Ho pensato di chiedere a Franco Mussida, musicista, scrittore, fondatore del CPM Music Institute di Milano, il suo parere su un tema che abbiamo discusso tante volte, in buona compagnia, perché di fatto riguarda l’importanza che si attribuisce alla musica, nell’era digitale, all’ascolto in streaming, spesso casuale e distratto, di singoli brani, contrapposto all’ascolto puntuale e attento di un intero album, come si faceva anni fa con gli album in vinile. Questo genere d’ascolto negli ultimi anni ha finito per influenzare anche la qualità di gran parte della musica che ascoltiamo ai giorni nostri. E allora ecco il Mussida pensiero, che io trovo interessante perché prima di ragionare sul meccanismo in sé, mette tutto in relazione con l’interiorità di ognuno di noi.

Che differenza passa fra ascoltare e sentire la musica?

Alcuni aspetti su queste due diverse esperienze che hanno nella Musica uno straordinario luogo di osservazione li ho descritti nel mio ultimo libro, “Il Pianeta della Musica” (Salani 2019). È un tema più complesso da spiegare che da vivere. Per raccontare al meglio, è utile una premessa generale.
Non riguarda il suono ma la dimensione percettiva della persona. Va tenuto presente che qualsiasi cosa o sorgente sonora ci giunga da fuori, che pare altro da noi, di natura visibile o invisibile (la visione di un albero, una moto, o il canto di una capinera, il suono del clacson di un camion) che non vediamo, per poter essere da noi riconosciuta si mette in relazione con la nostra complessità sensoriale. Sembrerebbe del tutto banale, senonché, a scardinare ogni banalità, ci pensa il termine ri-conosciuto. In questa parola sta il cuore di uno dei più grandi misteri.
Quello che si attua nella nostra interiorità nel collegamento tra realtà corporea e spirituale del microcosmo umano con il macrocosmo, di cui esso è specchio.

Nella continua relazione tra ciò che vive fuori di noi e ciò che questo fuori provoca in noi quando lo facciamo entrare, vive l’esperienza di relazione tra uomo e uomo, uomo e natura, uomo e ambiente. Non serve aver studiato filosofia per comprendere alcuni semplici principi di autocoscienza. Basta osservare, catalogare per differenze le esperienze di vita che facciamo. La Musica è un meraviglioso, libero territorio di osservazione dei fenomeni emotivi, è accessibile a tutti, agli amanti di ogni genere e stile: la Musica li contiene tutti e non fa differenze.

Si è detto di sensibilità sensoriale e di ri-conoscimento. Ecco mettiamo ora da parte tutti gli altri sensi e concentriamoci solo sul Senso del Suono. Prima di tutto sul suo sistema di percezione, perché questo ci interessa. Il nostro si potrebbe dire sia essenzialmente un sistema quadrifonico bidimensionale. Due ricettori sinistra-destra (orecchie), due ricettori al centro del volto (le cavità nasali). La Musica ci arriva sotto forma di flusso, uno o più strumenti o voci. Non siamo abituati a considerare il senso del suono come un sistema di comunicazione, ma per comprendere la differenza tra ascoltare e sentire dobbiamo iniziare a farlo. Le composizioni musicali sono dei film emotivi in movimento continuo. Noi però la vita la dobbiamo vivere, non guardarla al cinema.
Per cui il senso del suono è sollecitato ogni secondo della nostra giornata. Ci comunica cose di altro tipo: ”questa è una finestra che sbatte”, va chiusa. “Stanno scaricando i cassonetti del vetro”, tra poco li ritiro. “Spero che a chi guida quel motorino smarmittato gli venga data come multa l’ascolto ininterrotto del suo motore al massimo, per tre ore”. Mi fermo qui con gli esempi, metteteci voi ogni tipo di suono naturale o meccanico da noi udito e avrete un’attività che non smette mai, sempre accesa, anche quando pensate di avvertire silenzio; lo sa bene chi soffre di acufeni, un’attività che svolge l’orecchio. Lo chiamiamo ascoltare.

