Mi pare di capire che non sia proprio #andatotuttobene. Oggi però riesco a passare momentaneamente su tante cose, a riflettere, a tratti, maggiormente e ad accettare provvisoriamente molti più accadimenti.

Solo una piccola cosa ancora non riesce a scavallare questa mia notevole propensione alla transitorietà degli stati d’animo.
Solo un concetto, peraltro molto in uso, ancora non riesce ad attraversare il mio esofago. 

Pensavo che la mia digestione faticasse solo con il cibo indiano, invece ho recentemente scoperto di avere grosse difficoltà anche con il diktat-concetto di distanziamento sociale.
Il problema è che mentre il cibo indiano lo amo profondamente e per esso sono disposta persino ad affrontare devastanti effetti bruciaculo, l’altra cosa oggi mi fa venire i brividi.

Ci sono tanti modi per non prendersi il Covid, uno dei più efficaci è un sano distanziamento fisico.

Ma vogliamo vedere insieme cos’è il distanziamento fisico?
Per come la vedo io è la distanza fra due corpi viventi tale da non percepire l’alito marrano e l’ascella traditrice
, ma anche di non poter eventualmente allungare gli arti superiori per fondersi in un abbraccio o mollare una sberla.
Potrebbero consistere in un metro, due per chi ha i genitori anziani, quattro per i fondamentalisti della ffp3.

Il distanziamento sociale invece non può esistere, e non per un mero fatto semantico.
Non esiste semplicemente perché noi continuiamo ad essere animali sociali anche quando i nostri corpi sono lontani.

Noi siamo capaci, anche a distanza, di comunicare cose orribili e meravigliose.
Un “sei licenziato“ provocherebbe disperazione anche a venti metri di distanza.
Un “ti amo” farebbe esplodere uno stomaco da casello a casello.
Spererei che l’incoraggiamento a mantenere il distanziamento sociale fra le persone sia solo un errore di comunicazione. Non sono molto propensa a crederlo, ma mi ritengo una guaribile ottimista che non cerca la cura.

Se invece la scelta non è casuale, beh, pazienza.

Io sto facendo compilation di “Ti voglio bene”, container di “ Ti amo”, pallet di “Mi manchi”, vagonate di “Ma vattenaffanculo”.
E alla faccia del sopracitato a me indigesto concetto, sempre con grande rispetto, vi sto attaccata al culo.

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