La velaterapia ci insegna ad ascoltare i venti come i nostri bisogni
Andare in barca è diventata una vera e propria cura, che si chiama velaterapia. Insegna a fidarsi dell'altro e a muoversi in uno spazio stretto. Ecco un progetto e un libro.
Andare in barca è diventata una vera e propria cura, che si chiama velaterapia. Insegna a fidarsi dell'altro e a muoversi in uno spazio stretto. Ecco un progetto e un libro.
Avete presente, se avete presente, quando siete in barca, il sole scotta ma non la randa, il vento fortissimo cerca di strappare i capelli che ballano in testa come i tubi ad aria gonfiabile, ma allo stesso tempo vi tiene in piedi con le braccia, appoggiate all’aria, percependo meno gravità delle cose, nonostante lo sgambetto delle onde sul timone, da girare sensibile come una cassaforte.
E’ il momento perfetto per fare un respiro profondo, devi virare perché c’è uno scoglio.
Ecco, una sensazione che funge un po’ da metafora di impotenza nella vita, ma si sa che per risolvere i problemi bisogna affrontare le cose di petto: vento e mare. Due forze che ti mettono a fare leva, l’anagramma di vela, con cui c’è poco da fare se ti vanno contro e non li sai dominare.
E’ così che è nata la velaterapia, da un esperimento svedese. Pochi la conoscono anche perché la barca a vela è un mezzo a cui non tutti possono accedere, per coste e costi troppo lontani, per mal di mare o per paura o per la paura del mal di mare.
Non è un mezzo di trasporto, il suo potere è nel fine di questo mezzo, sciogliere tutti i nodi psicologici turbati imparando a chiudere quelli dei parabordi con il nodo parlato un po’ sfogato, non prendere i problemi sottovento perché sennò poi ci si ferma in alto mare.
Gli orari sono imprevedibili, non c’è traffico e non c’è programma. La vela, aprendosi, spiega la pazienza, insegna come far passare la mareggiata, l’equilibrio del dominio dell’essere umano sulla natura che rispetta l’ambiente fin quando non accende il motore, nel silenzio della solitudine e nell’ascolto dei venti da quando impari a sentirli in faccia e non da windfinder.
Insomma, conta la bussola, non la meta di un mondo abituato a concepire l’importanza solo del mezzo senza trasporto. Da vacanza per ricchi, con la velaterapia la barca diventa una cura medica.
A Fiumicino da maggio è partito il progetto velaterapia con lo scopo riabilitativo per persone con disagi psicologici, per imparare a gestire le prese a mare (i tubi che fanno scorrere acqua nel bagno e nella cucina) che si aprono e si chiudono all’occorrenza, per saper prendere le prese a male della vita che arrivano come raffiche emotive di traverso.
Se ti senti giù e sola, basta tuffarsi che il mare è pieno di pesci, una buona motivazione per toccare il fondo e vedere a quanti metri sta messa l’ancora di salvezza.
Risiede nell’essere parte di un equipaggio, di una catena di montaggio, di cime intrecciate in letture del romantico carteggio, nella poesia dei punti cardinali di una cala che ti ripara dal freddo, di infiniti cazzo! urlati al fiocco che tira sempre di più.
Il rischio della convivenza 24h su 24h con la ciurma è educativo perché se sale la nausea, capisci che non è mal di mare, è la strana noia dell’esistenzialismo dove le sartie reggono l’albero della barca, il castagno di Sartre che prende tante forme, in cui “Le parole erano scomparse, e con esse, il significato delle cose, i modi del loro uso, i tenui segni di riconoscimento che gli uomini hanno tracciato sulla loro superficie”, ( La Nausea, Sartre).
Una strana apatia mista alla sonnolenza per via delle onde che ti cullano nella pancia della barca come un feto nel liquido amniotico.
E’ una noia pacifica e nutriente, generazionalmente inconcepibile, trovarsi con le mani in mano, il viaggio è lungo, la barca è lenta e il pilota automatico non ci vede tanto bene da controllare tutti gli imprevisti ed eventuali bastoni tra gli scafi.
Serve andare in mezzo all’acqua, per recuperare il rapporto con se stessi e la naturalezza di vedere come si comportano gli altri con il disimpegno, con lo strano disagio di guardarsi intorno, di stare attenti o semplicemente insieme in cerchio al pozzetto sfidando la capacità comune di ristagnare nell’assenza di intrattenimento per come lo intendiamo noi, come una vecchia categoria di Sky.
Metti alla prova la tua cultura, apri le parole crociate, il cosiddetto passatempo, “L’ama Jack in Titanic”, Rose ci entra! E c’entrava anche in quel maledetto pezzo di legno, ti proietti in scenari di una simile fine assurda, sorridi, tu sei vicina alla costa, è impossibile, ma lo era anche la Concordia del Giglio eppure è stata una tragedia, allora ritiri le labbra a mezzaluna, perché pensare male ora?
La vela è un lavoro di squadra, come le parole crociate.
Ecco, solo un segnale radio che ti dice che non esiste un porto sicuro, perché sono tutti pieni ad agosto e dormire in rada è la soluzione migliore, impara a risparmiare cibo, acqua ed elettricità.
Quanto abbiamo sempre più bisogno di terapie che ci mettono in contatto con la natura? E quanta natura per metterci in contatto con le persone?
Scendi, ti gira la testa e vai a comprare le gomme per il mal di terra, non avevi pensato a questo imprevisto.
Per scoprire di più sulla velaterapia, consiglio il libro Psicoterapeuta in mare. La sfida della velaterapia, di Antonio Lo Iacono, che presenta una ricerca scientifica sugli effetti psicologici dell’andare in barca a vela.