Quando Federico De Roberto si avvicinò alla fotografia non era solo l’ amico ventenne e devoto dei grandi Luigi Capuana e Giovanni Verga, ma anche uno spirito curioso, attratto dalle possibili implicazioni della camera oscura: realtà o finzione? Diletto o rigore? Nel 1880 apriva il “Grande Atelier Fotografico in Mineo diretto dal Professor Luigi Capuana” e De Roberto, nato a Napoli ma catanese d’adozione, lo frequentò definendosi – era il 1884 – suo apprendista.

Il resto è storia.  De Roberto non fu solo scrittore, ma anche giornalista e fotografo; non siamo mai venuti in possesso delle sue lastre, probabilmente finite sotto le macerie delle sue abitazioni catanesi bombardate durante la guerra. Lo scrittore era capace di quelle che lui stesso definiva commozioni estetiche al cospetto delle vedute generali di una città, del popolo ancora intimidito dalla macchina fotografica, dalle bellezze architettoniche, anche quelle danneggiate dagli insulti del tempo e degli uomini.

La sua meraviglia di fronte alle antiche mura di Randazzo, cittadina in provincia della sua Catania, paesello lambito dal fiume Alcantara, “quel cantuccio di mondo sopravvissuto al Medio Evo”, lo convinse a immortalare il centro siciliano attraverso l’arte fotografica che aveva appreso dall’amico–maestro Capuana.

Negli anni del suo rigetto verso Catania e dell’amarezza che seguì alla critica negativa di Benedetto Croce al capolavoro verista, I Vicerè, l’autore fu nominato Sovrintendente alle Belle Arti del capoluogo etneo e si dedicò alle guide turistiche per i viaggiatori colti. Nel 1909 firmò non solo il testo ma anche le fotografie del volume Randazzo e la Valle dell’Alcantara per la collana monografica dell’Istituto Italiano d’Arti Grafiche diretta da Corrado Ricci.

foto di Federico De Roberto
Randazzo, Festa dell’Assunta, i protagonisti

Adesso la prima ristampa dell’opera è in libreria per i tipi de Il Convivio Editore a cura di Dario Stazzone, dottore di ricerca in Italianistica, con la prefazione di Rosalba Galvagno, docente di Critica letteraria e Letteratura comparate dell’Università di Catania. Il lavoro è stato arricchito con un significativo apparato di note e può essere letto a più livelli: come suggestivo portfolio di De Roberto fotografo, come reportage letterario di un passato impossibile da recuperare, come testo d’arte, come mappa di quel che fu il potere di sovrani aragonesi e monarchi spagnoli in questa fetta di Sicilia.

Presenti anche gli scatti di altri validissimi fotografi del tempo, come Scala, Brogi e Bonsignore, Castorina, Del Campo, Gentile, Giannone, Pennisi, Ursino che illustrarono la monografia –le foto sono  in tutto 147, circa la metà sono di De Roberto- indagando anche altri comuni della Valle.

Copertina
Randazzo e la Valle dell’Alcantara, la copertina della nuova ristampa

Ma perché dedicare una guida fotografica alla marginale Randazzo? De Roberto ne subì la fascinazione nel 1905 tanto da confessarlo in una lettera alla madre, la possessiva Donna Marianna Degli Asmundo. Si rammaricava che della suggestiva cittadina non parlassero i viaggiatori intellettuali del tempo. Così, cavalletto e fotocamera a seguito, lo scrittore catturò vedute e viuzze, bifore, volte e balze, case, chiese zeppe di opere d’arte, finestre e palazzi o ciò che rimaneva di essi. Secondo Leonardo Sciascia,

“Federico de Roberto non giocò, non si dilettò: asetticamente si servì della fotografia. Se ne fece un ausilio, con buon mestiere, al suo mestiere di giornalista, di storico”.

I fasti dell’antica sede ragonese raggiunsero la fantasia dello scrittore:

“Pare effettivamente che la città abbia i suoi baroni alle vedette, le sue scolte vigili dietro i ripari, i suoi archibugieri sul punto di dar fuoco alle micce, i suoi araldi pronti a dar fiato alle trombe”.

foto di Federico De Roberto
Randazzo, Finestre di via Granatara

Randazzo era stata risparmiata dalla furia dei terremoti e delle colate laviche dell’Etna ma in cambio erano sorte le botteghe o i balconi; il degrado della modernità aveva fatto il suo corso. Addio, ad esempio, agli archi antichi della casa Scala, il cui edificio doveva essere a tre piani,

“tutto ogive e colonnine, quando il civico consesso vi teneva le sue adunanze e vi scendevano i re e le regine: Giovanna d’Inghilterra moglie di Guglielmo II normanno; Costanza moglie dell’imperatore Arrigo VI, lo stesso Arrigo, Federico II che vi ammise molte persone nobili al suo servizio, tutta la Corte aragonese che vi stette ogni anno durante l’estate, il gran Carlo V che vi passò tre notti”.

Ma di bellezza viva oltre un secolo fa ce n’era ancora tanta e oggi lo dimostrano le foto dello scrittore: dalla volta di via degli Uffizi, che introduce una galleria di archi acuti e conserva ancora  una doppia finestra gotica, alla Porta Aragonese con gli stemmi reali, alla veduta con il campanile medievale di San Martino. E le balze di San Domenico,

“con la vecchia chiesa turrita ed il vecchio convento dove sventolano gli orifiammi e squillano le tube per annunziare l’apertura del general Parlamento siciliano…”

o ancora la Festa dell’Assunta, la sua Bara e i personaggi ragazzini che, seri seri, si fanno inquadrare dall’obiettivo.

Con questa curatela Dario Stazzone termina la ricognizione e la riproposizione degli scritti che De Roberto ha dedicato ai valori artistici del territorio etneo: la “Catania” del 1907, “Randazzo e la valle dell’Alcantara” del 1909 e gli articoli sul patrimonio artistico catanese del 1927. Per il curatore “è difficile pensare che un simile impegno fosse funzionale alla realizzazione di un semplice lavoro su commissione”.

Dario Stazzone
Il ricercatore siciliano Dario Stazzone

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