Un libro inglese affronta l’argomento per gran parte del regno animale. La parola scoreggia risale al XIV secolo, prima che entrasse in uso il termine flatulenza, termine che era usato per significare vento che soffia forte. Oggi il termine scorreggia è più comunemente usato per descrivere qualsiasi gas espulso dall’estremità di un animale che è opposta alla sua bocca. In realtà tutti possiedono un tubo con ingresso e uscita che è il canale digerente.

Nel genere umano questo tubo, che deriva dal foglietto più interno di sviluppo embrionale, l’endoderma, contiene un grande numero di specie batteriche commensali (non patogene) e patogene che sono co-evolute con il genoma umano e differiscono in composizione e funzione a seconda di sede, età, sesso, etnicità e dieta del loro ospite, che può di fatto essere considerato come un mix di cellule umane e di cellule batteriche. Stiamo parlando del microbiota formato da circa 100 trilioni di microbi, un numero 10 volte superiore al numero delle cellule del corpo con un peso totale 1,5-2 kg. 

Nel corso dei primi 3 anni di vita, l’iniziale diversità microbica si normalizza e tende a restare tale: infatti, nell’adulto la composizione del microbiota tende a essere stabile in condizioni fisiologiche, essendo peraltro modulata da diversi fattori, fra cui l’età, l’assunzione di antibiotici e la dieta.

L’insieme dei geni dei batteri viene definito microbioma, e consiste di circa 10 milioni di geni, che eccedono di più di 400 volte la dimensione del genoma umano, che consiste di 23.000 geni circa.

Il numero e la complessità di questi microbi aumenta gradualmente dallo stomaco al colon, dove i microrganismi raggiungono livelli di 1011-1012 cellule per grammo di contenuto intestinale.

Dimmi che gas espelli
e ti dirò cosa ti fa male

Dalla  composizione del microbiota dipende la salute e lo sviluppo della risposta immune dell’organismo. L’interazione fra tratto gastrointestinale e microbiota è ben bilanciata nell’individuo sano, ma la rottura di questo equilibrio può portare a malattie intestinali ed extraintestinali.

È soprattutto qui che si producono i gas intestinali costituiti per il 99% da azoto, ossigeno, anidride carbonica, idrogeno e metano. Il cattivo odore non è tuttavia conferito da questi componenti maggioritari, bensì dalla piccolissima percentuale di anidride solforosa, acido solfidrico, acidi grassi volatili, indolo e scatolo. 

Pochi sanno che Benjamin Franklin (grande scienziato e inventore, nonché uno dei padri fondatori degli Stati Uniti), studiò nel 1700 per la prima volta la flatulenza, correlandone l’odore ai cibi ingeriti. Raccogliere ed analizzare il gas espulso può essere d’aiuto per stabilire l’origine della flatulenza: se il costituente maggioritario è l’azoto alla base del disturbo vi è con tutta probabilità l’aerofagia; se invece il peto è ricco di idrogeno ed anidride carbonica si tratta presumibilmente di malassorbimento dei carboidrati, con conseguente iperfermentazione batterica.

Il contributo predominante è dato dall’aria ingerita durante la deglutizione.

In condizioni fisiologiche la quantità di gas nel lume intestinale è abbastanza stabile, oscillando intorno ai 200 ml, con un’eliminazione media variabile dai 400 ai 1600 ml al giorno; anche la composizione dei gas è abbastanza variabile, ma l’azoto rimane il componente principale. 

Alcuni alimenti generano odori che sanno di alcol, altri hanno il tipico lezzo dei broccoli invecchiati e altri sanno di uova marce. Infatti i maggiori responsabili del cattivo odore sono gli alimenti ad alto contenuto di zolfo, come cane rossa, latte o proteine vegetali. Quando nutriamo i batteri del nostro intestino con alimenti molto proteici questi producono gas solforoso, che rende letali le flatulenze.

Diversi litri di CO2 sviluppati dalle reazioni intestinali con i batteri ivi presenti passano rapidamente nel circolo sanguigno per essere eliminati con la respirazione. A livello del colon, un altro contributo fisiologicamente importante è quello dell’anidride carbonica che passa dal sangue al lume intestinale, attraversando la mucosa; tale passaggio è comunque bidirezionale e come tale consente anche il riassorbimento della CO2 enterica, favorito da una pressione parziale superiore a quella plasmatica. 

Passando al regno animale molto si è scritto sul metano emesso nell’atmosfera dalle mucche e dalle capre che hanno quattro stomachi pieni di batteri che producono questo gas per la digestione del foraggio. Il risultato è l’emissione di gas dalla bocca e dall’ano per le capre e soprattutto dall’ano per le mucche; queste arrivano ad emettere dai 300 ai 500 litri di metano al giorno, equivalenti a circa 35 litri di metano per ogni litro di latte prodotto. Ben il 14% del metano presente dall’atmosfera sembra arrivare proprio dalle mucche. Non dobbiamo però sottovalutare anche il metano prodotto dal letame che si diffonde nell’ambiente.

Negli Stati Uniti, per esempio, la causa del 2,2% dell’inquinamento totale nazionale è dovuto alle emissioni delle flatulenze delle mucche.

