Sono accanto a Piazza Duomo di Milano, oggi è una giornata di sole, che odora di pulito e di candeggina, cammino ascoltando Wagner in cuffia e guardando la mezza costola del Duomo. Siamo al 10/10/20.  

Che bello sarebbe, penso, se da questi finestroni che vedo, quelli di Palazzo Reale, si affacciassero degli uomini e delle donne di un’altra epoca, vestiti con abiti antichi parlando un italiano arcaico, forse una lingua che manco è italiano; oggi è il giorno ideale per una esoterica sommatoria: giorno 10, del mese numero 10, la cui somma corrisponde proprio al numero dell’anno in corso, quindi 10 più 10 uguale 20.

Io posso tutto ciò che la mia fantasia mi permette, mi dico, ed ecco: inspirando chiudo gli occhi bagnato dal sole di oggi ed espirando li riapro, asciutto e sereno nel tempo in cui quest’aria è quella di una bella giornata autunnale, fatta di carrozze e di odore di cavalli, forse siamo al 20/10/10. Millenovecentodieci, intendo. Questa via popolata da lunghissime gonne colorate e cappelli a forma di fagiani, pantaloni tenuti da ossa a forma di bottoni e scarpe ingrassate da olio vecchio, è la strada che porta al Duomo di Milano.

Le donne e gli uomini che incontro mi sorridono e mi salutano con un’abbassata di occhi, come se mi conoscessero, come se fosse uno spettacolo apposta per me.

Cerco di capire che odore hanno questi uomini e queste donne, ma non riesco a distinguerne che alcune essenze. Certi uomini hanno odore di tabacco salernitano, altri di cuoio mischiato all’odore di sandalo, alcuni sanno di animali puliti, e molti hanno odore di quercia; le donne profumano per lo più di borotalco, ma alcune odorano di cannella o di camomilla.

Una bambina, per due volte, mi chiama come mi chiamano i mie nipoti, Tino, e senza domandarmi chi possa essere la seguo fino al secondo piano di Palazzo Reale (Eh…la bellezza delle stanze, lo scalone, i quadri, i fiori e i pavimenti di legno intarsiato… che incanto!), arrivo in una stanza che si affaccia sulla piazza Duomo, e rimango muto e in silenzio.

Qualcosa di strano mi paralizza: vedo tante bare nere, messe in ordine in tutta la piazza, quasi a coprirla tutta a tappeto; forse è venuto a mancare un intero paese, forse sono dei venditori di bare e le hanno portate qui perché c’è una fiera, di bare.

Ad ogni bara c’è una persona che forse prega, forse sorride, forse parla, sicuramente si percepisce più malinconia che tristezza, ma da qui non si capisce bene, sono vestiti di nero, come nere sono tutte le bare, tranne una che è rossa.

Passo di corsa tutte le stanze del Palazzo e scendo al volo lo scalone, fino ad arrivare dritto in Piazza, in mezzo a quelle bare.

“Buon giorno”, dico ad una ragazza con gli occhiali che mi risponde con un sorriso come se mi conoscesse. “Come mai siete qui”, le chiedo, e lei mi dice di spostarmi che stanno iniziando a battere le casse con le mani per far riecheggiare il suono delle bare per tutto lo spazio.

Le chiedo ancora: “Come mai siete qui?”.

Lei: “Siamo lavoratori di sogni”.

Io: “E chi c’è dentro queste bare? Cosa ci fate qui?”

Lei: “Facciamo un funerale artistico! Qui dentro ci sono i sogni delle persone di tutto il paese, noi adesso proviamo a svegliarli perché forse possiamo farli resuscitare”.

Questa sta fuori di testa, mi dico più incuriosito che preoccupato.

Io: “Che vuol dire i sogni di tutto il paese?”

Iniziano all’unisono, e col primo colpo di mani gli uccelli volano via dalla paura e oscurano il cielo per qualche secondo.

Come un popolo primitivo di guerrieri neri della luce, tutte queste persone trovano un ritmo ancestrale che scuote pure ogni lampione circostante e il suono dei sogni da dentro le bare arriva a forma di eco perfino dentro al Duomo, perfino dentro al cuore.

