A cinque giorni dalla prima notizia del rave illegale sulle rive del lago di Mezzano dobbiamo fare chiarezza nel diluvio informativo che ne è derivato. La prima cosa da fare è chiamare la Questura, ed è proprio al capo della Digos, il dottor Carlo Maria Basile, che pongo le mie domande. Poi vado al rave party per incontrare i ragazzi e sentire la loro versione dei fatti. Ma andiamo per ordine.

4 domande al capo della Digos

E’ vero che i morti sono due?
No, al momento non abbiamo alcuna conferma del secondo decesso. Stiamo cercando ovunque, ma non c’è traccia di alcun corpo. Questa è una notizia che è stata pubblicata da un giornale locale (Tusciaweb) e che sarebbe stata prelevata da un post pubblicato tra persone dell’ambiente tekno. Ma al momento è solo una voce non verificata.

E oltre al ragazzo morto nelle acque del lago quali altre situazioni critiche avete riscontrato?
Ci risultano solo due persone in coma etilico, ma che non sono in pericolo di vita. Anche la notizia di un giovane positivo al Covid non è confermata da alcuna evidenza.

Qual è la situazione al momento all’interno dell’area occupata dai ravers?
Non entra più nessuno, e alcuni partecipanti stanno cominciando ad allontanarsi spontaneamente.

Perché non si è pensato di intervenire in modo più deciso già nei giorni scorsi?
Al momento non posso rispondere a questa domanda prima che il questore faccia una sua dichiarazione ufficiale, che senz’altro farà prossimamente.

Gli chiedo di entrare nell’area perché voglio fare delle interviste e mi faccio procurare un permesso d’accesso. Si raccomanda solo di tornare prima dell’oscurità. In meno di mezz’ora sono al posto di blocco, e scambio qualche battuta con un funzionario della Digos che deve scortarmi all’interno. Però mi suggerisce di aspettare un po’, perché, dice, c’è tensione.
“Che tipo di tensione?” – chiedo – “Gli organizzatori stanno girando come matti con i quad, sono molto infastiditi”. “Infastiditi da cosa?” – lo incalzo – “Da voi giornalisti, da noi che vi accompagniamo…”. “Hanno addirittura questa arroganza? Si innervosiscono se noi entriamo a disturbare?” chiedo con tono stupito. Il funzionario capisce forse di avere già detto troppo, e risponde in modo evasivo, dicendomi che bisogna muoversi con cautela per non esacerbare gli animi. Nell’attesa mi fermo a parlare con una coppia di italiani: lei in gonna maculata e anfibi altissimi, lui capelli a cresta verdi e dilatatori alle orecchie. Non vogliono essere ripresi, posso solo registrarli. Vengono dalla Puglia, dicono che questo evento era nell’aria già da tre anni, poi è stato sospeso per la pandemia. Lui mi dice di essere un ambientalista, ma quando gli dico che il loro arrivo ha devastato un’area naturalistica protetta molto fragile si mostra sorpreso, come se non se ne fosse accorto. E per giustificarsi mi dice che le coordinate del raduno sono state inviate solo alla mezzanotte del 13 agosto, proprio per evitare che l’informazione arrivasse in mani sbagliate. Quindi non sapevano nulla del luogo del raduno. Intanto il funzionario mi dice che possiamo muoverci.

