Giovanna Caruso Fendi ci accoglie nella casa che fu un tempo di Carla Fracci, oggi adibita a quartier generale di Forof.

Affacciata sulla Basilica Ulpia, tra un Pistoletto e una veduta della Colonna Traiana, ci racconta la sua visione delle cose nel campo dell’arte. Fu zia Carla, filantropa e imprenditrice della nota maison, a lasciarle quel quid che diede a Giovanna Caruso Fendi la spinta per intraprendere il suo viaggio.

Giovanna Caruso Fendi è una donna dai tratti umani; certe volte ci confonde e ci sembra quasi di averla conosciuta da sempre: e mentre ci ricorda che il suo colore preferito è il verde, inizia a spiegare come ha inteso Forof.

Forof è un palindromo che si scioglie in Foro Fendi ed è una startup artistico culturale che ha come obiettivo quello di avvicinare il pubblico all’arte contemporanea tramite soluzioni à la page. “Forof crea, attraverso l’arte, percorsi imprevedibili e meraviglianti che trasformano il quotidiano” si legge nella didascalia.

Giuridicamente Forof è una società srl SB, una nuova formula introdotta recentemente in legislatura in cui il profit e la sostenibilità camminano a braccetto e restituiscono un nuovo modo di fare impresa. Il fine lucrativo si unisce dunque a scopi sociali che consistono in ricadute positive sulla collettività condotte attraverso iniziative benefiche a favore di soggetti portatori di interesse.

Forof dunque è un po’ for profit e un po’ (for) benefit, e Giovanna Caruso Fendi ci spiega che solo così l’imprenditoria può diventare sostenibile e autosufficiente. L’idea di Caruso Fendi è inoltre vincitrice di un bando di Invitalia riguardante l’imprenditoria femminile che consiste nella restituzione dell’importo in 8 anni a tasso 0.

L’imprenditrice continua raccontandoci che il mecenatismo oggi non deve essere più inteso in termini rinascimentali in cui un solo benefattore era eletto a magnate dell’arte (pensiamo ai Medici a Firenze), ma il concetto deve essere esteso a nuovi soggetti e deve implicare un coinvolgimento più ampio della società.

Ognuno di noi può diventare mecenate e contribuire fattivamente ad un progetto di cui si condividono le idee: solo così il pubblico sveste gli abiti di mero spettatore e diventa protagonista. Potremmo definire questo genere di visione un mecenatismo pret-à-porter, come quando si indossa un abito griffato e si entra a far parte di un allure che ci regala nuove sensazioni.

Spesse volte la partecipazione a performance o vernissage non ci rende consapevoli di ciò che abbiamo vissuto, non ci consente di entrare nel profondo del pensiero dell’artista, non siamo coinvolti in un percorso esistenziale che ci inviti a riflettere: è solo destinando il nostro tempo e le nostre risorse anche economiche alla condivisione di momenti emozionanti che possiamo entrare a far parte di un viaggio trasformativo, e per condurlo abbiamo bisogno di tutto uno strumentario critico dentro di noi.

La parola viaggio infatti deriva dal latino viaticum, ossia provvista per viaggiare, e il vero significato dell’etimologia non riposa nell’esplorazione in sé, ma in tutto l’occorrente di cui necessitiamo per intraprendere il cammino. Mappe, traguardi, destinazioni, approdi, rifugi, scali, viveri. Bisogna essere consapevoli di dove si vuole arrivare prima di partire, e questo vale soprattutto se il viaggio è condotto da fermi, come nel nostro caso. Ecco quindi il senso di un coinvolgimento più ampio proposto da Forof.

Il progetto prevede varie stagioni e vari episodi da svolgersi a cadenze prestabilite in cui gli spettatori, previo acquisto di un biglietto, possono partecipare ad un happening fatto di musica, danza, arte, archeologia, poesia.

Forof dunque propone al pubblico delle puntate come se fosse una serie Netflix. Gli eventi si accompagnano inoltre a degustazione di prodotti enogastronomici curati dalla Cantina Roscioli. La fonte di ispirazione di questo format deriva dai Cabaret Voltaire, caffè culturali nati a Zurigo durante la Grande Guerra che garantivano agli habitué attività intellettuali di diversa tipologia.

Forof nasce un anno fa e c’è da scommetterci che potrà ancora sottoporci soluzioni inedite. Siamo certi infatti che in quanto a innovazione Forof non avrà rivali (Giovanna Caruso Fendi è amante delle etimologie, quindi ci teniamo a precisare che il termine rivale deriva da rivus e fa riferimento ai litigi delle comunità agricole e pastorali per il possesso delle acque di irrigazione).

Questo termine ci pare molto appropriato considerando la performance proposta da Alex Cecchetti per la Stagione 2, Episodio 1: il mondo sottomarino è infatti tornato ricorrente nell’esibizione proposta dall’artista. Sulle pareti del sito archeologico sono stati proiettati i video dei suoi viaggi subacquei della cui bellezza ci ha reso partecipi, come se fossimo anche noi sommersi dalle acque.

Al suono di una musica ricorrente inoltre, alcuni ballerini erano intenti ad una danza ripetitiva che ipnotizzava lo spettatore, mentre li invitava a riflettere sul rispetto della natura. Ecco il senso dell’avventura compenetrante per Forof: affondare col nostro respiro in velature artistiche per scrutare il mondo assorti in una coscienza linfatica. I nostri sensi conversano così con l’esibizione circostante e ci invitano a smettere l’idea di convitati di pietra intervenuti solo come semplici comparse.

Forof ha sede in Palazzo Roccagiovine che insiste sui marmi della Basilica Ulpia di cui abbiamo già parlato qui. Dopo un lungo periodo di recupero archeologico grazie anche alla prodigalità della famiglia Fendi, Palazzo Roccagiovine nel 2001 è diventata la prima sede di Fondazione Alda Fendi – Esperimenti, che oggi invece si è trasferita a Palazzo Rhinoceros.

Proprio la location suggerisce progetti site specific in cui permane un costante dialogo tra archeologia e storia dell’arte contemporanea. Questo aspetto è certamente una cifra caratterizzante di Forof che Giovanna Caruso Fendi intende perseguire come leitmotiv per i prossimi anni.

Caruso Fendi conclude raccontandoci che la passione per l’arte le è venuta da piccola quando ammirava Karl Lagerfeld disegnare nel loro atelier, oltre che nel seguire sua figlia anche lei dedita all’arte. Fu proprio il noto stilista tra l’altro a ideare nel 1965 il logo delle FF rovesciate come acronimo di Fun Furs, ossia pellicce divertenti, in ricordo delle attività creative della griffe di Adele Casagrande e Edoardo Fendi che hanno dato vita ad un impero.

“Cammino con le mie 3 C: coraggio, collaborazione, creatività, e mi lascio alle spalle la C di Covid. Aggiungo la T di tenacia”, la stessa che suo padre ravvisava in lei. Con queste parole vogliamo tracciare i tratti distintivi di Giovanna Caruso Fendi e augurarle di continuare a stupirci, rendendoci sempre più partecipi delle sue idee visionarie alle quali invitiamo tutti a partecipare.

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