Nessuno ci avrebbe creduto fino a qualche mese fa, e invece, ecco l’oggetto di utilità più importante del nostro tempo: la mascherina (di cui probabilmente sentiremo ancora parlare a lungo).
Eppure l’uso quotidiano della mascherina, generalmente indossata dal chirurgo in sala operatoria per non trasmettere al paziente germi e batteri, si afferma in Giappone dopo la fine della terribile epidemia di influenza nell’inverno del 1934. Negli anni ‘50 si diffonde poi l’abitudine di portare la mascherina durante tutto l’anno: coprirsi la bocca diventa la manifestazione della loro smisurata cortesia e rispetto.

Facendo un passo indietro, è difficile determinare con esattezza quando siano state state utilizzate per la prima volta le mascherine chirurgiche. Nel 1897 il chirurgo austriaco Johann von Mikulicz Radecki descrisse una maschera chirurgica composta da uno strato di garza e, negli stessi anni, l’igienista tedesco Carl Flügge aveva dimostrato che una normale conversazione poteva diffondere goccioline cariche di batteri dal naso e dalla bocca, confermando la necessità di una maschera efficace per il viso.

Eppure, la prima invenzione depositata per una maschera per scopi medici risale al 1875 quando Helen Rowley, modista e sarta dell’Ohio, brevetta una maschera morbida e flessibile, realizzata in gomma e progettata per essere indossata durante le ore di sonno per abbellire, decolorare e preservare la carnagione.

Qualche anno dopo, nel 1892 Marie Juliette Pinault brevetta una maschera per il viso dotata di varie aperture o incisioni richiudibili, provvista di una pluralità di tasche che possono essere riempite con farmaci o sostanze diverse, mantenute nella posizione corretta nella maschera, indipendentemente dal cambiamento di posizione della testa di chi la indossa. Questo sistema a tasche è così strutturato per poter rinnovare o cambiare a piacere gli ingredienti di ognuna, indipendentemente dagli altri. Certo, un pò diverso come scopo rispetto alla mascherina chirurgica, ma per la prima volta (a fine Ottocento) si accende una spia sulla protezione del viso in senso medico.

In tempi non sospetti, quando LA Covid-19 (definito sostantivo di genere femminile dall’Accademia della Crusca) era ancora una parola sconosciuta, nel 2009 è stata presentata dalla sua inventrice Elena Bodnar (presidentessa del Trauma Risk Management Research Institute) agli Ig Nobel Awards (i premi alle invenzioni scientifiche più bizzarre ma anche utili) un brevetto che permettesse di trasformare un normale reggiseno a coppe in due maschere. Beh, questa stravagante intuizione, ideata mentre lavorava come medico in Ucraina durante l’incidente nucleare di Chernobyl, è arrivata al primo posto ed oggi il reggiseno è in vendita su Ebbra, mentre è ancora in fase di studio un indumento maschile dalla stessa utilità. Il sito web dell’innovativo reggiseno-salvavita sottolinea che le coppe (rosse, perchè alla fine tutte le donne vogliono sentirsi sexy) possono impedire di respirare particelle nocive nell’aria come molte persone hanno fatto, ad esempio, dopo l’11 settembre, oppure può proteggere da epidemie come l’influenza aviaria o l’attuale epidemia di Covid-19, un qualsiasi incendio o una tempesta di sabbia, un attacco terroristico biologico o, appunto, un disastro nucleare. Come è facile intuire, l’invenzione può salvare chi la indossa e anche un’altra persona: un reggiseno convenzionale, abitualmente indossato, può essere rapidamente e facilmente convertito in due dispositivi di sicurezza senza rimuovere alcun indumento (a meno che non lo si desideri).

Ancora convinti che le donne non salveranno il mondo?

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