Ritorniamo così al tema iniziale: non solo i mammiferi emettono flatulenze. Does It Fart? The Definitive Field Guide to Animal Flatulence è il libro da cui parte la nostra curiosità scientifica. Scritto da Dani Rabaiotti scienziata ambientale inglese e divulgatrice scientifica con sede presso l’Institute of Zoology della Zoological Society di Londra e da Nick Caruso entrambi con il dottorato in biologia presso l’Università dell’Alabama e l’University College di Londra.

Iniziamo dalle aringhe del Pacifico e dell’Atlantico che ingeriscono aria dalla superficie dell’acqua e la immagazzinano nelle loro vesciche natatorie e la espellono in seguito dai loro dotti anali emettendo un suono tra 1,7 e 22 kHz che dura da 0,6 a 7,6 secondi. Le aringhe utilizzano questi suoni, al di sopra della gamma uditiva della maggior parte dei pesci predatori, per comunicare con i loro simili e per stare vicine ad altre aringhe di notte quando è difficile vedersi.

Anche il serpente a sonagli emette gas dall’ano quando si sente minacciato da predatori. In situazione di pericolo nasconde la testa sotto il corpo, alza la coda ed aspira aria nell’ano (orificio attraverso cui il serpente defeca ed urina) per poi emetterla energeticamente con un suono chiamato cloacal popping di 2,5 kHz.

I millepiedi, così chiamati perché hanno due zampe per ogni segmento del corpo, hanno un sistema digestivo molti semplice che manca di una sacca per la conservazione del cibo, per cui gli alimenti passano rapidamente ed hanno bisogno, per la loro scomposizione, di microrganismi unicellulari del tipo archaca metanogena che produce notevoli quantità di metano in proporzione alla massa corporea del millepiede. Quelli che vivono ai tropici sono notevolmente più grandi di quelli che conosciamo, fino ad arrivare al millepiede gigante africano col massimo di emissione gassosa.

I cavalli sono grandi emettitori di flatulenze anali, perché sono i cosiddetti fermentatori dell’intestino posteriore.  Ciò significa che la materia vegetale che mangiano passa attraverso lo stomaco e l’intestino prima di essere digerita nell’intestino posteriore attraverso la fermentazione.  I vegetali sono particolarmente difficili da digerire perché contengono un’alta concentrazione di cellulosa, il che significa che devono essere scomposte nel colon del cavallo da un’ampia varietà di flora intestinale.

Pertanto hanno colon particolarmente lunghi, circa 3,5 metri, per aiutarli a digerire tutto il materiale vegetale. Poiché il colon si trova alla fine del tubo digerente, questo emette rumori copiosamente e frequentemente. I cavalli scoreggiano in qualsiasi momento, in qualsiasi luogo, come chiunque abbia passato del tempo con loro.  Un effetto collaterale positivo di questi batteri intestinali è che forniscono ai cavalli tutte le vitamine e i minerali di cui hanno bisogno per rimanere in salute.

I canguri una volta avevano un ruolo chiave nella scienza delle scoregge. Per un certo numero di anni i ricercatori hanno cercato diligentemente di ridurre le emissioni di metano delle mucche trapiantando i batteri intestinali dai canguri nelle mucche. Perché?  Perché si credeva che le scoregge dei canguri contenessero livelli molto bassi di metano. Tuttavia, più recentemente uno studio del dottor Adam Munn, dell’Università di Wollongong, ha mostrato che i canguri in realtà producono più metano attraverso la loro flatulenza di quanto si pensasse in precedenza.  

Sebbene questo sia ancora inferiore a quello delle mucche e di altri ruminanti, sembra che, per chilogrammo di animale, questo sia equivalente a un certo numero di altre specie, compresi i fermentatori dell’intestino posteriore come i cavalli.  Inoltre, questa minore produzione di metano è più probabilmente un prodotto dell’anatomia digestiva del canguro, che utilizza la fermentazione nell’intestino anteriore, in cui la materia vegetale viene scomposta anaerobicamente (senza ossigeno) dai batteri nell’intestino anteriore prima di raggiungere il resto del sistema digestivo. Ciò significa che il cibo passa attraverso il canguro molto velocemente, lasciando meno tempo per la produzione di gas.  

Per chi volesse approfondire nel libro si passano in rassegna: i ghepardi, le zebre, i delfini, le iene, i pitoni, gli ippopotami, le tartarughe, i tapiri, i cammelli, le iguane, i gechi, i polpi e tanti altri ancora.

Per chiudere questa carrellata tra flatulenze umane e animali non può mancare la citazione di chi ha fatto della flatulenza un’arte: Le Pétomane, nome d’arte di Joseph Pujol, panettiere a Marsiglia, che iniziò a improvvisare spettacoli mostrando le sue capacità nel controllo dei muscoli addominali e sfinteriali che gli consentiva di emettere flatulenze a suo piacimento.

Artista al Moulin Rouge. era in grado di riprodurre effetti sonori di colpi di cannone e temporali, oppure eseguire canzoni popolari servendosi di una ocarina collegata con un tubo di gomma all’ano. Poteva persino spegnere una candela da una distanza di diversi metri. Assistettero ai suoi spettacoli tra gli altri re Edoardo VII, re Leopoldo II del Belgio e Sigmund Freud.

Tanto fu il successo che Pasquale Festa Campanile nel 1983 ne fece un film Il Petomane con: Ugo Tognazzi e Mariangela Melato. 

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