Il mondo animale si presenta agli occhi degli studiosi del XXI secolo in modo assai differente rispetto alle prime descrizioni dell’etologia, quando ancora era forte l’influenza degli scettici sulla mente animale e predominava l’idea che il comportamento fosse una questione di rapporto tra uno stimolo e una reazione.

L’idea di continuità tra l’essere umano e le altre specie promossa da Charles Darwin nel libro L’espressione delle emozioni nell’uomo e negli animali (1872) aveva subito una battuta d’arresto nel 1894 a causa del canone di parsimonia di Lloyd Morgan che raccomandava spiegazioni del comportamento animale preferendo facoltà semplici. E’ in questo clima che si riprende la concezione di animale-macchina formulata da Cartesio e si torna a spiegare il comportamento animale attraverso il modello degli automatismi.

Tuttavia la rivoluzione darwiniana non avrebbe tardato a dare i suoi frutti, anche perché uno dei padri dell’etologia, Konrad Lorenz, in realtà considerava l’animale come un piccolo scienziato in erba portato a formulare delle ipotesi e a metterle alla prova, piuttosto che una macchina semplicemente reattiva. Nel 1976 Donald Griffin con la pubblicazione del saggio L’animale consapevole rompe gli argini imposti dal pensiero riduzionista e dà origine alla rivoluzione cognitiva, che già aveva dato i suoi buoni frutti anche in psicologia umana.

Sorge così un’intensa ricerca sull’intelligenza animale che nei quarant’anni che seguono rompe un gran numero di tabù basati sull’unicità dell’essere umano, quella condizione di specialità ribadita dal filosofo Martin Heidegger tesa a porre un argine invalicabile tra noi e loro. Nascono le esperienze strabilianti dell’apprendimento di linguaggi gestuali nei primati antropomorfi che consentono uno spiraglio di dialogo tra l’umano e il non-umano e poi arriverà Alex di Irene Pepperberg a mostrarci che non solo i nostri cugini sono in grado di parlarci ma anche un pappagallo, capace non di ripetere ma di ragionare su colori, numeri, forme e di rispondere a tono alle richieste.

Il mondo animale: una pluralità
di intelligenze diverse

Ma a questo punto in molti sorge il quesito rispetto a quanto gli animali siano in grado di avvicinarsi alle prestazioni cognitive dell’essere umano, considerato – a torto – come vertice dell’intelligenza. Lo psicologo Howard Gardner negli anni ’80 aveva formulato la teoria delle intelligenze multiple, mostrando l’aleatorietà di valutare la capacità cognitiva come una prestazione unica e omogenea, perché differenti erano le qualità logico-matematiche di Einstein rispetto a quelle visuo-spaziali di Picasso o quelle narrative di Dostoevskij.

Questo ci ha consentito di guardare al mondo animale come a una pluralità d’intelligenze diverse plasmate dal tipo di vita, vale a dire dagli specifici scacchi, che ogni tipo di animale ha dovuto affrontare lungo il corso della sua storia evoluzionistica. In altre parole, non c’è un apice nell’intelligenza ma una grande varietà di prestazioni messe a punto dalla selezione naturale, esattamente come per le altre funzioni del corpo.

In questa prospettiva di pluralità performativa, valeva per l’intelligenza quanto già riscontrato per le altre funzioni, per esempio i sensi: era cioè ammissibile che in qualche prestazione cognitiva certe specie risultassero addirittura più performanti dell’essere umano. Beh, le conferme non hanno tardato ad arrivare.

Dagli studi di Richard Herrnstein sulla capacità dei piccioni di formulare concetti astratti partendo da immagini, ben presto si arrivò a osservare che questi uccelli battono puntualmente gli esseri umani nel gioco della rotazione mentale degli oggetti, vale a dire nel riconoscere il target corrispondente a un modello anche se ruotato.

Le incredibili performance di memorizzazione della nocciolaia di Clark, capace di ricordarsi, a distanza di sei mesi, circa diecimila siti in cui ha riposto le sue riserve di cibo, hanno messo in grave imbarazzo la pretesa umana di essere la vetta delle capacità mnemoniche.

Photo by Dino Olivieri on Flickr

Nel 2007 i ricercatori giapponesi Inoue e Matsuzawa mostrarono come uno scimpanzé fosse in grado di battere qualunque concorrente umano nella capacità di ricordare l’ordine sparso di cifre da 1a 19 mostrato per un attimo su uno schermo. La prestazione visibile in questo video, è senza appello: lo scimpanzé risulta incomparabilmente superiore a noi in questo compito.

Ma in breve si sono moltiplicate le ricerche sull’intelligenza animale mostrandoci come la nostra pretesa di superiorità cognitiva fosse nulla più che una chimera, perché anche i pesci, gli insetti, i cefalopodi hanno dimostrato di superarci in qualche prestazione e siamo solo agli inizi di questo viaggio di conoscenza sulla mente animale.

Ciò che consiglio è di affrontare le intelligenze animali in modo plurale, evitando il confronto ossessivo con l’essere umano. Un buon testo a questo riguardo è L’intelligenza animale di Emmanuelle Pouydebat, edito da Corbaccio.

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