Le indicazioni di provenienza (DOP, IGP, DOC, ecc.) hanno una rilevanza particolare perché mirano a soddisfare una serie di interessi in nome dei quali è prevista una tutela pubblica molto importante. Si tratta di “segni geografici che esprimono un legame tra il prodotto che sono chiamate a contraddistinguere ed il territorio dal quale esso proviene” (C. Galli, Denominazioni Geografiche e Indicazioni di Provenienza, in Treccani diritto online, 2016)1 e mediante i quali i produttori possono fregiarsi di una certificazione che attesta una particolare qualità e che permette ai consumatori di individuare e riconoscere facilmente determinati prodotti, con una riduzione delle asimmetrie informative a loro sfavore. Il che vuol dire che i consumatori sono consapevoli che stanno comprando un prodotto di qualità, con ingredienti del territorio, che risponde a una determinata tradizione eno-gastronomica.

Per queste ragioni, le denominazioni di origine e le indicazioni di provenienza godono di una tutela speciale, per esempio contro imitazioni, usurpazioni o altri comportamenti parassitari da parte di operatori che ne sfruttano la reputazione per prodotti privi delle medesime qualità.

Il comparto della food quality

Il settore delle denominazioni e indicazioni di provenienza costituisce solo una parte di un comparto che può essere definito di food quality. Esso è finalizzato alla tutela di prodotti ritenuti e qualificati – quindi presentati al consumatore – come di qualità, speciali, perché in possesso di un insieme di elementi che evocano

“il contesto ambientale e climatico, nonché determinate qualità organolettiche, ma altresì aspetti tradizionali, storici e culturali della comunità locale”

(N. Lucifero, La comunicazione simbolica nel mercato alimentare: marchi e segni del territorio, in Trattato di diritto agrario, a cura di L. Costato, A. Germanò, E. Rook Basile, Torino, Utet, 2011, volume 3, p. 337).

Le amministrazioni competenti a regolare la qualità alimentare sono chiamate trovare un equilibrio tra almeno quattro categorie di interessi protetti, secondo un disegno che spesso risulta armonico e coerente, ma che talvolta può generare conflitti.

Vi è, in primo luogo, la protezione di produzioni agricole legate alla tradizione e al territorio, da promuovere per ragioni culturali, di sviluppo locale e di diversificazione dell’offerta alimentare che, per tradizione, riflette le caratteristiche storico-geografiche della zona in cui è prodotta.

In seconda istanza, l’intervento pubblico nel settore della food quality trova giustificazione nella tutela del consumatore. Quest’ultimo, grazie ai segni distintivi (DOP, IGT e non solo, si pensi anche al biologico o ad altre indicazioni riportate in etichetta e certificate dalle autorità competenti) può facilmente individuare prodotti con determinate caratteristiche e – proprio grazie all’attività delle strutture deputate a tali funzioni, che valutano, certificano e controllano – avere la certezza che i cibi che acquista possiedono effettivamente le peculiarità vantate sulla confezione o richiamate dalle semplici denominazioni.

Terzo: la regolazione in parola tutela i produttori perché se è vero che per ottenere la certificazione di una determinata denominazione di origine occorre affrontare costi elevati e sottoporsi a procedure autorizzatorie complesse, al tempo stesso il segno distintivo produce anche guadagni maggiori, derivanti dalla possibilità di battere la concorrenza differenziando i prodotti senza intervenire sulla riduzione dei prezzi.

Infine, il supporto a tale modello agricolo risponde a un ulteriore interesse generale: il sostegno delle peculiarità alimentari europee (e ancor di più italiane) nei mercati globali. La produzione agro-alimentare di qualità, infatti, presentando così tante differenze nei vari Paesi, risulta spesso penalizzata dall’uniformità delle regole globali, che si basano su standardizzazione, armonizzazione e uguaglianza formale. L’Ue ha registrato maggiori progressi rispetto ai trattati internazionali che regolano la materia, approntando una tutela comune e orientata al mutuo riconoscimento, ma basata sulla diversità e sulla differenziazione dei cibi. Questa policy, oltre a diversificare i prodotti nel mercato comune, costituisce una strategia commerciale vincente a livello extra-Ue ed è vista come la

“vera chance a disposizione degli agricoltori europei nell’attuale mercato globalizzato in cui agricoltori di altri Paesi producono e commercializzano sostanze alimentari a basso costo”

(A. Germanò, Le politiche europee della qualità alimentare, in Agricoltura e alimentazione. Principi e regole della qualità. Disciplina internazionale, comunitaria, nazionale, Atti del Convegno internazionale IDAIC, Macerata 9-10 ottobre 2009, Milano, Giuffré, 2010, p. 189).

