Spesso si afferma che gli animali sono soggetti e non oggetti e come tali bisogna trattarli. Sono perfettamente d’accordo, ma cosa significa essere un soggetto? Quando nel 1976 Donald Griffin con la pubblicazione del saggio L’animale consapevole rompe gli argini imposti dal pensiero riduzionista e dà origine alla rivoluzione cognitiva in etologia, l’affermazione della mente animale viene ricondotta, come suggerisce il titolo del libro, alla coscienza. Ora, a cinquant’anni dalle prime formulazioni della soggettività animale, le cose ci appaiono assai più complesse.

In effetti, già dalle prime ricerche nelle scienze cognitive si riconosceva l’importanza di un inconscio non più pensato freudianamente come rimosso, ma come entità elaborativa e riflessiva. Questo ci permette di considerare la soggettività come una condizione che precede la coscienza, la quale si limita a illuminare alcuni momenti della condizione psicologica dell’individuo.

Gli animali si caratterizzano per il fatto d’essere proiettati al raggiungimento di scopi propri, di possedere cioè un orientamento intrinseco che fa sì che il loro volgersi al mondo non sia mai passivo. Essi, infatti, devono organizzare il loro movimento, spostando un corpo composto di più parti in un mezzo ambientale e, per farlo, essere in grado di distinguere le modificazioni di panorama prodotte dalle loro azioni da quelle che, viceversa, derivano da cambiamenti riconducibili ad accadimenti esterni. Questo è il motivo per cui, quando spostiamo la testa, non abbiamo l’impressione che anche il mondo si muova.

La capacità di separare gli effetti subiti nell’interazione con il mondo (sensibilità) dagli effetti prodotti dalla propria azione sul mondo (esperienza) può essere considerata la prima forma di emergenza di un soggettivo, come ci dimostrano Peter Godfrey-Smith nel libro Metazoa (Adelphi, 2021) e Giorgio Vallortigara nel saggio Pensieri della mosca con la testa storta (Adelphi, 2021).

La soggettività, la condizione affettiva

Il secondo piano della soggettività è dato dalla condizione affettiva, vale a dire dal fatto che un animale è portatore d’interessi che cercano nel mondo una loro realizzazione. L’animale è cioè affettivamente rivolto al mondo per difendere e per raggiungere interessi che lo riguardano, a differenza di un qualunque oggetto o macchina che, per quanto possa essere intelligente nelle sue funzioni, non prevede una finalità propria, in quanto mancante d’interessi.

Due sono i saggi fondamentali per comprendere il ruolo dell’affettività nello sviluppo di una condizione soggettiva: il saggio di Jaak Panksepp e Lucy Biven Archeologia della mente (Raffaello Cortina, 2014) e il libro di Mark Solms, fresco di stampa, La fonte nascosta (Adelphi, 2023). Questo libro, in particolare, prende in considerazione la possibilità che persino la coscienza abbia un’origine affettiva e sia molto più antica e diffusa nel mondo animale.

A una coscienza cognitiva, volta all’elaborazione dei significati desumibili dalle situazioni, per Solms occorre riconoscere un sentire primitivo e viscerale come bussola dell’orientamento. L’affettività è data prevalentemente dalle emozioni, che fanno provare all’individuo dei sentimenti riferibili alle diverse circostanze, e dalle motivazioni, che sono alla base delle passioni e dei desideri.

Emozioni e motivazioni

Tanto le emozioni quanto le motivazioni hanno un valore di collegamento con il mondo esterno, rendono cioè il panorama interessante per il soggetto, producendo uno stato per-Sé, per cui un animale cerca sempre di difendere e di accrescere i propri interessi. Il terzo piano della soggettività si è reso evidente con l’avvento del modello cognitivo delle dotazioni dell’animale. Se in precedenza si era adottata la spiegazione meccanicista, sul principio cartesiano dell’animale macchina, per cui le dotazioni innate e apprese venivano spiegate come automatismi, poi ci si è avvalsi di un modello elaborativo.

La differenza è rilevante: se le dotazioni sono automatismi, queste muovono l’animale come se fosse un burattino agito da dei fili, per cui gli automatismi innati, definiti istinti, erano innescati dalle pulsioni, mentre quelli appresi, definiti condizionamenti, erano indotti dagli stimoli esterni. La rivoluzione cognitiva mette in discussione il modello dell’automatismo, considerando le dotazioni come strumenti, cioè come entità in grado di svolgere una molteplicità di funzioni, esattamente come un software o una mappa topografica, per cui la funzione non è ricavabile in modo diretto dalla dotazione.

Una mappa, infatti, non produce un itinerario, perché è il soggetto che utilizzando la mappa si costruisce il proprio itinerario. La soggettività che deriva da questi primi tre piani ci mostra un capace di emergere dal flusso dei fenomeni, dotato di una propria finalità intrinseca e titolare delle proprie diotazioni, un artefice della propria condizione, protagonista nel mondo e al timone del proprio orientamento.

Ci introduce, inoltre, in una delle caratteristiche più importanti della soggettività, la condizione di self-ownership, per cui un animale sempre si-appartiene e non può essere considerato un oggetto, utilizzabile e che si può possedere, perché il fatto di auto-appartenersi fa sì che con un animale sempre si debba trovare un accordo e gli si debba comunque chiedere un consenso. La condizione di self-ownership produce inevitabilmente delle conseguenze etiche, ma ha prima di tutto un significato ontologico: ci dice cioè cosa possiamo e cosa non possiamo, in termini fattuali, quando interagiamo con un animale.

Condividi: