Schermo in bianco e nero. Jean-Paul Belmondo con il cappello e la sigaretta sempre in bocca scherza e corteggia nel letto una splendida Jean Seberg: sguardi, sensazioni, calembour, una delle più belle scene d’amore del cinema di tutti i tempi. Era il 1960 e il lungometraggio À bout de souffle diventa il manifesto di un nuovo modo di fare cinema.

Il 3 Dicembre Jean-Luc Godard ha compiuto 90 anni e il cinema di oggi non sarebbe lo stesso senza le sue provocazioni, la sua intelligenza filmica, il suo spirito iconoclasta.

Un ragazzo che oggi impazzisce per Quentin Tarantino non si rende conto di quanto sia in debito con il cineasta francese. Il regista americano, oltre ad essere uno dei suoi più accaniti fan, si è ispirato a una delle sue più famose pellicole, Bande à part, per dare il nome alla sua casa di produzione: A Band Apart.

Il cinema come vita, scrittura e critica sono la stessa cosa, nel 1962 in un’intervista Jean-Luc Godard esprime appieno il suo pensiero: «Frequentare i cinecub e la Cinématèque significava già pensare cinematograficamente e pensare al cinema. Scrivere significava già fare cinema. Come critico, mi consideravo già cineasta. Oggi mi considero sempre un critico e, in un certo senso, lo sono più di prima. Invece di scrivere una critica, faccio un film; salvo poi introdurvi la dimensione critica. Mi considero un saggista, faccio saggi in forma di romanzo o romanzi in forma di saggio: solo che li filmo invece di scriverli».

Provocatore per definizione il regista ha attraversato con coerenza e lucidità oltre 50 anni di cinema strutturati in tre periodi, come ricorda il critico Alberto Farassino: «quello parigino dei mitici anni della Nouvelle Vague e dei rivoluzionari anni Sessanta; quello internazionalista del dopo ‘68 e del cinema “fatto politicamente” in Francia, Italia, Germania, Palestina Usa, Gran Bretagna; quello “provinciale” della riscoperta del privato e del lavoro autarchico attraverso l’immagine elettronica».

L’artista francese ha saputo reinventarsi, ha mutato pelle più di una volta rimanendo coerente e fedele al suo pensiero evitando, anche nei lungometraggi degli ultimi anni, di ritornare alla forma del racconto.

Ciò che Jean-Luc Godard ci ha insegnato è che il cinema non si riduce a mero spettacolo, a semplice rappresentazione, è una forma di critica, un pensiero che man mano si costruisce che pone domande.
Il gioco, la citazione, il cinema che cita se stesso, che troviamo nel primo periodo, quello in cui il racconto è ancora in auge, serve solo per destrutturare le forme del cinema dei padri, si esaurisce, infatti, nelle ultime opere, come ad esempio il lungometraggio Adieu au langage del 2014, in cui si instaura una forte componente che destruttura la pellicola in cerca di definire il concetto di immagine.

La forza di un cineasta si esplica nella voglia di introdurre dubbi e paradossi nel cinema attuale operando delle incrinature, delle rotture nello spettacolo cinematografico a volte cosi intento a pensare di essere solo puro intrattenimento.

Come ricorda il regista Philippe Garrel parlando di Jean-Luc Godard : « […] l’unico cineasta per il quale il cinema non è un’attività separata ma serve alla vita».

Ricordiamo il restauro a cura della Cineteca di Bologna del capolavoro Fino all’ultimo respiro che giungerà nelle sale, ci auguriamo, dall’11 Gennaio 2021.

Segnaliamo inoltre su Amazon Prime Video la presenza di alcuni dei lungometraggi più significativi dell’artista francese.

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