I due ragazzi pugliesi intervistati, qui al controllo documenti

Le ragioni dei giovani

Percorriamo la sterrata che porta al lago di Mezzano per circa un paio di chilometri, e raggiungiamo l’azienda agricola situata sul versante nord del lago. Qui il funzionario mi lascia, dicendo che se voglio entrare nell’area del rave devo farlo da sola, ma me lo sconsiglia. Io mi incammino verso un’auto dove ci sono quattro ragazzi, sono giovanissimi. Mi dicono che stanno per lasciare il rave, tra loro c’è una minorenne, mi dice di avere 17 anni.
Da dove venite?
“Da Livorno”.
Quanti giorni vi siete fermati qui?
“Tre giorni, siamo arrivati lunedì”.
Avete saputo della morte di quel ragazzo inglese?
“Si, l’abbiamo saputo subito, la notizia si è diffusa nei social, ma più che altro.. è colpa di questo lago, è conosciuto per essere molto pericoloso. Anche l’anno scorso qui sono morte cinque persone (ndr: scopro poi che questa fake news ha cominciato a circolare in queste ore per scaricare le responsabilità degli organizzatori). Non possono colpevolizzare gli organizzatori di questa morte, siamo noi partecipanti che poi dobbiamo anche sapere gestirci”.
Quanto tempo fa avete avuto notizia di questo evento?
“Circa un mese fa”.
Che nazionalità avete incontrato al rave?
“Belgi, francesi, spagnoli, cechi, tedeschi…”.
E’ un contesto pericoloso?
“E’ semplicemente come un festival legale, è senza permessi ma poi dentro funziona tutto come un festival regolare”.
Qui però circola tanta droga…
“Ma lei cosa pensa che negli altri eventi, legali, la droga non circola? E’ inutile negarlo. Ovviamente noi siamo visti in una certa maniera, con i tatuaggi, con i piercing veniamo subito visti come dei tossici”.
Voi però avete invaso un’area protetta, creando danni inevitabili alla fauna, la vostra generazione è in genere molto sensibile a questi temi ambientali, come vi ponete di fronte al danno che avete provocato?
“Lei ha completamente ragione, ma d’altra parte trovare un posto dove radunare così tante persone non credo sia facile. Non è stata una bella idea, ma il nostro tipo di musica elettronica, tekno, hard core, è bandita in ogni posto, non ce la fanno fare nei locali. Un locale che ti dà il permesso per fare la tekno in Italia non esiste. Siamo sempre più repressi. E allora dobbiamo trovare alternative”.

Proseguo in direzione della musica, che risuona sempre più forte e dura, sicuramente non meno di 200 BPM. Il contrasto tra l’immagine del fienile pieno di balloni dorati appena raccolti e il ritmo sfrenato del sound è distopica. Incontro un gruppo di ragazze e ragazzi francesi, neanche loro vogliono essere ripresi, ma hanno voglia di parlare. Mi dicono che la decisione di organizzare questo rave in Italia è scaturita dopo le violente repressioni fatte in Francia nel giugno scorso. Si riferiscono al rave party di Redon, in Bretagna, un evento che si è svolto il 19 giugno di quest’anno, dove l’impianto acustico è stato distrutto dalle forze dell’ordine e i partecipanti sono stati caricati dalla polizia con lacrimogeni e granate provocando numerosi feriti, tra cui un ragazzo che ha perso la mano con una granata. E’ tutto vero, perché subito dopo verifico i fatti (qui la notizia).

Sento la rabbia nelle loro voci. Aggiungono che quel rave party in Bretagna era stato organizzato per ricordare Steve Maia Caniço, un ragazzo “ucciso dalle forze dell’ordine” durante la Fête de la Musique. Ad un mio successivo controllo scopro che effettivamente il giovane Steve, di 22 anni, muore cadendo nella Loira, dove pare che la polizia abbia scaraventato altri 14 giovani durante la carica. Un affare giudiziario complesso, basato su tre indagini differenti ancora in corso.
Chiedo loro se pensano che sia questo il motivo per cui gli organizzatori francesi hanno preferito spostarsi in Italia. In effetti mi confermano che da loro in Francia è diventato ormai sempre più difficile organizzare dei rave party, che non si può più ballare la musica tekno, e che si sentono repressi e criminalizzati. Poi mi salutano dicendo che pensano di partire stasera stessa, al più tardi domani, perché hanno saputo che gli organizzatori si sono accordati con le forze dell’ordine per cessare anticipatamente la festa.

