“Non parlate di me ma con me”. Questa è probabilmente la frase che mi è rimasta più impressa del testo della filosofa ed artista Sunaura Taylor Bestie da soma. Disabilità e liberazione animale Sunaura Taylor – Edizioni degli animali.

L’immagine dalla quale prende origine il libro è quella di un grande camion in cui vengono trasportati dei polli pronti per andare al macello. Sunaura parte da questa visione che la rapiva e atterriva ogni giorno, quando da bambina veniva portata a scuola: quei polli stavano incedendo in maniera probabilmente del tutto inconsapevole verso la morte.

Provo ad immergermi nella mente di uno di quei piccoli animaletti: magari quel mattino il sole era più forte, magari la brezza dell’aria lo aveva in qualche modo inebriato e ubriacato di vita, della gioia e dell’amore per il vivere, ignaro che sarebbe stato schiacciato come un oggetto dentro a una crudele e in-differenziata catena di montaggio. Lui come tutti gli altri suoi fratelli, senza alcuna pietà, senza alcun diritto, senza alcuna dignità.

Una delle opere più importanti dell’artista è Chicken Truck (2008) un olio su tela che raffigura – in un’immagine brutalmente reale – questi polli chiusi nelle loro gabbie e destinati al macello.

La parola fondamentale del testo è intersezionalità. Sunaura è una persona disabile, affetta da una sindrome congenita, la artogriposi, che porta a una rigidità articolare in diversi distretti anatomici. Per questa ragione Sunaura ha difficoltà a camminare e ad utilizzare gli arti superiori in quella modalità che noi concepiamo come normale.

A partire da questa differente condizione la filosofa ed artista sviluppa una riflessione di enorme sensibilità riguardo la questione dei diritti animali, rendendosi conto che non è possibile lottare affinché venga riconosciuto un diritto a una minoranza senza che questa lotta non si intersechi con le altre, allo scopo che tutte le minoranze vengano riconosciute.

Ella evidenzia come in molti casi la disabilità si accompagni anche a una condizione socioeconomica svantaggiata, affligga con maggiore probabilità minoranze etniche e di come essa sia un dispositivo per de-soggettivizzare le persone in questione.

Il disabile viene infantilizzato al punto tale che l’unico approccio che gli si vuole offrire è quello dell’assistenza e lo stesso vale per gli animali non umani. Infatti, si assiste colui che non ha modo di poter prendere voce in questo mondo.

Ma, come ben nota Sunaura Taylor – ponendo in costellazione diritti animali e diritti disabili – non è vero che gli animali sono senza voce.  La scelta che è stata brutalmente e aprioristicamente operata è stata quella di non ascoltarli.

Ogni animale infatti esprime in maniera diretta ogni sua volizione e desiderio all’interno del mondo: l’animalità è essenza desiderante, ma l’atteggiamento dell’essere umano è quello della coercizione e del controllo.

Non v’è animale che non cerchi di farci capire cosa vuole; per fare un esempio il cane quando è in un contesto di disagio ce lo dimostra in maniera immediata ma, scopo dell’addestramento, è quello di obbligarlo a non esprimere questa difficoltà al fine che egli non riferisca una propria personalità ma sia un oggetto – infantilizzato – nelle mani dell’umano.

Il cane è come un bambino che deve essere accudito, nello stesso modo il disabile viene relegato nella condizione di chi, come un fanciullo, non sarà mai in grado di avere una effettiva autonomia all’interno della realtà.

Quante volte i nostri cani ci dicono che odiano il parchetto, che il centro commerciale mette loro ansia, che alcune frequentazioni li irritano ma, per noi esseri umani, è molto più semplice incedere nei nostri intenti piuttosto che metterci in ascolto.

Eppure, continuiamo a parlare per loro senza mai intessere una relazione fattiva con loro. La stessa modalità infantilizzante ed accudente che offriamo alle persone disabili è quella che dedichiamo all’animale altro da noi, come se non fosse in grado di avere un proprio mondo e di esprimere una propria soggettività.

In questo modo sia l’animale che il disabile vengono de-soggettivizzati come se l’accudimento, il parlare per loro, fosse l’unica modalità di rapporto che sia possibile intessere. La disabilità spesse volte viene paragonata all’animalità intesa come qualcosa di non appartenente all’umano. Pensiamo quanto vengano utilizzati paragoni con il mondo animale per descrivere ciò che non rientra nella condizione normodotata sia che essa sia di natura fisiologica che mentale.

Ed ecco che entra in gioco il concetto di normalità – parola che rischiamo faccia da protagonista nel nostro scenario politico a venire – che cosa è normalità? Esiste? O è piuttosto un canone deciso a tavolino dalla maggioranza che, come dispositivo di potere, funziona da organo di controllo sul restante? Ecco che se consideriamo la normalità non un elemento realmente esistente, ma come un potente sistema di controllo volto a dis-abilitare ciò che non rientra in canoni predisposti dalla massa, ecco che il mondo cambia aspetto.

È la normalità che toglie la voce, ma non perché quella voce non esista, quanto per il fatto che viene messa a tacere

Ciò che Sunaura Taylor chiede per la sua disabilità non è l’assistenza ma la creazione di piattaforme di possibilità espressive anche per chi interpreta in maniera differente, sia fisicamente che mentalmente, il mondo.

Le persone che non rientrano in un canone di normalità vengono dis-abilitate dal sistema stesso che di fatto è fortemente normo-centrico. Il normo-centrismo si lega in maniera diretta ed intersezionale all’antropocentrismo: gli spazi della vita sono pensati esclusivamente per un umano che non prende in alcuna considerazione la possibilità che possano esistere delle forme di vita differenti.

Come vengono ogni giorno dis-abilitati migliaia di individui perché viene progettato un mondo a misura di normalità e performatività – altra parola che sarà molto osannata nei giorni a venire – allo stesso modo accade per l’animale non umano che non rientra minimamente nella progettazione del mondo, come se non esistesse, al pari di una presenza vuota e per questo completamente de-soggettivizzata.

Proprio come dimostra l’evoluzione noi siamo relazione, è essa che ci spinge a mettere in discussione ogni status quo, a doverci muovere nell’incertezza verso ciò che non conosciamo.

Avere un corpo diverso significa dover inventare degli schemi differenti di utilizzo di esso: questa capacità di reinventarsi è ciò che ha permesso alle specie di sopravvivere nella storia della vita.

Sunaura Taylor sa come estrarre il suo pc dalla borsa senza poter usare le mani: un corpo diverso, pensato in modo diverso, ricreato per essere utilizzato in modalità alternative a quelle che credevamo possibili.

Capire che non v’è un’unica strada, ma molteplici è l’unica cura che possiamo offrire oggi a questo mondo verticalista e monografico. E, come sempre, sono convinta che proprio la relazione con l’alterità animale sia la prassi di cui abbiamo necessità per riuscire a ripensare al mondo oltre gli specchi narcisistici dell’umano e della normalità che abbraccia in maniera diretta e consustanziale la normatività.

Normalità-controllo-normatività sono tre concetti che si intersecano vicendevolmente e che non sviluppano nessun aspetto di cura dell’altro – intesa come ascolto ed accoglienza – ma riconoscono delle risposte prestabilite, pensando che per ogni essere vivente il responso giusto sia uno solo.

È in questo clima di soffocante chiusura che il libro di Sunaura Taylor può prospettarci nuove dimensioni in grado di sganciarci dal principio di performatività e di riconsegnarci a quello di creatività che è l’essenza stessa del grande gioco della vita.

Condividi: