Il Teatro della Tosse di Genova, all’interno di una significativa rivisitazione della sua stagione, presenta in streaming, sabato 20 marzo alle ore 21, ART, commedia crudele e divertente sull’amicizia, tradotta in oltre trenta lingue. Ne parliamo con il regista Emanuele Conte.

Come procede la riorganizzazione delle iniziative online e che tipo di pubblico conquista?
Il risultato è stato buono, sia dal punto di vista numerico sia nei riscontri che abbiamo avuto dagli spettatori, confermando l’impressione che avevamo avuto nei pochi mesi in cui abbiamo potuto tenere aperte le sale. Il bisogno di teatro ci è stato testimoniato con forza dagli oltre 200 spettatori che ogni sera hanno seguito lo spettacolo all’aperto, che abbiamo portato in scena per tre settimane a luglio e dal tutto esaurito nelle due settimane di programmazione. Abbiamo appreso della nuova chiusura dei teatri il 30 ottobre, mentre eravamo in scena con l’ultima replica di ART, è stato un momento di grande commozione. A fine spettacolo sono salito in scena insieme con gli attori per un accorato arrivederci al pubblico, poi siamo scappati nei camerini, ma l’applauso in sala continuava. Abbiamo sentito che, al di là di tutto, questo rapporto con il nostro pubblico doveva essere coltivato. Per questo, dopo un primo momento di disorientamento, a fine novembre, abbiamo iniziato a lavorare su un programma di teatro digitale che da gennaio del 2021 ha preso il nome di ONLIFE.  Distinguerei in ogni caso tra l’utilizzo del digitale come mezzo di produzione artistica e lo strumento digitale come opportunità di relazione a distanza. Ci siamo avvicinati al mezzo digitale con prudenza, quasi con diffidenza. Non abbiamo mai creduto alla mera riproduzione online degli spettacoli da palcoscenico. Siamo più interessati a nuovi terreni performativi che possono nascere in funzione e grazie a questo canale.  

 Il lavoro ART sembra acquisire una valenza ancor più metaforica in un momento come questo, ce ne descrive scelte e toni?
Il periodo delle prove è stato spezzato in due parti dall’esplosione della pandemia, che ci ha stimolato a riflettere sul tema della ‘distanza’. Mentre nel primo periodo dell’allestimento di Art abbiamo lavorato su una recitazione di tipo naturalistico, nel secondo abbiamo costruito uno spettacolo in cui ogni naturalismo, ogni azione realistica sono stati annullati. Il palcoscenico non era più, di volta in volta, la casa di uno dei tre protagonisti, ma un campo neutro che accoglieva le loro riflessioni, gli scontri, le rappacificazioni. Neutro come la tela bianca del quadro che fa da innesco alle tensioni che alimentano questo straordinario testo di Yasmina Reza. Anche il quadro è scomparso nella nostra messa in scena, è diventato un convitato di pietra, che solo i personaggi possono vedere, valutare, criticare, noi spettatori lo possiamo solo immaginare e spiare dal buco della serratura. Gli attori in scena vengono guidati nello spazio da un disegno luci geometrico, che crea spazi di azione individuali, obbligandoli sempre a mantenere fra loro una distanza di almeno un metro, privilegiando una recitazione frontale che mette gli attori in relazione diretta con il pubblico. Lo spettacolo acquisisce una dimensione quasi cinematografica, che lascia affiorare le riflessioni di Marc, Serge e Ivan come in una serie di primi piani e piani americani. La distanza fisica, quindi, diventa metafora di una distanza psicologica, di quel rischio di incomunicabilità che ogni rapporto umano porta in dote.

Nel comunicato stampa descrivete la collaborazione di una curatrice d’arte a sottolineare il parallelismo della ambiguità tra arte moderna e relazioni di amicizia… approfondisca per noi questo aspetto.
Art è una commedia feroce che indaga la complessità delle relazioni (tra amici in questo caso, la loro fragilità, ambiguità). Ma indaga anche, o quanto meno suggerisce di indagare, ferocemente ed ironicamente, il mondo dell’arte contemporanea, mondo altrettanto complesso, fragile, discusso e sfuggente, come i suoi simboli e i suoi equilibri. Tutto comincia da un quadro bianco che potremo definire la tela bianca degli equivoci. Tela bianca di equivoci è il rapporto tra i tre amici, tela bianca degli equivoci è il quadro stesso, oggetto del primo apparente contendere tra loro per quello che rappresenta o potrebbe rappresentare, per il suo valore. I due scenari si incrociano continuamente.   

Offrire gratuitamente iniziative in video sta fidelizzando fasce nuove di attenzione? Come immagina la ripresa del teatro
Innanzi tutto devo dire che non tutte le nostre iniziative sono state proposte gratuitamente. Siamo riusciti ad organizzare alcuni concerti in streaming a pagamento che hanno avuto un riscontro inaspettato. Gli spettacoli che proponiamo in streaming sono sempre riadattamenti o reinterpretazioni realizzati per la messa on line, cercando di creare sempre, alla fine della performance, un spazio di riflessione e comunicazione con il pubblico. La ripartenza sarà possibile quando avremo vinto anche la paura, sarà l’occasione per ricostruire il rapporto, ripensare sia gli spettacoli che la comunicazione del nostro lavoro, riportare al centro del discorso pubblico l’arte e la bellezza, la critica sociale, magari approfittando del momento per liberare il nostro settore da qualche moda e qualche vezzo che forse hanno allontanato il pubblico vero dalle sale in favore di un pubblico di ‘addetti ai lavori’.  

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