Continuo ad inoltrarmi verso i camper ed i camion da dove arriva sempre più forte la musica. Provo a fermare un ragazzo con la barba bionda e un berretto in testa. Mi dice che è arrivato dal Belgio in autostop, ma che non si ricorda nemmeno quando è arrivato e da quanti giorni si trova qui. Incontro un ragazzo spagnolo, dice di chiamarsi Jorge, fa fatica a parlare, sembra che la lingua gli si arrotoli in bocca. E’ evidente il suo stato alterato. Provo a chiedergli se ha assunto stupefacenti. Mi risponde, senza problemi, che ha assunto ketamina, ma che in giro c’è anche tanta MDMA, volgarmente chiamata Ecstasy. Mi dice che andrà via stasera, forse domani, ma ho la sensazione che nello stato in cui si trova non arriverà neanche al suo sacco a pelo.

Poi incontro Ruggero, bello, a dorso nudo, con lunghi capelli mossi che gli cadono sulle spalle. E’ di Reggio Emilia, la stessa località di provenienza del giovane morto annegato nel lago, ma lui dice di non conoscerlo. E mi parla di gente che si è persa, che si è dissociata da se stessa, che si è smarrita e che lui è venuto a salvare. E’ evidente che anche lui è in uno stato confusionale, ma sorride, è gentile, ha un fare quasi seducente. Mi invita a spegnere la telecamera per parlarmi in privato. E mi confessa che la sua ragazza si è persa dietro alla tekno, e che lui è venuto qui con lei per portarla su un livello più alto, un livello di ecstatic dance.

Intanto sta calando il tramonto sul lago di Mezzano, sulle vacche, sulle pecore, e sui giovani che dondolano come storditi dai frenetici bpm sparati da potentissime casse. Ogni tanto passa un pick up con una cisterna piena d’acqua, per dissetare quei corpi disidratati. Qualche cane pastore ulula alla luna, non capisce più da quale pericolo deve difendere la sua mandria. Decido di andare via, riprendo la macchina e mi dirigo di nuovo verso il posto di blocco. Qui nel frattempo sono arrivati una decina di blindati della polizia. Ne chiedo il motivo. Glissano, dicono che non lo sanno neanche loro, che eseguono gli ordini. Forse si aspettano una nottata di grosso deflusso, e dovranno controllare le identità di tutti. C’è un’aria di paziente attesa, con l’augurio che tutto si concluda presto.

La strategia dura della Francia
e quella morbida dell’Italia

La domanda che nasce spontanea è se davvero gli organizzatori hanno deciso di spostarsi in Italia perché la Francia ha scelto di usare il pugno duro contro questo tipo di aggregazioni illegali: di recente infatti i teknival in Francia vengono interrotti con la forza, causando anche morti e feriti, oppure interdetti dalla prefettura prima di iniziare, come è successo il 15 agosto scorso nel dipartimento di Eur-et-Loire, come ha deciso la prefettura di Calvados in Normandia, dove è stato imposto un divieto fino al 31 agosto prossimo e come è accaduto nel dipartimento bretone di Finistère lo scorso luglio.

Al contrario l’Italia dimostra di scegliere la strada della prudenza, che però è già costata la vita ad un giovane di 24 anni. In effetti il metodo francese ha dimostrato di essere molto pericoloso, perché i giovani non si arrendono facilmente, e replicano agli attacchi della polizia con lanci di pietre, pezzi di cemento e bombe molotov. Ma anche la linea morbida ha dimostrato di favorire esiti drammatici, come in questo caso nostrano, con un morto e alcuni ragazzi in coma etilico. Il tempo darà ragione all’uno o all’altro paese, all’una o all’altra strategia. In entrambe le scelte però il prezzo da pagare durante questi rave party illegali sembra essere sempre quello di giovani vite umane.

I video del reportage

L’arrivo al rave e le interviste
La notte al rave
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