Il 1° febbraio Unindustria ha presentato, nel contesto del progetto Stem in Action, i risultati di uno studio sul gender gap all’interno dei percorsi STEM (corsi di laurea e istituti tecnici superiori) in Italia e nella  Regione Lazio, realizzato dall’Osservatorio Talents Venture.

I risultati dell’analisi ci permettono ancora una volta di riflettere sulla presenza (o meglio sull’assenza) delle donne nelle discipline legate alle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (Information & Communication Technology – ICT), dove il gender gap registra valori più alti anche rispetto alla media delle altre discipline STEM.  

Secondo lo studio di Unindustria, condotto sull’anno accademico 2020/2021, le donne rappresentano il 57 % delle iscrizioni nelle università, il 37% nei corsi STEM e appena il 14 % nelle ICT. Le ragazze iscritte a un corso di laurea ICT rappresentano solamente l’1,1% del totale delle iscrizioni totali ai corsi STEM.

Andando ancora più nel dettaglio, sono le classi di laurea in Informatica (L-31) e Sicurezza informatica (LM-66) quelle che accolgono il minor numero di studentesse. Emerge insomma come tra le discipline STEM ci siano forti differenze in relazione alla questione del gender gap.

Le donne sono maggiormente presenti nell’area di scienze naturali, matematica e statistica, con una rappresentanza che si attesta su una media del 57 %, a fronte di un 29 % nell’area di ingegneria, manifattura e costruzioni e, come abbiamo visto, solo del 14 % nell’area delle ICT. Dato, quest’ultimo, quasi fermo ormai da molti anni: la vera emergenza gender gap riguarda dunque le discipline ICT.

Occorre notare che si registra nell’ambito delle discipline ICT una domanda di occupazione da parte delle imprese maggiore rispetto al numero di laureati. Il tasso di occupazione dei laureati ICT a un anno dalla laurea si attesta intorno 93% e sono proprio le discipline ICT quelle che offrono gli stipendi più alti.

Il gender gap all’interno delle ICT è però forte anche per quanto riguarda il tasso di occupazione (88,9 % per le donne contro il 93,9 % degli uomini) e la retribuzione (quella delle donne è in media il 10,6% più bassa di quella degli uomini).

Insomma, le donne laureate ICT vengono assunte e pagate di meno rispetto agli uomini. Questo dato si scontra con le politiche di inclusione volte al superamento del gender gap portate avanti da molte aziende, ma si spiega in generale con le situazioni di svantaggio che le donne incontrano ancora nel mondo del lavoro in qualsiasi settore.

Questi dati ci portano ad alcune necessarie riflessioni. Se ICT è uno dei settori meglio retribuiti e con più offerta di lavoro, perché la presenza delle ragazze è ancora così limitata? Se la resistenza delle ragazze ancora non è scardinata, questo dipende dallo stereotipo che vuole le donne non adatte per le materie legate all’informatica.

Questo rende le ragazze meno propense verso le professioni di tipo tecnologico e più orientate a lavori legati al concetto della cura dell’altro (e si spiega così la maggiore presenza di ragazze nei corsi di Biologia, Infermieristica, Farmacia e Medicina) o alle arti (il settore tecnologico a maggiore presenza femminile è quello delle tecnologie applicate ai beni culturali).

Nonostante le molte azioni di orientamento e inclusione svolte dai dipartimenti ICT e in generale dalle università, la resistenza continua a essere forte da parte delle ragazze. Ciò è legato a stereotipi sociali di genere che in molti casi vengono trasmessi fin dalla più tenera età sia in ambito familiare che scolastico, e in tempi più recenti anche dai media, in particolare dai social, che invece di livellare le differenze spesso le acuiscono.

In alcuni casi questi stereotipi vengono veicolati già dai libri di testo delle scuole primarie. Per questo motivo è necessario fin dalle scuole elementari e medie lavorare per l’abbattimento dello stereotipo, perché esso risulta ormai troppo radicato alle scuole superiori, rendendo poco utili le attività di orientamento.

Lo dimostra, tra l’altro, un altro dato che emerge dallo studio condotto da Unindustria, relativo alla presenza di un forte gender gap anche negli Istituti Tecnici Superiori di area ICT, in cui solo il 28 % degli iscritti è rappresentato da ragazze (i dati sono, in questo caso, relativi alla regione Lazio).

Oltre alla battaglia contro il tramandarsi dello stereotipo, sarebbe utile avvicinare nella pratica le bambine e le ragazze al linguaggio logico-matematico e al pensiero computazionale e mostrare in maniera più efficace le potenzialità di queste discipline in termini di sviluppo e di occupazione.

La presenza delle donne è infatti quanto mai necessaria in un settore in crescita e così importante all’interno del panoramdei cambiamenti del mondo contemporaneo, come è quello delle tecnologie informatiche.

Il digitale sta progressivamente cambiando il mondo e questo cambiamento allo stato attuale è portato avanti principalmente dagli uomini: viene così meno il valore della diversità, indispensabile per qualsiasi sviluppo sostenibile a livello umano.

Occorre uno sforzo per una rivoluzione culturale che avvicini le ragazze alle discipline informatiche e le metta in grado di rendersi competitive e protagoniste della partita attualmente in corso per la costruzione del mondo del futuro.

Per questo vi invito a seguire la prima Ted Conference (Ted è l’acronimo di Technology entertainment design) organizzata al teatro Morlacchi di Perugia lo scorso autunno per parlare di diversità come ricchezza. Un discorso che scivola tra pregiudizi e statistiche e che offre, soprattutto al pubblico femminile, le chiavi per un futuro che non sia (ancora) patriarcale.

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