È stata esaltata come una serie perfetta, coinvolgente, rivoluzionaria; elogi magari eccessivi per un prodotto che però ha l’indubbio merito di catturare lo spettatore. Un po’ giallo, un po’ intrigo internazionale, The Diplomat mette in scena una giovane diplomatica statunitense che dovrebbe andare a Kabul in missione umanitaria, in mezzo alle donne afgane sottoposte alla tirannia dei talebani, dove tanto ha lavorato, e invece si ritrova catapultata a Londra per esigenze superiori.

In verità la Casa Bianca ha grandi piani per lei, ed essere ambasciatrice degli Stati Uniti a Londra dovrebbe solo essere un trampolino verso incarichi di caratura di governo; ma quando lo scopre, la nostra eroina è in bilico fra ambizione e sconforto. La vogliono perché è brava, o perché fa comodo ed è funzionale? A Londra infatti… non farò spoiler ma posso dire che Kate Wyler (Keri Russell) si ritrova in un pasticcio così complicato che tendiamo a dimenticarne la trama appena finita ogni puntata, anche perché non è l’essenziale.

Un’americana in conflitto
tra carriera e vita coniugale

Quel che fa la serie, infatti, è la lotta interiore di Kate da un lato con se stessa, dall’altro con il suo brillantissimo marito. Diplomatico di carriera anche lui, un po’ più anziano, carismatico, Hal Wyler (un mefistofelico Rufus Sewell) essendo per ora disoccupato perché in rotta di collisione con il Segretario di Stato, è andato a Londra in teoria per aiutare la moglie a muovere i primi passi nell’incarico.

In pratica, si intromette in ogni decisione di Kate, prende iniziative senza dirglielo, la scavalca pericolosamente in varie occasioni, anche delegittimando il suo ruolo e le sue strategie. Il loro è un rapporto a molti livelli: amore ormai in profonda crisi (Kate si lamenta che Hal non la tradirebbe mai fisicamente ma lo fa in ogni altro modo), allieva e maestro, rivalità professionale, interdipendenza.

E così la nostra eroina è schiacciata dalla personalità del marito, fatica a sentirsi capace di far qualcosa senza di lui, e mentre viene attivamente ricercata per le sue capacità, pensa in realtà che attraverso di lei si voglia usufruire delle doti di lui (soffrendo della più classica delle sindromi dell’impostore).

The Diplomat: tra violenza psicologica
e arrivismo

Insomma The Diplomat comincia come un compendio di politica internazionale e si trasforma in fretta nella storia di una donna fagocitata dal marito, oserei dire in un rapporto di sottile violenza psicologica da cui fatica a liberarsi. Non solo lei del resto, ma l’intera ambasciata di Londra e financo la Casa Bianca a Washington sembrano ammaliati da Hal, a un certo punto definito dalla moglie “la più grande mente del secolo in politica estera” (non si capisce perché però, sembra creare molti più guai di quanti ne risolva).

Da giornalista che ha razzolato per vent’anni in politica internazionale trovo semplicistico l’intreccio (un po’ tirato per i capelli sia nei problemi che nelle soluzioni, ma non tanto da risultare insultante per lo spettatore).

E però appunto, questo alla fine è di poco rilievo; lo stesso plot potrebbe essere ambientato in un grande ospedale americano, fra un professore in disgrazia e una chirurga in ascesa, con i primari e i direttori al posto dei ministri e dei diplomatici.

Violenza psicologica o no, fra i due si descrive un rapporto di coppia quasi commovente per quanto si conoscono bene, per l’intimità profonda anche in mezzo alla rabbia. E poi, è impossibile non provare simpatia per questa donna sempre spettinata che non ha voglia di perder tempo a pensare cosa mettersi e sembra rifiutare visceralmente gli orpelli dell’espressione di genere.

The Diplomat è scritto da Debora Chan e lo trovate su Netflix; sono 8 episodi, ed è stato da poco rinnovato per la seconda stagione; meno male, perché l’ultimo episodio lascia col fiato sospeso.

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