Acqua di fonte,
acqua piovana,
acqua sovrana,
acqua che odo,
acqua che lodo,
acqua che squilli,
acqua che brilli,
acqua che canti e piangi,
acqua che ridi e muggi.
Tu sei la vita
e sempre sempre fuggi.
La poesia di D’Annunzio mi gira per la mente mentre navigo pigra su un mare quasi piatto, solo leggere onde increspano la superficie. Affondo la mano nell’acqua fresca, il sale pizzica sulle mie labbra. In fondo, all’orizzonte, compare una costa fine.
Un vento distratto mi porta il canto di un muezzin. Sono giunta alla foce del Nilo.
Risalgo il delta trattenendo il respiro, poco è rimasto dell’Egitto grandioso.
Arrivo al Cairo che fa già buio.
Feluche addobbate da mille lucine colorate vagano a tutto volume con musiche dai suoni orientali. Sui ponti si affacciano famiglie apparecchiate sui larghi marciapiedi per godere della brezza notturna. Sotto scorre lento il Nilo.
Scendo. Un uomo mi attende. Il suo sguardo scuro per un istante si posa lieve sopra il mio corpo, poi scivola nell’acqua buia.
Andiamo mi dice.
Lo seguo nei vicoli stretti tra palazzi fatiscenti.
Un odore di spezie e di putrefazione mi immobilizza.
Lui si volta, mi guarda, fa un cenno con il capo poi prosegue. E io dietro riprendo il cammino.
Una caffetteria. Fermo, con un gesto lento della mano, mi invita a sedere su un vecchio sgabello che un tempo doveva essere stato azzurro. Davanti a me un vassoio di rame fa da tavolino.
Sorride mentre appoggia le labbra sulla shisha. Mi osserva calmo emettendo lievi fumate di vapore mentre io sorseggio il tè bollente. Tento di evitare le foglie di menta che arrivano ad ogni sorso, le scosto con la punta della lingua. Il piccolo bicchiere di vetro mi brucia tra le dita.
“Da quella sera in poi si recava al vicolo del Mortaio. Arrivava nel tardo pomeriggio, si sedeva fumando la shisha, sorseggiando un tè… Hamida osservava il suo andare e venire, i suoi occhi ed il suo cuore, trepidanti, pregustavano quello che sarebbe stato. …Sebbene lo straniero fosse attento nel nascondere il motivo delle sue visite al caffè, non esitava a lanciare occhiate alla sua finestra. Ogni volta che la sua bocca si appoggiava sulla shisha, le sue labbra emettevano lievi fumate di vapore. Esalava il vapore alto nell’aria come se le stesse inviando un bacio oltre la finestra”.
Mi riscuoto, la mano nell’acqua, la costa egiziana è lontana e il libro di Nagib Mahfuz è scivolato giù dalle mie ginocchia.
Gabriele D’Annunzio Acqua
Nagib Mahfuz Il vicolo del Mortaio 1947
In una pennellata mi trovo al Cairo in un caffè osservando aspettando, circondata da un atmosfera surreale……bello mi piace tanto.
Trovo il testo scritto in modo mirabile fa percepire le atmosfere e ci porta in luoghi conosciuti e no conosciuti.