Ascoltare suoni per ricavare informazioni. Primo obiettivo salvaguardare la nostra vita: non l’avessimo, chissà quante macchine, moto o biciclette ci avrebbero già stirato. Ascoltare Musica ricopia più o meno lo stesso procedimento. I due principali addetti al ri-conoscimento sonoro si comportano come degli addetti ai passaporti: Lei chi è, mostri la carta d’identità timbrica. Ah, bene, è un violino, passi pure. Lei una batteria: benvenuta! Lei una voce, di chissà quale nazionalità, passi pure. Così il flusso musicale passa attraverso le nostre orecchie, avvertendoci di una qualche sorgente sonora nelle vicinanze. Ascoltare non è un’attività esclusiva, la condividiamo continuamente con il resto delle percezioni. Visive prima di tutto, a seguire le olfattive, ecc.

Si può dire che il Senso del Suono, pur sovrapponendosi agli altri sensi, assuma una qualità esclusiva, per brevi o per lunghi periodi, solo quando entra in azione la nostra intera organizzazione sonora, quando in modo consapevole, per cosi dire accendiamo l’interesse sul secondo canale di comunicazione. Se il primo offre al cervello il frutto del lavoro di controllo dell’identità timbrica compiuto dalle orecchie in modo diretto, il secondo compie un percorso diverso, più lungo e articolato, passando dal respiro all’ossigenazione del sangue, per arrivare al sistema nervoso. Un percorso che coinvolge e illumina l’intero essere umano. E così si accende, vibra, prende luce quello che nel mio lavoro di osservazione e ricerca definisco: Uomo Suono. Un’immagine del nostro intero sistema sonoro vibrante. Un sistema di comunicazione capace di decodificare e riconoscere il timbro sonoro attraverso gli strumenti fisici della persona, ed uno capace di decodificare gli aspetti emotivi e spirituali che ci si parano davanti, relazionandosi con loro, invitandoli ad abitare liberamente la nostra interiorità individuale. Allora capita di sentirsi come seduti al centro di un luogo-non luogo interiore, in cui il nostro essere emotivo vibra, cambiando colore nel mare emotivo interiore degli stati d’animo, come fanno i polipi che hanno il mare attorno. Capita di percepire immagini non più fisiche ma emotive. Quando capita questo o qualcosa che pur essendo più semplice ci fa dire che siamo presi dal flusso sonoro, possiamo dire che non stiamo più ascoltando della Musica, possiamo dire che stiamo sentendo della Musica, che stiamo vivendo con lei un dialogo intimo e profondo.

Accade anche mentre ascoltiamo qualcosa con degli amici e rimaniamo solo per qualche secondo come persi, osservando il nulla sulla parete di fronte della stanza in cui siamo. In fondo è questo che si genera nel rapporto tra musicista e ascoltatore, tra orchestra e pubblico, un dialogo che si attua anche in una festa di piazza al ritmo della macarena. Chiaro che in questo caso i poteri del codice musicale, puntando decisamente verso il ritmo, non danno tanto modo di star seduti a contemplare…
Sentire un suono significa quindi entrare in esso in profondità, lasciarlo agire dentro di noi, nel mare delle nostre emozioni con fiducia. Imparare a farlo in modo consapevole ci dà modo di scoprire cose su noi stessi che potrebbero davvero stupirci. Per farlo così però dobbiamo dedicare alla Musica tempo esclusivo, dedicargli il tempo che una Musica merita, fosse anche Musica registrata. Qui si aprirebbe un tema sulle qualità del suono nella Musica Live e registrata che ci porterebbe lontano. Un consiglio prima di chiudere. Se volete sentire della Musica nella sua pienezza, abituatevi a spegnere i video che spesso accompagnano le composizioni, specie nella Popular Music: è tutto un altro film! A creare l’atmosfera sarete voi, solo voi, con immagini emotive esclusive, solo vostre.

Condividi: