I delitti della Rue Morgue, di Edgar Allan Poe. Due racconti gialli, un protagonista, l’ispettore Auguste Dupin, e il suo migliore amico e narratore nonché Poe stesso. Ma andiamo a vedere con la lente d’ingrandimento di mio nonno Carlo i personaggi, anzi, il personaggio, visto che alla fine anche se il narratore è Poe e il protagonista è Dupin anche quest’ultimo è un riflesso dello scrittore. Dupin è un ispettore… diciamo artista, in senso che non je va de fa’ n’cazzo. Ma quando un fatto di cronaca lo prende e lo titilla lui si siede sulla sua poltrona, legge gli stralci di giornale, e parla. Parla, parla, parla inondando Poe di ragionamenti che se fossi stato io al posto di Poe penso che avrei accavallato le gambe e tirato fuori il cellulare di nascosto per andare su Facebook, Instagram, Gmail, Facebook, Gmail, Instagram eccetera finché Dupin non avesse finito, e allora avrei infilato il telefono in tasca e gli avrei detto “ammazza oh ma sei ‘ndrago”

All’inizio del libro Poe ci tiene a specificare che chi gioca a scacchi è uno sfigato, il vero gioco da fighi è la dama. Perché gli scacchisti bravi sono dei grandi osservatori, e basta quello per vincere, mentre chi vince a dama è molto più bravo a riflettere e a analizzare. E Dupin è un damista (si dice damista? Esistono i tornei professionisti di dama?). Dupin, e quindi Poe, come dicevo prima passa le ore sulla sua poltrona ad analizzare tutte le prove dei delitti, a ragionarci, ad analizzarle e a darne un senso, come se stesse cercando di completare un sudoku. Nel primo racconto si inventa tutto, la griglia era vuota e lui l’ha riempita a suo piacimento, nel secondo aveva già qualche numero, ma la polizia (quella vera) non sapeva che pesci prendere. Poe sì. Poe si è piazzato sulla sua sedia e ci ha scritto un racconto, anzi, una serie di ragionamenti con sé stesso che poi lo hanno portato alla verità che la polizia troverà dopo che Poe ci era già arrivato. 

Ah, giusto, il finale, la grande verità. Il finale del racconto mi ha lasciato un po’ stranito, quasi preso in giro, ma non dal punto di vista creativo/tramico, ma proprio dal punto di vista fisico. Il Mistero di Marie Roget di finale non ne ha, o almeno non la mia edizione. Il ragionamento di Dupin/Poe si interrompe per dar spazio a una nota dell’editore proprio sul più bello, proprio al climax. In questa nota l’editore spiega che per ovvi motivi che i lettori capiranno da soli (SCUSI SIGNOR EDITORE IO NON HO CAPITO INVECE PORCODDUE) il finale è stato omesso, e sia sufficiente sapere che Dupin è arrivato alla conclusione che poi si è rivelata giusta. La prima cosa che ho pensato è stata “ammazza che paraculo Poe, si censura da solo così non deve finire il racconto” ma non posso saperlo per certo, di sicuro a censurare la rivelazione non sono stati i signori di Giunti, ho trovato una copia in inglese e la censura è identica, parola per parola. Quindi boh.

Ma per quanto particolari e alla fine godibili, non molti sanno che sono state proprio queste due storie ad aver ispirato sir Arthur Conan Doyle nella creazione di un personaggio di cui neanche scrivo il nome perché sapete tutti di chi sto parlando.

Comunque i tornei mondiali di dama esistono, Wikipedia dice che ci sono dal 1899 e li vincono sempre i russi e gli olandesi. Capisco i russi, quelli sono pazzi, ma che minchia c’entrano gli olandesi con il gioco della dama? Boh.

I delitti della Rue Morgue, Edgar Allan Poe, 1841
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