Romanzare la realtà non è mai una scelta comoda. C’è il rischio di indebolire i fatti accaduti, o di falsare i personaggi in nome della narrazione oppure di ingabbiarli senza concedergli quell’ossigeno che solo la letteratura può garantire alle storie.

Lucio Luca lo ha fatto con Quattro centesimi a riga (Zolfo editore) raccontando il caso  di Alessandro Bozzo, il giornalista calabrese suicidatosi nel 2013 che alla soglia dei suoi 40 anni venne stritolato da un sistema pronto ad annientare sin dalla fondamenta l’informazione onesta. Quella stessa informazione dalla schiena dritta che continua a essere decisiva (e d’ostacolo ai cosiddetti poteri forti) in Calabria.

Il diario-testamento di Bozzo, un documento preziosissimo, ha consentito all’autore di seguire da molto vicino i pensieri, gli eventi reali, le analisi personali degli anni più duri vissuti dal giornalista prima della sua scomparsa. 

Una scommessa vinta

Lucio Luca ha vinto la scommessa della riscrittura della realtà per almeno tre ragionila prima è letteraria: in trecento pagine di romanzo riesce a dare voce e corpo al protagonista, Alessandro, persona realmente esistita, che narra in prima persona la sua vita di redattore di un quotidiano regionale, ma anche di uomo, marito e giovane papà.

La seconda ragione è storica: Lucio Luca fotografa con accuratezza gli ingranaggi che i poteri di imprenditoria, ‘ndrangheta, e politica costruiscono con precisione e pazienza per trarre il massimo profitto dai territori. Anche sfruttando i media. 

L’ultima ragione, ma non in ordine di importanza, è civileQuattro centesimi a riga  è davvero un inno alla libertà di stampa ed è anche un romanzo sul lavoro nelle piccole aziende, genere narrativo poco praticato in Italia. 

Qui il lettore è messo nelle condizioni di comprendere perfettamente cosa accade a quel giornalismo tormentato e sincero, ma lontano dalle garanzie contrattuali e dagli agi delle grandi testate. Quel giornalismo che per molti anni è stato battezzato romanticamente come giornalismo in prima linea.

 Ma poi, che vuol dire «in prima linea»? Che facciamo bene il nostro mestiere, non abbiamo paura di raccontare quello che succede, che facciamo domande ai potenti cercando di metterli in difficoltà? E per questo saremmo degli eroi? Non siamo eroi, senti a me inviato del nord, siamo solo gente che ci crede ancora. Non devi scrivere delle pallottole, quelle sono il meno. Prova invece a indagare sui padroni dei giornali in Calabria, sui loro rapporti con i partiti, sì amico mio, pure quelli buoni, progressisti e di sinistra. Spesso i veri nemici sono loro, altro che i boss. E chi si azzarda a dirlo, a scriverlo, ad alzare la voce va a casa. Vuoi fare questo lavoro? Stai muto, spaccati il culo e prenditi quattro centesimi a riga. 

Panorama di Cosenza (da Wikipedia, author Lupo cileno 1914)

Quel che conta è la storia, mentre accade

La lingua di Quattro centesimi a riga è accurata e realistica, lo stile fluido e mai scontato, la struttura è solida ma al contempo leggera. Pagina dopo pagina, Alessandro diventa prima un personaggio credibile, poi un conoscente, e alla fine si fa il tifo per lui, nonostante si sappia già come andrà a finire.

É il dipanarsi stesso della storia a coinvolgere il lettore, non certo il finale. È il profumo di Donnici, l’illusione di poter cambiare il mondo dopo uno scoop, il puzzo dei morti ammazzati per strada, le parolacce nelle redazioni, le trattative con direttori e capi, ma anche il caffè condiviso al bar tra colleghi, magari qualche minuto prima di affrontare gli attacchi di un editore che boicotta o censura gli scoop contro i potenti. L’editore, quello che ai giornalisti paga gli stipendi.

 Si è fatto una stanza enorme accanto a quella del direttore. Del resto, lui è il direttore. Decide cosa mettere in pagina, come metterla, il nemico da abbattere, persino le foto che dobbiamo usare. Come quel libro di Bocca, Il padrone in redazione, un classico. 

La Calabria che fa male e la casta che non c’è

 Nel romanzo c’è la Calabria della malasanità e delle tangenti, delle ‘ndrine e dei pentiti, delle terre di nessuno contese dalla famiglie dei clan. C’è Cosenza e le sue speranze. Ci sono i colleghi e le colleghe di Alessandro, molto lontani dallo stereotipo dei cronisti cinici e privilegiati. Personaggi reinventati, certo, ma con volti e voci che poco a poco diventano familiari. Fa effetto pensare che siano ispirati proprio ai cronisti che con Bozzo hanno lavorato gomito a gomito per anni.

«Voi della casta», scrivono su Facebook, «voi che con l’inchiostro potete uccidere le persone». Noi, la casta. Conosco un sacco di colleghi che continuano a vivere con la mamma perché non possono permettersi l’affitto di un monolocale, che si vendono l’auto per arrivare a fine mese, che un contratto vero magari non lo vedranno mai. E non potranno sposarsi, chiedere un mutuo per comprarsi una casa. Noi, la casta. 

E poi c’è il privato. La vita tra le mura di casa con le persone care, spesso sacrificate ogni oltre immaginazione sull’altare di una febbre difficile da comprendere – il giornalismo come vocazione – se non se ne è affetti. Alessandro è un uomo ancora giovane prima ancora che un professionista. Uno che ama leggere Irvine Welsh, ascolta il buon vecchio Steven Tyler e ama molto moglie e figlioletta. 

In Quattro centesimi a riga, Lucio Luca spoglia di ogni retorica un lavoro difficile, carico di responsabilità e in alcuni casi pericoloso. Oggi persino venato da una follia masochistica per chi continua a praticarlo in maniera esclusiva e professionale. L’autore conosce alla perfezione le dinamiche, anche mentali, del giornalismo locale, e i riti della professione che restano uguali a tutte le latitudini, nell’analogico come nel digitale: il balletto di appunti, le carte da trovare e da verificare, le intuizioni, le soffiate. Quella cosa che ti fa dire:  mi pare un buon pezzo. Tutto vero, tutto documentato. Sto in una botte di ferro

Ho seguito un filo logico senza badare alla cronologia – scrive Luca – ma cercando comunque di non allontanarmi troppo da ciò che è accaduto perché volevo raccontare il dramma vero di un uomo, un giornalista, che ha lavorato in una terra difficile fino a quarant’anni e che pur di non arrendersi ha scelto di andarsene, seppur nel peggiore dei modi. 

Un romanzo che va a teatro

Lucio Luca è un giornalista, è nato a Ragusa e vive a Roma. Da oltre trent’anni lavora a Repubblica, dove nel tempo si è occupato di cronaca nera, giudiziaria, esteri, sport e cultura. Questo è il suo sesto libro.

Quattro centesimi a riga amplia e completa un libro già pubblicato da Laurana Editore quattro anni addietro (L’altro giorno ho fatto quarant’anni, premio articolo 21 e premio Mario e Giuseppe Francese). La prefazione è firmata dal giornalista Attilio Bolzoni. Il romanzo si chiude con un’appendice sullo stato del giornalismo a dieci anni dalla scomparsa di Bozzo e da una riflessione dello scrittore Roberto Saviano.

Dal romanzo è tratto il monologo Volevo solo fare il giornalista che sarà portato in scena in tutta Italia dall’attore Salvo Piparo con le musiche di Michele Piccione. 

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