Esiste un vino che universalmente ha sedotto chiunque lo incontrasse. Senza distinzioni di sesso o di età. Il peggio o il meglio che anime reticenti possano incontrare, perché lui, suadente e brillante, con quel perlage che incanta, si presenta in ogni occasione senza uno scopo preciso, se non quello di essere amato e mai più dimenticato. Il suo nome è Champagne e la sua vita è un romanzo in continua stesura.
Se poi si scopre che nel 1690, le prime rifermentazioni in bottiglia sono merito di Dom Pierre Perignon, monaco benedettino, credo che nessuno sia stato esente da questo fascino. Coco Chanel diceva che ci sono solo due occasioni per berlo: quando si è innamorati e quando non lo siamo! Ecco, questa è solo una delle innumerevoli citazioni, ma è quella che mi piace di più, perchè lo eleva a poter interpretare tutti i ruoli.
Sono di parte, lo so. Adoro lo champagne, soprattutto quelli invecchiati. Il colore si trasforma in un oro piu intenso, i profumi diventano complessi e il perlage, diventa essenza. Come se per un gioco del destino fossimo noi stessi nel bicchiere. Non più adolescenti, ma maturi e consapevoli dell’attesa di qualcuno, che con delicatezza, levi quella gabbietta che trattiene il tappo. La stessa che non sapevo quanto avrebbe influito sul mio percorso.
Già perché diversi anni fa, per non dire molti, qualcuno mi fece incontrare una bottiglia di Brut Initiale di Jacques Selosse. Non l’ho piu dimenticato. Diverso, particolare, come dicono in Francia per le client averti.
Anselme Selosse, figlio di Jacques, dal 1980 con i suoi 8 ettari, ha rivoluzionato ciò che sembrava inamovibile. Evviva! Biodinamico, rese basse, metodo solera, lieviti indigeni, omologazione inesistente. Siamo ad Avize, nella Côte de Blanc, nel cuore di questa denominazione nonché regione. Questo champagne, per esempio, è tuttora fatto solo di Chardonnay con tre annate diverse e il degorgement avviene dopo 30 mesi. Non mi piace parlare della tecnica, che spesso è un tipo di linguaggio che non fa comprendere fino in fondo la grandezza di un vino come questo. “La regola della non azione è importante. Non fare nulla significa accettare di non essere il padrone, ma il servitore della natura. Ho fiducia nella natura, lei conosce più di chiunque altro ciò di cui ha bisogno…” dice Anselme ed è per questo che lui non si definisce un recultant manipulant ma un recultant élévateur, proprio a ribadire quanto il rispetto dell’ecosistema e della sua linfa vitale, siano i presupposti per avere l’uva sana per produrre un grande vino. Vero è che le bottiglie di Selosse non sono mai uguali alle precedenti e per chi cerca uno stile riconoscibile, suggerirei di rivolgersi altrove.
Ma se il fascino di un appuntamento al buio riesce a stuzzicare la vostra fantasia, questo è il migliore incontro che potrete fare. Niente fiore in mano o giornale sottobraccio, ma solo un bicchiere e una sfrenata voglia di essere ammaliati da una storia che nonostante i secoli, è riuscita a trovare con Anselme un nuovo inizio.
Le domaine Jacques Selosse
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