Evelina Santangelo, l’autrice del libro di cui scrivo oggi, è una donna con cui ho condiviso un master di perfezionamento universitario a Palermo per un periodo breve e intenso della mia vita. È una siciliana che di strada ne ha fatta tanta, dentro mondi che diventano altro grazie alla sua penna superba. Ha scritto numerosi libri, di cui consiglio vivamente la lettura, e vinto molti premi, tutti meritatissimi. Tra i suoi libri più felici, la raccolta di racconti L’occhio cieco del mondo e i romanzi La lucertola color smeraldo e Non va sempre così, tutti pubblicati da Einaudi.

E poi c’è Da un altro mondo, un’opera bellissima (Einaudi – Stile Libero, 2018), eletta libro dell’anno 2018 dagli ascoltatori di Fahrenheit: un libro duro e poetico, dove realtà e incubo si intrecciano come i destini dei tre protagonisti, Karolina, Khaled e Orso, in una babele di orrore e poesia che si irradia in un unico boato di luce finale.

Da un altro mondo mi ricorda Babel, un film del 2006 diretto da Alejandro González Iñárritu, che ho amato molto: storie parallele, vite disperate che si mescolano in un crogiuolo di voci, pianti, disperazione, rabbia, solitudine, resa, dolore, morte, un unico comune denominatore che le lega tramite un filo invisibile e resistente in maniera apparentemente casuale, come la vita a volte sa fare e gli incubi raccontare.

Il libro è ambientato in un futuro prossimo venturo, il 2020, che per noi è già passato, con il suo bagaglio di inaspettato dolore che continuiamo a portarci dietro come una zavorra sempre più pesante.

Protagonisti, individui distanti tra loro migliaia di chilometri che incrociano i loro destini sulla Terra, anche solo per qualche istante che ha il sapore dell’eternità, dentro un disperato caleidoscopio di umanità sola e dolente, violenta e incapace di comunicare, babele multietnica di lingue, luoghi, storie e destini umani.

C’è Khaled, un ragazzino forse siriano, costretto a lasciare la sua terra portando con sé il fratello più piccolo con il compito di prendersene cura, ma che muore tragicamente a Bruxelles, dove giungono per lavorare, morte che sconvolge il ragazzo tanto da portarlo a partire verso il Sud. Khaled attraversa la Pianura Padana per giungere sino a Palermo, trascinandosi faticosamente dietro un trolley rosso, la presenza del fratellino e le voci della sua terra sempre vive dentro di lui, come una nenia dolente che lo accompagna fin dentro le viscere della terra, in un altro mondo che è il suo mondo.

Poi c’è Karolina, una donna triste e sola che risiede a Bruxelles, affranta per la sparizione di un figlio che non la ama e che la tiene lontana, Andreas, e sconvolta da una scoperta terribile che non le lascerà pace: navigando nel computer lasciato dal figlio scomparso, trova blog neonazisti e jihadisti, dove gli estremismi si mescolano nel segno della violenza, terribile e delirante.

E ancora, c’è Orso, strano essere misantropo e scontroso che vive nella Pianura Padana più profonda, abitata da un’umanità chiusa, ignorante, razzista e violenta, in realtà un vecchio prigioniero di un dolore sordo e infinito capace inaspettatamente di trasformarsi in un afflato d’amore tanto genuino quanto animalesco, contro tutto e tutti.

Infine c’è Palermo e il mistero dei «bambini viventi», che di vivente sembrano non avere nulla, se non lo strano impasto di paura, immaginazione, disagio e senso di colpa in chiunque sia in grado di vederli, perché sono come le impronte sul mare, le piú crudeli, perché a parte chi le lascia nessun altro le vede, almeno sino a quando non si trasformano in strane apparizioni da ricacciare indietro, da quell’altro mondo da cui provengono.

Eppure, nonostante tutto, nella marginalità dei protagonisti e nell’ardore della violenza, piccoli gesti di profonda umanità si intravedono dentro una luce bianca dove tutto diventa frammento e dove ogni cosa tragicamente si dissolve, in un finale catartico e sconvolgente.

In questo futuro, che è già il nostro passato, tra potenza immaginifica, sogni inquietanti, verità oscure e triste realtà, vita e morte che si confondono dentro un fragore tragico, si agita questo libro superbo, e grida dolore e rabbia per la violenza pervasiva che soffia forte in questa nostra Europa poco accogliente, che alza muri contro l’altro; proprio contro quell’altro mondo che, guardato attentamente, è lo specchio delle nostre paure, è la visione distorta di quella stessa Europa responsabile e imperdonabile, la cui crudeltà trasforma miseria e dolore in strane apparizioni da cui difendersi, marginalità che finiscono per implodere dentro le nostre solitudini e il nostro disagio ed esplodere dentro le nostre piazze incredule.

Un’opera magnifica, che avvolge senza requie cuore, mente, occhi e parole e da un altro mondo ti tende la mano per viaggiare con la potenza delle sue parole dentro il dolore che troppo spesso rifiutiamo colpevolmente di riconoscere e condividere. Da leggere.

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