La ragazza, intenta a stare al passo del suono degli altri suoi 499 compagni, non mi guarda più: “È una protesta questa” mi urla con un sorriso.

Chiudo gli occhi e respiro ogni battito di cassa, ogni vuoto di ogni sogno, fino a ritrovarmi a questo 10/10/20, che è il giorno della protesta dei lavoratori dello spettacolo (precisamente di tecnici organizzatori di eventi) in Piazza Duomo e hanno portato i bauli che di solito utilizzano per trasportare il materiale che serve per allestire palchi, teatri, luoghi di musica e di cultura.

Impressionante sentirli battere quelle casse che per tanto tempo sono state le custodi dei loro attrezzi. Li guardo ammirato mentre una signora si avvicina e mi chiede che cosa c’è in quelle casse e io le dico: “Ci sono i sogni delle persone, perché questo paese è governato da gente che crede che la cultura non sia un bene primario, come la salute, come l’istruzione, la dignità. Tutto parte dal linguaggio, pensi che dire distanziamento sociale e non distanziamento fisico nell’inconscio della gente può creare la possibilità di pensare che la “socialità” è sostituibile con una serata davanti al pc, perché ci stanno facendo capire che non ha senso lottare per i teatri aperti, e se succedesse la gente potrebbe iniziare a credere che non è fondamentale sognare, che non sono più necessari luoghi deputati al pensiero e all’immaginazione, ci stanno abituando a diventare consumisti di digitali”.

Lei: “Hai un euro?”

Solo ora mi accorgo che la signora è una senzatetto, con quattro buste di plastica piene di altre buste di plastica, e io che stavo cercando di fare un discorso super intelligente.

Io: ”Sì, eccolo! …e allora, dentro quelle casse ci sono i nostri sogni, ma non i nostri di attori e tecnici del teatro, ma quelli nostri di cittadini di un paese civile. Lei è mai andata a Teatro quando era ragazza? Di dov’è originaria?”

Lei: “Tu guadagni soldi? Che lavoro fai?”

Io: “Sono un drammaturgo…”

Lei : “Non hai qualche euro in più per un panino…”

Io: “Ecco, sono quattro euro! Sono un drammaturgo…”

Lei: “Un maturgo?”

Io: “Dramma-Drammaturgo!”

Lei: “Non mi piacciono i drammi, già la vita è infelice!”

Io sorrido e le dico: “Sente come suonano?”

Lei: “Sono felici!”

Io: “Eh…sì a modo loro sono felici, siamo felici”.

Lei: “Mi dai un altro euro?”

Io: “Non ne ho più. Ho solo questi per prendere il biglietto della metro!”

La signora prontamente mi offre un vecchio biglietto scaduto da due anni e mi chiede gli ultimi due euro che le faccio vedere.

Io glieli do e le sorrido.

Lei: “Stai sorridendo? Hai tanti soldi!”

Spostandomi la mascherina le faccio vedere che sorrido, ma non le dico che sono senza soldi.

Lei: “Se sorridi c’è speranza”; e se ne va chissà dove con i 5 euro.

Il suono si ferma, la piazza applaude, sento un brivido di commozione per quello spettacolo potente e triste, guardo la ragazza soddisfatta e da sotto la mascherina mi pare sorrida.

Lei: “Che lavoro fai, sei uno del settore?”

Mi imbarazzo a dire che lo sono, e le dico che faccio il medico, non so perché, nella mia carriera di bugiardo non ho mai inserito questo lavoro eppure ci crede perchè mi dice che pure noi medici siamo messi male perché anche a lottare non ci sono molte speranze.

Io: “Ho visto una zingara forse, non so mi pareva una zingara, che mi ha detto che se sorridiamo c’è speranza”.

Lei: “Mettiamola così: se lottiamo con sorriso, c’è speranza! Ma voi dottori ci credete a quelli che prevedono il futuro?”

Io: “Noi…? Noi crediamo! Come voi…”

Manifestazione dei lavoratori dello spettacolo con i bauli, 10 ottobre 2020 in Piazza Duomo.

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