cui si ascolta e si accoglie la storia dell’altro, e la si fa propria. Ed è esattamente il contrario dell’operazione che fa nei suoi – altrettanto bellissimi libri – Emmanuel Carrère, dove qualsiasi storia viene sempre raccontata a partire dalla vita e dalle sensazioni dell’autore.

Colum McCann (courtesy by Colum McCann)

Questo libro è una pagina di storia

Una madre è una storia di rabbia e di dolore, di fede religiosa e di politica. Di sentimenti intimi ma anche di riflessioni sul giornalismo freelance oggi. È una pagina di storia. E di quello che si può fare per cambiarne quando possibile il corso. La madre di Foley è infatti ora l’anima instancabile di una fondazione a nome del figlio, creata per supportare le famiglie degli ostaggi americani in tutto il mondo e cambiare la rigida politica statunitense che si oppone a qualsiasi negoziazione per il loro rilascio. “Advocating for hostages, promoting journalist safety, inspiring moral courage” (Sosteniamo gli ostaggi, promuoviamo la sicurezza dei giornalisti, ispiriamo coraggio morale) è il motto a cui si ispira il loro attivismo.

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