Tutto ciò premesso, sul tema della tutela della food quality si possono indicare almeno tre elementi interessanti.

Il primo: pur se ci troviamo nell’ambito della regolazione pubblica di attività economiche, la protezione della qualità alimentare è vista come un interesse peculiare, distinto e per certi versi prevalente rispetto alle logiche del free-trade e della concorrenza e la cui protezione pubblicistica e speciale persegue una molteplicità di interessi generali, che ne condizionano la regolazione ammettendo un intervento significativo dei poteri pubblici nelle attività economiche private. Per questo, i prodotti di qualità vengono differenziati dai prodotti consimili al fine di consentire l’acquisizione di una riconoscibilità sul mercato quali beni di pregio.

In secondo luogo, l’attuale disciplina di tutela delle denominazioni di origine e delle indicazioni di provenienza appare in linea con la ratio della Politica agricola comune (PAC) e con le norme che regolano il settore agro-alimentare. Se ne ricava dunque una visione strategica delle policy sulla food quality perché è anche attraverso queste che l’UE – grazie ai suoi particolari prodotti – può conquistare i mercati internazionali. Questo approccio è presente in vari atti delle istituzioni europee, su tutti, il Libro Verde sulla qualità dei prodotti agricoli: norme di prodotto, requisiti di produzione e sistemi di qualità, Doc. COM(2008) 641, 15 ottobre 2008.

Infine, emerge un connubio tormentato tra denominazioni di origine e concorrenza: le prime costituiscono, di fatto, un’alterazione del levelling the playing field richiesto dalle norme a tutela della concorrenza e del mercato, perché sono le autorità pubbliche a riconoscere ad alcuni operatori dei segni distintivi di qualità superiore da sfruttare sul mercato. Più in generale, infatti, può dirsi che l’agricoltura e la produzione e vendita dei prodotti alimentari non sono soggette alle normali regole di concorrenza, essendo sottoposte a una disciplina speciale già nei trattati UE. Inoltre, emerge, nel settore considerato, una prevalenza della tutela del consumatore rispetto alla concorrenza tra operatori: seppur le due finalità siano collegate e naturalmente coesistenti, qui entrano in conflitto – benché solo in apparenza – con un favor per la protezione del consumatore meno accorto, che prevale sul libero gioco della concorrenza.

In verità, le due finalità della concorrenza e della tutela del consumatore sono solo apparentemente confliggenti, rimanendo invece coerenti tra loro. Ciò che cambia, in tale ambito, è il carattere di strumentalità e i beneficiari indiretti: le normali regole a tutela della concorrenza hanno una natura strumentale che indirettamente beneficia i consumatori, ritenuti in grado di effettuare le scelte migliori sinché la concorrenza è garantita, anche mediante l’intervento pubblico. Qui, invece, avviene l’opposto: il carattere primario della food quality porta le istituzioni a perseguire come finalità principale l’affidamento del consumatore ed è nel perseguire questo interesse che le amministrazioni svolgono la loro attività di regolazione. Ma tale approccio, indirettamente, va a beneficio anche della concorrenza perché il favor per alcuni prodotti ritenuti speciali è coerente con il disegno generale in cui la competizione tra operatori deve tener conto e distinguere le diverse categorie all’interno delle quali si confrontano più soggetti; viceversa, sarebbe in contrasto con la disciplina commerciale vigente trattare come analoghi prodotti che in realtà non lo sono.

Si nota quindi che l’approccio regolatorio della food quality e delle denominazioni di origine è particolarmente intrusivo e ciò è giustificato sia dalle norme che disciplinano tale materia, sia dalle strategie produttive e commerciali dell’UE, sia infine dalla necessità di perseguire una serie di interessi pubblici di particolare rilevanza, in nome dei quali appare necessario e corretto comprimere alcune libertà economiche e condizionare il libero gioco della concorrenza.

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